Si esaminano alcune delle questioni dubbie derivanti dalla c.d. “dematerializzazione delle udienze”, per tale dovendosi intendere la celebrazione delle udienze stesse mediante deposito di note scritte, così come regolamentate dalla riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 all'art. 127-ter c.p.c.
Revocabilità d'ufficio del decreto che dispone la sostituzione dell'udienza mediante scambio di note scritte
Al quesito pare doversi dare risposta negativa, stante il disposto dell'art. 177, comma 2, n. 3), c.p.c. che, ancorché relativo alle “ordinanze” appare applicabile analogicamente al decreto di cui all'art. 127-ter c.p.c., che ha natura “interinale” e non decisorio. Infatti, anche in questo caso la legge prevede uno speciale mezzo di reclamo per contestare la scelta del giudice, cioè l'opposizione delle parti di cui al secondo comma; in assenza di questa, dunque, sarebbe precluso giudice di revocare “ex officio” il suo precedente provvedimento e disporre nuovamente che l'udienza da egli stesso dematerializzata si (ri)converta in presenza.
Possibilità per il giudice di prevedere termini “sfalsati” per le parti
L'opinione prevalente ritiene che il termine per il deposito di note scritte vada assegnato dal giudice a tutte le parti in modo unico ed unitario. Ciò si desumerebbe dal dato letterale della norma, a mente del quale il giudice assegna alle parti “un termine perentorio”; in tal senso si è espressa, sia pure relativamente alla precedente disciplina emergenziale “ratione temporis” applicabile, Cass. civ., sez. III, n. 37137/2022. Inoltre, si obietta che stante la natura sostanzialmente “riepilogativa” delle note di trattazione, che possono avere il contenuto limitato di cui all'articolo 127-ter, comma 1, c.p.c., non vi sarebbe alcuna necessità di assicurare il contraddittorio concedendo alle parti termini cc.dd. “sfalsati”.
Secondo altra opinione, minoritaria, invece, il giudice dovrebbe assegnare alle parti termini “sfalsati” (cioè con diverse scadenze) oppure un doppio termine a ciascuna di esse, poiché altrimenti si darebbe luogo a violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, rendendo la disposizione di dubbia costituzionalità.
Pare preferibile la prima tesi, atteso il tenore letterale della norma, la necessità di non realizzare un appesantimento e rallentamento delle attività di udienza (in aperto contrasto con la “ratio” della riforma del 2022 e della stessa stabilizzazione della modalità di trattazione “cartolare”), nonché considerata la valvola di sicurezza di cui all'articolo 101, comma 2, c.p.c. novellato dal d.lgs. n. 149/2022, in forza del quale “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni.” Dunque, qualora una parte dovesse introdurre con le note depositate telematicamente elementi in grado di pregiudicare il diritto di difesa dell'altra (non posta, proprio a causa dell'unicità del termine, in condizione di difendersi rispetto a tali elementi di novità), il giudice avrà il potere-dovere di rinviare l'udienza nello stato, concedendo alle parti un nuovo termine, oppure di fissare una nuova udienza in presenza.
Possibilità per il giudice, che abbia già disposto la trattazione dell'udienza con la modalità di trattazione “scritta”, di disporne la conversione mediante svolgimento con strumenti audiovisivi ai sensi dell'art. 127-bis c.p.c. a richiesta delle parti
A tale quesito sembra doversi fornire risposta affermativa, ma solo nel caso in cui una o entrambe le parti si oppongano alla trattazione “scritta”. Avendo infatti negato il potere del giudice di revocare “ex officio” il decreto con cui ha disposto la trattazione ex art. 127-ter c.p.c., soluzione che non potrebbe che estendersi anche alla celebrazione con strumenti audiovisivi, ben potrebbe il magistrato, cui sia richiesto di celebrare l'udienza “in presenza”, stabilire che essa si svolga ai sensi dell'art 127-bis c.p.c., stante la sostanziale fungibilità tra tale modello di trattazione e quella “in presenza”, essendo entrambi connotati dall'oralità, sia pure a distanza.
