Ancora sui versamenti in conto futuro aumento di capitale

20 Ottobre 2023

La Cassazione torna ad occuparsi dei versamenti dei soci in conto futuro aumento di capitale, analizzandone la disciplina e i criteri distintivi dalle altre modalità con cui i soci possono apportare risorse finanziarie alla società.

Massima

I versamenti dei soci in “conto futuro aumento di capitale” sono funzionali - e, così, causalmente orientati - a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale, che si esegue mediante rinuncia alla restituzione del versamento, da comunicare da parte del sottoscrittore alla società successivamente alla deliberazione assembleare di aumento di capitale.

Tale tipologia versamento, che si distingue sia dai finanziamenti dei soci che dai versamenti a capitale (cd. a fondo perduto) si contabilizza nel patrimonio netto della società e dà luogo a “riserve targate” di esclusiva pertinenza dei soci che le hanno versate (cfr. al riguardo Cass. Civ. 24 luglio 2007, n. 16393, in Riv. dir. comm. 2008, 7-8-9, II). Questi ultimi hanno un diritto di restituzione rispetto a quanto versato in caso di successivo mancato aumento del capitale solo se, nell'interpretare la volontà delle parti, risulti inequivoco che la dazione di denaro fosse causalmente orientata e utilizzabile esclusivamente ai fini della sottoscrizione di un futuro aumento di capitale.

Il caso

La vicenda giudiziaria che si commenta trae origine dalla decisione di una società a responsabilità limitata di escludere un socio dalla compagine sociale e dalla conseguente richiesta di quest'ultimo al Tribunale, ex art. 2473, comma 3, c.c., della nomina di un esperto per la determinazione del valore di rimborso della sua quota.

Il calcolo effettuato dall'esperto è stato, successivamente, contestato con successo dalla S.r.l. avanti al Tribunale di Benevento, che ha di molto rideterminato al ribasso il valore di rimborso della quota del socio escluso. Conferma di tale rideterminazione al ribasso è stata poi pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli. In particolare, per quanto riguarda il presente commento, i giudici di merito (primo e secondo grado) hanno detratto dal patrimonio netto della S.r.l. una somma pari a circa Euro 1,1 milioni indicata in bilancio quale versamento in “conto futuro aumento del capitale”. Ciò, sostenendo che la posta non poteva che costituire un debito della società verso il socio apportante, vista la mancata, successiva, delibera dell'aumento di capitale e non doveva considerarsi una somma definitivamente acquisita dalla società.

La vertenza è poi giunta al vaglio della Corte di Cassazione che, tra i diversi motivi di ricorso, ha dichiarato fondato il quinto motivo, concernente l'esatta qualificazione della posta del patrimonio netto denominata “versamento in conto futuro aumento del capitale”, dal momento che nei bilanci precedenti era stata sempre indicata quale “riserva”, per poi divenire – con una certa approssimazione nella redazione del bilancio e una non chiara volontà delle parti - “riserva da versamenti in conto capitale” e, quindi, “riserva da versamento in conto futuro aumento del capitale”.

Le questioni

La sentenza in commento aiuta a riflettere sulla disciplina dei "versamenti in conto futuro aumento di capitale", fornendo utili spunti interpretativi e pratici. Si tratta di versamenti messi a disposizione della società prima della delibera di aumento del capitale, mediante cui i soci - o anche i terzi (cfr. al riguardo Trib. Milano 7 febbraio 2017 n. 1468 in questo portale) - anticipano alla società la disponibilità finanziaria destinata alla sottoscrizione e liberazione del futuro aumento di capitale (sulla legittimità dei versamenti effettuati causa societatis e non immediatamente imputati a capitale, cfr., tra gli altri, M. Maugeri, Finanziamenti «anomali» dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005; G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato Colombo-Portale, 1, Torino, 2004).

La problematica che contraddistingue i versamenti dei soci alla società non imputati immediatamente a capitale spesso si traduce, come nel caso in esame, in una questione di interpretazione della volontà delle parti. Al riguardo, la sentenza richiama espressamente un precedente della stessa Cassazione (Cass. Civ. 22 dicembre 2020, n. 29325) che con chiarezza distingue e classifica i diversi modi mediante cui i soci possono apportare risorse finanziarie alla società. Si distingue tra: (i) conferimenti a capitale sociale, (ii) finanziamenti dei soci; (iii) versamenti a fondo perduto o in conto capitale e (iv) versamenti finalizzati ad un futuro aumento di capitale. Se è chiaro l'inquadramento dei versamenti sub (i) e (ii), più sottile è la distinzione tra i versamenti sub (iii) e (iv). La distinzione tra queste ultime due tipologie di sostegno finanziario è, tuttavia, assai importante ai fini dell'eventuale diritto del finanziatore alla restituzione. E, parimenti, dal punto di vista della società, la distinzione rileva ai fini della possibilità di considerare la somma quale risorsa finanziaria definitivamente acquisita nel patrimonio netto, oppure condizionata alla successiva delibera di un aumento di capitale.

