Obbligatorietà e funzione della formazione delle classi dei creditori nel Concordato Preventivo e nel PRO

Paolo Bosticco
20 Ottobre 2023

Nell’ambito delle nuove procedure di risanamento, alla scelta del legislatore di consentire – in misura più o meno incisiva a seconda dell’istituto adottato - il superamento della rigidità delle regole di graduazione dei crediti, fa fronte la peculiare attenzione per il trattamento dei creditori in funzione della diversità delle posizioni, che viene tutelata imponendo per fattispecie sempre più frequenti la suddivisione in classi, di modo che la facoltatività del classamento, seppure ribadita come approccio di base, assurge quasi a un’ipotesi residuale.

La facoltatività del classamento sino al CCII

Sin da quando il d.l. n. 35/2005 (poi recepito nella riforma organica della previgente legge fallimentare) ha modificato l'istituto concordatario, introducendo, tra l'altro, la possibilità di suddivisione dei creditori in classi, tale opzione è stata oggetto di discussione e, tra i primi argomenti controversi, vi è stata la valutazione in merito alla sussistenza in talune ipotesi di un vero e proprio obbligo di formazione di classi, onde evitare situazioni sperequate.

Il tentativo di ipotizzare situazioni nelle quali sarebbe obbligatoria la formazione di classi, ad esempio, è stato sostenuto in passato (da Trib. Monza, 27 novembre 2009, in sito DeJure.it, 2010) per l'ipotesi – tutt'altro che infrequente – della presenza di creditori destinati ad ottenere, in aggiunta al soddisfo concordatario falcidiato, ulteriori pagamenti per effetto di garanzie loro concesse da terzi estranei alla procedura (sul presupposto legale dell'estensione degli effetti del concordato ai soli soci illimitatamente responsabili e non anche ai fidejussori).

Tuttavia, nonostante il lavorio giurisprudenziale e dottrinale, la tesi prevalente sul punto, anche alla luce del testo letterale del previgente art. 160 l.fall., era che la scelta del legislatore fosse stata per la facoltatività della formazione delle classi, di modo che il sindacato – piuttosto ficcante – del Tribunale sulla congruità sotto il profilo dell'omogeneità delle scelte compiute dal debitore che abbia optato per la suddivisione in classi, non si è ritenuto potesse estendersi alla scelta di non procedere, invece, al classamento.

Tant'è che il legislatore, allorché ha voluto introdurre un obbligo di classamento, ha ritenuto necessaria un'apposita disposizione, come è avvenuto nell'art. 182-ter l.fall. che, in tema di transazione fiscale, prevede che, laddove sia proposto il pagamento parziale di un credito tributario o contributivo privilegiato, la quota degradata al chirografo debba essere inserita in un'apposita classe; parimenti, l'inserimento in una classe è stato ritenuto necessario nel caso di crediti postergati ex lege a norma dell'art. 2467 c.c., laddove un trattamento parificato agli altri chirografari sarebbe lesivo del principio di omogeneità che si evince dall'art. 160 l.fall. previgente (come precisato da Cass., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20649, che peraltro riprende un principio già sancito da Cass., Sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706).

In questo senso, la scelta per la formazione delle classi, sebbene non obbligata, appare come un'opzione quasi ineludibile per il debitore che voglia correttamente – ma anche nel proprio interesse, in quanto situazioni sperequate potrebbero portare al voto negativo - tener conto della difformità delle posizioni dei creditori; l'esempio tipico è quello dei crediti contestati: la Suprema Corte ha più volte sancito (v. da ultimo Cass. civ, sez. I, 5 maggio 2022, n. 14211; conf. Cass. civ, sez. I, 13 giugno 2018, n. 15414; Cass. civ, sez. I, 26 luglio 2012, n. 13284) l'inammissibilità di una proposta concordataria che semplicemente pretermetta tali posizioni, ritenuto che in tal modo venga meno la certezza del piano concordatario anche per gli altri creditori e quindi la soluzione più appropriata potrà essere quella di inserire quei crediti in una classe separata, nella quale il soddisfo potrà essere anche parametrato ad una ponderata valutazione sull'esito del contenzioso pendente.

In realtà in questo, come in altri casi (tra i quali l'ipotesi in cui taluni creditori possano contare su un soddisfo parallelo per garanzie prestate da terzi), la formazione delle classi potrebbe rappresentare per certi versi una necessità pratica per il debitore, ai fini di poter sperare in un più ampio consenso, ma anche il metro sul quale si potrà esercitare il sindacato giudiziale quando il debitore abbia optato per il classamento (arg. da Trib. Milano, 4 dicembre 2008, in Fallim., 2009, 323 che ebbe a censurare un classamento inadeguato proprio in relazione al trattamento dei crediti garantiti da garanzia di terzi).