Possibilità per il giudice di ricomprendere nel termine perentorio per il deposito delle note di trattazione scritta la fissazione di un orario
Un primo orientamento appare favorevole a riconoscere al giudice il potere di fissare un orario, anch'esso “perentorio”, come il giorno, entro cui le parti devono provvedere, a pena di decadenza, a depositare le note di trattazione scritta.
In tal senso deporrebbero i seguenti argomenti:
il potere di direzione del processo in capo al giudice ex art. 175 c.p.c., che ben gli consentirebbe non solo di individuare la modalità di svolgimento dell'udienza (art. 127, comma 3, c.p.c.), ma “a fortiori” anche l'orario entro cui le parti sono tenute a depositare le note di trattazione scritta, a pena di decadenza;
il disposto dell'articolo 155 del Codice di rito, in forza del quale i termini si computano a giorni ed “ore”;
la circostanza che in caso di udienza celebrata in presenza, non vi sono dubbi che il giudice possa fissarla ad orario, considerando poi non comparse le parti nel caso in cui non compaiano all'ora stabilita;
la necessità di assicurare lo svolgimento spedito del processo ed accelerare la definizione dello stesso, finalità che risulterebbero evidentemente frustrate dalla preclusione al giudice di fissare un orario per il deposito di note scritte e, dunque, di dover attendere lo spirare del giorno costituente termine (perentorio) ultimo assegnato alle parti per il deposito medesimo.
Altra ricostruzione, che appare a chi scrive preferibile per la forza degli argomenti che la sostengono, ritiene che il giudice non potrebbe individuare altresì un orario entro il quale le parti devono, a pena di decadenza, depositare le note di trattazione scritta. A favore di questa tesi militano:
la netta differenza ontologica tra l'udienza in presenza e quella exart. 127-ter c.p.c., del tutto slegata da ogni riferimento spaziale e, come tale, non equiparabile (se non attraverso il viatico dell'ultimo comma della succitata norma), a quella che si svolge “de visu”;
la circostanza che se è vero che l'art. 155 c.p.c. fa riferimento, per il calcolo dei termini, ai giorni ed alle “ore”, è altrettanto vero che l'art. 127 ter c.p.c. pare riferirsi, anche in una logica di certezza, ad un termine genericamente individuato, per cui esso nel dubbio deve intendersi riferito al giorno e non anche alle ore;
il chiaro disposto dell'art. 196-sexies disp. att. c.p.c. (coniato dal d.lgs. n. 149/2022) che, disciplinando le modalità e il momento di perfezionamento del deposito con modalità telematiche, prevede che “si ha per avvenuto nel momento in cui è generata la conferma del completamento della trasmissione secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare …” con la normativa regolamentare prevede che ogni deposito sia “tempestivamente eseguito quando la conferma è generata entro la fine del giorno di scadenza”;
il disposto dell'art. 80 disp. att. c.p.c., in forza del quale “Il presidente del tribunale stabilisce con decreto, al principio e alla metà dell'anno giudiziario, i giorni della settimana e le ore in cui egli stesso, i presidenti di sezione e ciascun giudice istruttore debbono tenere le udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti, e le udienze d'istruzione.” Dunque “pro futuro” nelle Tabelle organizzative i Capi degli Uffici dovrebbero prevedere espressamente anche l'orario entro cui le note di trattazione scritta vanno depositate dai difensori delle parti; con il risultato che, in assenza di una siffatta previsione tabellare, non sarebbe, allo stato, consentito ai singoli giudici fissare un orario entro cui le parti debbono depositare le note.
Seguendo questa tesi il giudice potrebbe, al più, nel decreto con cui dispone la celebrazione dell'udienza ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. invitare, con una sorta di “moral suasion”, con un provvedimento che “in parte qua” non comporta conseguenze in caso di sua inosservanza, a depositare le note entro un determinato orario, appellandosi se del caso al dovere di lealtà e probità cui le parti sono tenute ex art. 88 c.p.c., in una logica di collaborazione tra gli attori della giurisdizione.