In altri termini, dicono i giudici che se un certo versamento è “a fondo perduto o in conto capitale” allora trattasi di una riserva che “l'assemblea può discrezionalmente utilizzare, con le ordinarie modalità, per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale”. In tale secondo caso, si badi, anche se il versamento è effettuato da un socio soltanto, l'imputazione della riserva a capitale avverrebbe proporzionalmente, in base alla partecipazione di tutti i soci al capitale sociale. Al contrario, se si tratta di un "versamento in conto futuro aumento di capitale", si è di fronte a una “dazione di denaro finalizzata a liberare il debito di sottoscrizione di un futuro aumento di capitale”. Pertanto, se l'aumento di capitale non viene deliberato, la riserva così creatasi deve essere restituita al socio, a titolo di “ripetizione dell'indebito”. Se invece l'aumento di capitale viene deliberato, allora solo quel socio che ha effettuato il versamento - e non anche gli altri - potranno utilizzare quella riserva per sottoscrivere e liberare l'aumento di capitale.

Osservazioni

Un elemento interessante della sentenza riguarda l’inquadramento giuridico del versamento in conto futuro aumento di capitale per cui propendono i giudici. Al riguardo sussistono diverse tesi: contratti atipici con una condizione risolutiva (anche implicita), consistente nel mancato verificarsi, entro un lasso temporale individuato o da individuarsi, di un aumento del capitale, oppure versamenti effettuati in ragione dell'obbligazione del socio di sottoscrivere l'aumento del capitale soggetto alla condizione sospensiva che la delibera intervenga entro un certo termine. Oppure, ancora, particolare mutuo, che prevede un impegno del socio di accettare l'offerta di sottoscrizione del futuro aumento del capitale e una volontaria compensazione del debito sorto dall'impegno alla sottoscrizione con il credito che il socio vanta per la restituzione delle somme apportate a mutuo.

I giudici del caso in esame escludono la tesi del particolare mutuo e, quindi, non ritengono che la corretta appostazione contabile della somma sia nel passivo dello stato patrimoniale, tra i debiti, dovendosi invece appostare tra le riserve del patrimonio netto. Tuttavia ciò non determina in automatico la definitiva acquisizione della somma da parte della società. I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono infatti declinati alla stregua di una dazione di danaro causalmente orientata, avente titolo e “causa concreta proprio nella partecipazione al capitale sociale mediante un futuro conferimento”. Con la conseguenza che, se non viene deliberato un successivo aumento di capitale, viene meno la “causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale” dovendosi restituire l’apporto al socio a titolo di ripetizione dell’indebito, dal momento che non si è verificata la circostanza per cui quella somma era stata apportata.

Conclusioni

Da un punto di vista pratico, la sentenza è estremamente utile per analizzare gli elementi di fatto che devono guidare il giudice di merito per scoprire la volontà delle parti e, quindi, classificare un versamento in un modo anziché in un altro. Non basta affidarsi al nome della posta patrimoniale del bilancio, ma occorre basarsi su elementi più concreti: annotazioni nelle scritture contabili, commenti inclusi nella nota integrativa, comportamento delle parti e – molto importante – l’eventuale condivisione di un termine finale entro cui deve essere deliberato l’aumento di capitale da sottoscrivere con il versamento in conto futuro aumento. Al riguardo, il suggerimento pratico che sembra emergere dalla lettura della sentenza è quello di accompagnare sempre, con una lettera del socio alla società, il versamento, per rendere manifesta la volontà delle parti ed assoggettare la dazione di denaro ad una certa disciplina.

Venendo allo specifico caso di specie, concernente il valore di liquidazione della quota del socio escluso, si capisce che la differenza tra i versamenti sub (iii) e (iv) è significativa. Se infatti la dazione è causalmente orientata alla sottoscrizione di un futuro aumento di capitale, non è definitivamente acquisita nel patrimonio netto e, in mancanza dell’aumento di capitale, deve essere restituita. Di conseguenza, trattasi di un importo da considerare tenendo conto della sua specificità (e non come fosse una normale riserva) per valutare il patrimonio sociale e, a cascata, il valore di rimborso della quota del socio escluso.

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