Bancarotta: esercizio anticipato dell’azione penale e misure cautelari personali

18 Ottobre 2023

Presso la Corte di cassazione viene censurata dall’amministratore di una società per azioni la decisione con la quale veniva disposta nei suoi confronti, prima della dichiarazione di fallimento e per iniziativa del pubblico ministero, una misura cautelare personale. Si impone dunque un’indagine circa la nozione di “azione penale” cui fa riferimento l’art. 238 l. fall. (il cui contenuto è ora riportato nell’art. 346 CCII).

Massima

In tema di bancarotta, è legittima l'applicazione di misure cautelari personali anche prima della pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento, qualora ricorrano le condizioni previste dall'art. 238, comma 2, l. fall. per l'esercizio anticipato dell'azione penale

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all’attenzione della suprema Corte origina dal ricorso presentato dall’indagato avverso un’ordinanza del Tribunale del riesame di Torino che aveva confermato il provvedimento restrittivo emesso a suo carico dal Gip presso il Tribunale di Novara, costituito dalla misura cautelare della custodia in carcere per i reati, tra gli altri, di bancarotta fraudolenta per distrazione e di bancarotta per avere cagionato il dissesto della società a seguito di operazioni dolose.

Tra le censure mosse all’impugnata ordinanza il ricorrente osservava come detta misura cautelare fosse stata emessa dal Gip di Novara anteriormente alla dichiarazione di fallimento della società per azioni di cui questi era amministratore e lamentava in proposito il difetto dei presupposti per l’iniziativa cautelare del pubblico ministero, per l’appunto esercitata prima della dichiarazione di fallimento, la quale tra l’altro neppure era intervenuta all’atto dell’emissione dell’ordinanza restrittiva.

Tale censura era tuttavia ritenuta priva di fondamento dalla Corte di Cassazione che, anche sul punto, dichiarava inammissibile il ricorso.

La questione

Il tema in causa concerne dunque, in materia di bancarotta, l’analisi e la delimitazione del potere cautelare del pubblico ministero nel quando e segnatamente in rapporto al momento del manifestarsi della condizione obiettiva di punibilità costituita dalla dichiarazione di fallimento o di liquidazione giudiziale.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nella sentenza qui annotata (la cui massima ufficiale è quella riportata in apertura della presente nota), muove dal ricordare come, ai sensi dell'art. 238, comma 2, l. fall. (il cui disposto è ora confluito nell'art. 346, comma 2, CCII), per i reati di bancarotta l'azione penale può essere iniziata anche prima della dichiarazione di fallimento nel caso previsto dall'art. 7 l. fall. e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta.

Quanto alla sussistenza degli elementi fondanti, nel caso di specie, l'iniziativa cautelare, la Corte di Cassazione ritiene esente da vizi motivazionali l'impugnata ordinanza del Tribunale di Novara, il quale, con attenta motivazione, aveva ritenuto sussistere gli elementi legittimanti l'applicazione dell'art. 238, comma 2, l. fall. e ritenuto congrue le argomentazioni del pubblico ministero in ordine all'esistenza dello stato di insolvenza della società di cui questi aveva chiesto il fallimento.

Tale insolvenza, più in particolare, risultava al pubblico ministero dalla segnalazione trasmessagli dal giudice fallimentare ai sensi dell'art. 7 n. 2) l. fall., il quale l'aveva rilevata nel corso del procedimento originato dal ricorso di un creditore che pure aveva desistito, ed emergeva dall'esistenza di ingenti debiti verso l'erario ed altri creditori nonché dall'avvenuto svincolo d'autorità dei giocatori che costituivano patrimonio societario, con un duplice ordine di conseguenze:

  • la società in questione non avrebbe più potuto validamente operare e far fronte alle proprie obbligazioni;
  • risultavano soddisfatte le condizioni tutte per l'esercizio anticipato dell'azione penale, il quale si estrinseca anche nella possibilità di richiesta di misura cautelare personale.

Nel richiamare e condividere altre pronunce della giurisprudenza di legittimità in argomento (peraltro anche relative a casi di sequestro preventivo e dunque di misura cautelare reale), la Cassazione precisa ulteriormente come l'art. 238, comma 2, l. fall. consenta, ai soli fini procedimentali, di “anticipare” l'iniziativa del pubblico ministero rispetto ai termini “naturali” propri del diritto penale sostanziale, consentendo una deroga a quanto previsto dal comma 1 della stessa disposizione, secondo cui “Per i reati previsti negli artt. 216, 217, 223 e 224 l'azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento di cui all'art. 17”.