Ambito applicativo
La collocazione topografica dell'art. 127-ter c.p.c. nell'ambito delle “Disposizioni generali” del Libro I^ del Codice di rito rivela l'importanza dell'istituto nell'impianto della riforma del 2022 e la sua portata, appunto, generale, ritenuto dal legislatore delegato perfettamente fungibile ed alternativo (sia pure nei limiti di cui si dirà) rispetto alla tradizionale modalità di svolgimento dell'udienza in presenza, con trattazione orale della causa.
In tal senso depone anche la terminologia utilizzata per la formulazione della norma, estremamente generica, che si riferisce, ad esempio, al “giudice” ed all'“udienza”.
Ad un primo esame della norma non paiono individuabili limiti di sorta all'utilizzo dello strumento, se non da un punto di vista strettamente soggettivo (per la presenza di soggetti, appunto, diversi da quelli indicati dal primo comma dell'art. 127-ter c.p.c., o per la necessità della comparizione personale delle parti stesse), dovendosi poi verificare, se in ragione delle attività da compiere in udienza, cioè sotto il profilo “oggettivo”, vi siano ragioni ostative al ricorso al modulo della trattazione scritta ex art. 127-ter c.p.c. (come nel caso, secondo alcuni, della decisione resa all'esito di discussione orale ai sensi degli artt. 281-sexiese 429 c.p.c.).
Limiti soggettivi alla trattazione “scritta”
Il riferimento nell'art. 127-ter, comma 1, c.p.c. alle “parti”, atteso che nel processo civile esse stanno in giudizio di regola non già personalmente, bensì tramite i difensori, comporta che la cartolarizzazione dell'udienza non può avere luogo nei casi in cui le parti devono comparire personalmente davanti al Giudice (es. per l'interrogatorio libero ex art. 117 c.p.c., per la convalida di sfratto art. 663 c.p.c. ecc.). Per le stesse ragioni, l'udienza “in presenza” non potrà essere sostituita da quella “scritta” laddove sia fissata per l'assunzione di prove testimoniali, dovendo comparire soggetti, i testimoni, diversi da quelli di cui al primo comma dell'art. 127-ter c.p.c. (fatto salvo il caso in cui il Giudice abbia disposto che la testimonianza sia raccolta con la modalità “scritta” di cui all'art. 257-bis c.p.c.); analogamente nei casi in cui debbano essere sentiti gli “informatori” (come nei procedimenti cautelari e possessori).
Dubbi si pongono poi per la prima udienza di comparizione e trattazione del rito ordinario di cognizione cui all'art. 183 c.p.c., come ridisegnata dal d.lgs. n. 149/2022. Di contro, fatto salvo il limite del rispetto del termine di 5 giorni per esercitare il potere di opposizione alla trattazione “scritta”, è certo che il disposto dell'art. 127-ter c.p.c. possa trovare applicazione per le prime udienze nella vigenza del rito ordinario ante novella.
Il primo comma del nuovo art. 183 c.p.c., infatti, prevede che alla prima udienza “le parti devono comparire personalmente”, ricollegando alla mancata comparizione senza giustificato motivo natura di comportamento valutabile ex art. 116, comma 2, c.p.c.; il terzo comma, poi, stabilisce che il giudice proceda all'interrogatorio libero delle parti, chieda loro i chiarimenti necessari e ne tenti la conciliazione.
Per una prima impostazione, allo stato prevalente, sembra da escludere che possa essere disposta la trattazione “scritta” ex art. 127-ter c.p.c. per questa tipologia di udienza, in quanto radicalmente incompatibile con la nuova formulazione della norma, che richiede espressamente la “comparizione personale delle parti” (ricollegando alla mancata comparizione senza giustificato motivo la valenza di comportamento valutabile ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., cioè come argomento di prova) e stabilisce che il giudice svolga l'interrogatorio libero delle parti e tenti la conciliazione. Tutte attività, queste, con ogni evidenza impossibili da svolgere nell'udienza dematerializzata. Altrimenti opinando, si arriverebbe ad una “interpretatio abrogans” della norma, in aperto contrasto con la novella riformatrice, che ha inteso attribuire alla prima udienza il ruolo di snodo essenziale del processo ordinario di cognizione, quale primo e, potenzialmente, unico, momento di contatto tra le parti, i loro difensori ed il giudice, laddove il giudice disponga, successivamente, ricorrendone i presupposti, che le altre udienze siano sostituite dal deposito di note scritte. Infatti, laddove neanche questa udienza fosse celebrata in presenza, si correrebbe il serio rischio che il processo di primo grado si svolga senza che abbia luogo nemmeno un'udienza in presenza, specie allorquando non vi siano poi richieste istruttorie delle parti o non queste non abbia chiesto ammettersi prove orali o, ancora, le richieste istruttorie siano ritenute inammissibili e/o irrilevanti.
Per un altro orientamento, invece, il modulo di cui all'art. 127-ter c.p.c. sarebbe compatibile anche con la nuova prima udienza nel rito ordinario di cognizione ex art. 183 c.p.c., atteso che in questo caso non è prevista la partecipazione di soggetti diversi dalle “parti”. A questo argomento è agevole obiettare come, in realtà, quello di cui al nuovo art. 183 c.p.c. sia uno di quei casi in cui è richiesta la presenza proprio delle parti in prima persona, e non per il tramite dei loro difensori costituiti. A favore della soluzione possibilista vi sarebbe poi la portata di disposizione generale dell'art. 127-ter c.p.c. imporrebbe, nel dubbio, di considerare ammissibile il ricorso a tale modello di trattazione dell'udienza, nonché il potere di direzione del processo di cui all'art. 175 c.p.c., che consentirebbe al G.I., al fine di assicurare il sollecito svolgimento del giudizio, di dematerializzare anche la prima udienza laddove ciò sia, in concreto, superfluo (es. in caso di giudizio contumaciale, di natura squisitamente tecnica).
Resta fermo, ad ogni modo, che anche a voler accedere a quest'ultima ricostruzione, non sarebbe comunque, ovviamente, possibile, ricollegare alla prima udienza convertita a trattazione scritta le conseguenze derivanti dalla mancata comparizione ingiustificata della parte, stante l'impossibilità di una comparizione, che presuppone la presenza fisica e corporea del soggetto, con un processo celebrato per sua natura a distanza e con soli scritti, per cui, ad esempio, dal mancato deposito delle note scritte il giudice non potrà trarre alcun argomento di prova ai sensi dell'art. 116 c.p.c.
Analoghe considerazioni dovrebbero a questo punto imporsi per la prima udienza nel rito lavoro ex art. 420 c.p.c. in cui il G.L. “interroga le parti presenti”, tenta la conciliazione della lite e formula una proposta transattiva o conciliativa; a tali criticità si aggiunga, poi, che nel rito lavoro il resistente è tenuto a costituirsi almeno 10 giorni prima della prima udienza, termine che risulterebbe incompatibile con il rispetto del termine perentorio libero di 15 giorni che il giudice deve assicurare alle parti costituite per il deposito delle note scritte, nonché la necessità di consentire l'esercizio del potere di opporsi alla trattazione cartolare, soggetto al termine di 5 giorni dalla comunicazione del decreto che dispone che l'udienza si svolga con la modalità di cui all'art. 127-ter c.p.c.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro (con argomento estensibile anche alla nuova prima udienza ex art. 183 c.p.c., stante l'evidente sovrapponibilità delle attività da compiersi ad opera delle parti) con sentenza n. 35109/2022 ha ritenuto infondata la tesi del ricorrente secondo cui la sua partecipazione e quella della controparte sarebbe stata necessaria per procedere al tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 420 c.p.c. sulla base della motivazione per cui tale partecipazione rappresenta una possibilità per gli interessati, ma non è necessaria ai fini dello svolgimento dell'udienza. La Suprema Corte ha evidenziato che la partecipazione al tentativo di conciliazione rappresenta sì una possibilità per gli interessati, ma non anche una condizione necessaria ai fini dello svolgimento dell'udienza e che non è prospettabile una violazione dell'art. 6 CEDU, poiché la normativa garantisce pienamente il diritto di difesa, ben potendo le parti depositare note scritte.