L'esercizio “anticipato” dell'attività processuale è, comunque, imposto al pubblico ministero, nell'ambito rigidamente circoscritto, secondo la lettera dell'art. 238, comma 2, l. fall., da tre limitazioni:

  • devesi procedere per i reati di cui agli artt. 216,217,223 e 224 l. fall., ed il riferimento a tali norme, per quanto riguarda i possibili e conseguenti casi di restrizione della libertà personale, non può che avere carattere tassativo;
  • debbono ricorrere le ipotesi di cui all'art. 7 l. fall. o altro grave motivo;
  • deve già esistere o deve essere contemporanemante avanzata istanza di fallimento.

La ratio della disposizione, continua la Corte, è agevolmente rinvenibile nell'esigenza di interrompere condotte delittuose già in atto, e costituite dal distacco - con qualsiasi forma e con qualsiasi modalità esso avvenga - del bene dal patrimonio dell'imprenditore, la cui protrazione, alla luce del già maturato stato di insolvenza, renda definitivo o maggiormente dannoso il loro esito. Da tanto discende che il legislatore ha dato rilevanza, per i limitati ma significativi fini di ordine processuale, ai profili di probabile lesione degli interessi dei creditori in seno ad una condotta pur ancora carente del crisma giudiziale dichiarativo dell'insolvenza ed indefettibile premessa alla procedura concorsuale.

La Corte di Cassazione conclude quindi ribadendo l'ammissibilità, in siffatti contesti, dell'emissione di misure cautelari personali, ed invero la mancanza della dichiarazione di fallimento non si risolve in un ostacolo incompatibile con l'esercizio dell'azione penale nel suo dispiegarsi anche nella fase delle indagini preliminari e della domanda cautelare, ben potendo essere integrati i “gravi indizi di colpevolezza” richiesti dall'art. 273, comma 1, c.p.p.

Osservazioni

Nel caso al vaglio il Tribunale di Novara, a fronte della desistenza del creditore che aveva avanzato ricorso per la dichiarazione di fallimento di una società per azioni, trasmetteva gli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 7 n. 2) l. fall. ritenendo comunque insolvente la medesima società. Il procuratore della Repubblica, successivamente:

  • presentava autonoma istanza di fallimento, la quale determinava nuova apertura della procedura fallimentare;
  • avanzava richiesta di emissione della misura cautelare della custodia in carcere, poi accolta, a carico dell'amministratore della società di cui aveva chiesto il fallimento, che pure non era ancora stato dichiarato, per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione (artt. 216, comma 1, n. 1) e 223, comma 1, l. fall.) e di bancarotta per avere cagionato il dissesto della società a seguito di operazioni dolose (art. 223, comma 2, n. 2), l. fall.).

Il pubblico ministero, dunque, aveva evidentemente fatto applicazione delle facoltà concessegli dall'art. 238 l. fall., il cui contenuto è ora riportato nell'art. 346 CCII che, alla rubrica “Esercizio dell'azione penale per reati in materia di liquidazione giudiziale”, così dispone:

“1. Per i reati previsti negli articoli  322,  323,  329  e  330, l'azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale di cui all'articolo 49.

2. È iniziata anche prima nel caso previsto dall'articolo 38 e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta”.

Dalla lettura della norma si comprende subito l'importanza del secondo comma, in quanto tale disposizione consente, in deroga ai principi generali di cui il primo comma è espressione, l'esercizio dell'azione penale anteriormente alla dichiarazione (prima di fallimento ed ora) di liquidazione giudiziale ed a condizione, come già osservato, che tale azione abbia ad oggetto i reati di bancarotta fraudolenta e semplice, propria e impropria (già disciplinati dagli artt. 216,217,223 e 224 l. fall. ed ora dagli artt. 322,323,329 e 330 CCII), ricorrano i casi di cui prima all'art. 7 l. fall. e ora all'art. 38 CCII e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e comunque già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta.