Per le stesse ragioni la dematerializzazione dell'udienza appare incompatibile con la prima udienza del “rito semplificato di cognizione” di cui agli artt. 281-decies e ss. c.p.c. Infatti, l'art. 127-ter c.p.c. presuppone l'assegnazione di un termine di 15 giorni alle parti costituite per la redazione delle note ed un termine di giorni 5 onde consentire loro di esercitare l'eventuale opposizione; di contro, il resistente in questo procedimento deve costituirsi non oltre 10 giorni prima dell'udienza (art. 281-undecies, comma 2, c.p.c.), per cui ben potrebbe costituirsi in un momento in cui non è assicurato il rispetto del termine libero di almeno 15 giorni per il deposito di note scritte, né tantomeno gli è permesso di opporsi alla trattazione “scritta”.
Altro argomento ostativo risiede nel fatto che il decreto di sostituzione dell'udienza presuppone, testualmente, l'avvenuta “costituzione” delle parti in giudizio (così art. 127-ter, comma 2, c.p.c.) onde consentire la comunicazione nei loro confronti del decreto stesso.
Rispetto a tali criticità può però ovviarsi con alcuni correttivi:
ritenendo che la parte che si è costituita successivamente alla comunicazione del decreto che dispone la trattazione scritta sia rimessa automaticamente in termini rispetto al potere di opporsi alla stessa, con decorrenza dalla sua costituzione;
ritenendo che in questi siano “in re ipsa” le “particolari ragioni di urgenza” per cui non è consentito il rispetto del termine perentorio libero di 15 giorni tra la comunicazione del decreto che dispone la dematerializzazione dell'udienza ed il termine assegnato per il deposito di note scritte;
valorizzando il nuovo secondo comma, prima parte, dell'art. 101 c.p.c., nel senso di disporre un rinvio nello stato, in presenza o anche a trattazione scritta, della prima udienza, onde consentire alla parte già costituita di esaminare gli scritti difensivi ed i documenti della controparte e controdedurre, nonché alla parte costituitasi dopo di sprigionare il potere di opporsi alla trattazione ex art. 127-ter c.p.c.
Non paiono porsi invece problemi, in linea generale, per i giudizi contumaciali, atteso che il contumace che si costituisca tardivamente accetta il processo nello stato in cui si trova ed è, ovviamente, rimesso “ex lege” in termini rispetto al potere di opporsi alla trattazione scritta, decorrente dal momento in cui si costituisce ed ha contezza del provvedimento con cui è stata disposta la cartolarizzazione dell'udienza. Ciò anche considerato che la costituzione delle parti può ormai avvenire solo telematicamente e, dunque, non vi è dubbio che il difensore della parte possa avere contezza nel fascicolo telematico dell'esistenza di un provvedimento del giudice che in precedenza abbia disposto la trattazione scritta.
Per le prime udienze dei processi di appello, invece, non vi sono ostacoli, perché per essi non opera il disposto dell'art. 183, comma 1 e 2, c.p.c. che richiedono la comparizione personale delle parti e l'interrogatorio libero delle stesse da parte del Giudice, essendo il “thema decidendum” già cristallizzato nel giudizio di primo grado.
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Sommario
Revocabilità d'ufficio del decreto che dispone la sostituzione dell'udienza mediante scambio di note scritte
Possibilità per il giudice di prevedere termini “sfalsati” per le parti
Possibilità per il giudice, che abbia già disposto la trattazione dell'udienza con la modalità di trattazione “scritta”, di disporne la conversione mediante svolgimento con strumenti audiovisivi ai sensi dell'art. 127-bis c.p.c. a richiesta delle parti
Possibilità per il giudice di ricomprendere nel termine perentorio per il deposito delle note di trattazione scritta la fissazione di un orario