Le disposizioni di cui agli artt. 238, comma 2, l. fall. e 346, comma 2, CCII appaiono dunque di carattere eccezionale, e ciò perché, legittimando l'adozione di misure cautelari personali, possono avere ricadute in termini di restrizione della libertà personale, e dunque, come tali, non sono applicabili ai casi di procedure concorsuali diverse dal fallimento o liquidazione giudiziale ed in primo luogo, dunque, nel caso del concordato preventivo.

La ratio delle disposizioni in argomento, come condivisibilmente ricordato nella sentenza qui annotata, si individua nella necessità di consentire al pubblico ministero di svolgere le opportune attività investigative, pur (ancora) in difetto della condizione obiettiva di punibilità (cfr. art. 44 c.p.) costituita dalla sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, al fine di contenere i rischi che le eventuali condotte di natura delittuosa in corso di esecuzione aggravino o protraggano le loro conseguenze, evidentemente lesive degli interessi del ceto creditorio; ben si comprende infatti che, qualora detto difetto precludesse l'esercizio di attività d'indagine, il reo medio tempore potrebbe consolidare o comunque aggravare l'azione criminosa ormai in atto senza correre il rischio di essere prontamente fermato.

Da tutto ciò deriva come la nozione di azione penale di cui al secondo comma dell'art. 346 CCII (nozione mutuata tra l'altro dalla lettera del più volte citato e precedente art. 238, comma 2, l. fall., entrato in vigore ben prima del Codice di procedura penale del 1989) debba intendersi riferita a quella di indagine preliminare, certo non potendosi interpretare in termini di azione penale in senso tecnico. Il codice di procedura penale del 1989, infatti, disciplina con precisione il momento dell'esercizio dell'azione penale, individuandolo in quello della richiesta di rinvio a giudizio, dell'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio e ancora nei casi di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. (cfr. artt. 60 e 405 c.p.p.), con la conseguenza che il riferimento all'azione penale in senso tecnico darebbe luogo nella sostanza ad una interpretatio abrogans dell'art. 346, comma 2, CCII, ragionevolmente il pubblico ministero non potendo fin da subito, e senza avere compiuto attività investigative, chiedere il rinvio a giudizio dell'indagato.   

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, pur non affrontando espressamente la questione dell'interpretazione della nozione di azione penale, giunge di fatto a conclusioni analoghe, richiamando e condividendo propri precedenti arresti ove si argomentava come la mancanza della dichiarazione di fallimento non si risolva in un ostacolo incompatibile con l'esercizio dell'azione penale per l'appunto nel suo dispiegarsi anche nella fase delle indagini preliminari e della domanda cautelare .

La facoltà di esercizio anticipato dell'indagine preliminare, allora, non può che consentire al pubblico ministero di avanzare - secondo il suo prudente apprezzamento e con una particolare cautela dovuta evidentemente al fatto che la domanda cautelare precede la dichiarazione di liquidazione giudiziale, peraltro ancora sub iudice - anche richiesta di misure cautelari personali e reali, come ribadito nella pronuncia qui annotata in termini diretti per quelle personali e, per quelle reali, tramite il richiamo a massime conformi aventi ad oggetto, per l'appunto, l'emissione in casi simili di misure di sequestro preventivo.

La ratio sottesa agli artt. 238, comma 2, l. fall. e  346, comma 2, dCCII è invero costituita, si ripete, proprio dall'esigenza di offrire idonei strumenti onde impedire tempestivamente il protrarsi di condotte delittuose in corso di esecuzione, nell'attesa dell'ormai prossimo avverarsi della condizione obiettiva di punibilità, anche in ragione della già maturata insolvenza e dell'avvenuta presentazione della richiesta di liquidazione giudiziale.

E' dunque chiaro che, qualora la domanda cautelare del pubblico ministero fosse ancora impedita, la suddetta ratio sarebbe frustrata, anche in danno delle ragioni creditorie, ove ulteriormente si osservi come, proprio in riferimento al fatto dell'ipotizzata esistenza di condotte delittuose in atto, appare lecito ritenere più che probabile che nei medesimi casi possano sussistere i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall'art. 273, comma 1 c.p.p. nonché le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. in tema di misure personali ed ancora di cui all'art. 321, comma 1, c.p.p. in tema di sequestro preventivo.

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