L'introduzione di ipotesi specifiche di classamento obbligatorio

L'impostazione accolta sotto il previgente orientamento è stata ripresa, ma solo in parte, nel Codice della Crisi, nel quale continuano ad esistere tipologie di concordato nelle quali non viene imposto un obbligo, bensì una mera facoltà e tale scelta trova conferma indiretta proprio nelle disposizioni che per altri tipi di procedura impongono, per contro, la formazione di classi.

L'esempio più rilevante della prima opzione è quello del concordato liquidatorio che rimane – almeno in linea generale, seppure con molte limitazioni, come vedremo - una procedura lasciata sotto tale profilo alla discrezionalità del debitore.

Anche nel concordato semplificato il legislatore ha optato per la facoltatività del classamento (come nella proposta esaminata da Trib. Como, 27 ottobre 2022, in Fallim., 2023, 791), come si evince dal tenore dell'art. 25-sexies CCII (“la proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi”) e la medesima scelta compare nel concordato minore, laddove però l'art. 74 CCII impone la formazione di classi in presenza di creditori titolari di garanzie prestate da terzi e  e nel concordato a chiusura della liquidazione giudiziale, laddove l'art. 240 CCII aggiunge, pervero, un'ipotesi di classamento obbligatorio per i crediti dei portatori di obbligazioni o altri strumenti finanziari, ma dall'art. 241 CCII si evince che in generale la formazione di classi costituisce una mera possibilità.

Tuttavia, al di là di tale approccio generale, la facoltatività del classamento è di fatto una scelta cui il debitore potrà raramente ricorrere, posto che, anche all'interno di tali procedure, vengono individuate fattispecie nelle quali il legislatore ha ritenuto necessaria la formazione di una classe apposita, e ciò in funzione della presenza di particolari categorie di creditori che frequentemente si rinvengono nelle procedure concorsuali.

In tal senso, la formazione di una classe separata è prescritta per i crediti tributari e previdenziali che subiscano una falcidia e per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi; lo stesso avviene per quei creditori ai quali venga proposto un soddisfo mediante utilità almeno in parte diverse dal danaro. Inoltre, l'art. 109 CCII conferma la formazione obbligatoria di una classe per il creditore che effettui una proposta concorrente di concordato e per le società collegate che vengano ammesse al voto.

Altra situazione che comporta la formazione necessaria di classi è collegata all'attribuzione ai soci di un ruolo partecipativo all'approvazione del concordato, come emerge dall'art. 120-ter CCII che ne prevede espressamente l'inserimento in una o anche più classi allorchè il piano preveda modifiche ai diritti di partecipazione e comunque per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (v. O. Cagnasso, L'accesso agli strumenti di regolazione della crisi: alcuni profili problematici, in GI, 2023, 1438; A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società, in Ilcaso.it, 2022).

Il legislatore non ha, invece, dettato norme specifiche per il concordato di gruppo, nel quale varrà tuttavia la disciplina dell'inserimento in specifiche classi in conformità a quanto previsto dalla disciplina corrispondente alla tipologia prevalente del concordato. Con la doverosa sottolineatura che, nell'ambito dei concordati di gruppo, l'art. 285 CCII detta un criterio di prevalenza specifico, sancendo che si considera “in continuità” il concordato di gruppo se i flussi complessivi tratti dalla continuità diretta ed indiretta portano ad un “ricavato” superiore per i creditori rispetto a quello che costoro trarranno dai flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, di modo che si dovrebbe ritenere applicabile la disciplina “in continuità” - e quindi anche l'obbligo di formare classi di creditori – a tutte le imprese coinvolte nella procedura di gruppo.

La scelta dell'obbligo di formazione di classi nel concordato in continuità

Un approccio innovativo è stato adottato, viceversa, per il concordato in continuità: l'art. 85 CCII prevede, infatti, espressamente l'obbligo di formare classi di creditori con la previsione che devono essere inseriti in classi apposite i creditori privilegiati che non ricevano integrale soddisfo (dettandosi all'art. 86 CCII anche disposizioni precipue per determinare quando il pagamento differito di tali crediti comporti un sacrificio rilevante ai fini del voto), nonché i crediti chirografari delle imprese minori, derivanti da fornitura di beni e servizi.

La formazione delle classi in questo caso assume una rilevanza ancora più decisiva, posto che a norma dell'art. 109 CCII per l'approvazione del concordato in continuità occorre il consenso unanime di tutte le classi, con l'unico correttivo (a parziale temperamento delle conseguenze della scelta di non prevedere un meccanismo di “silenzio-assenso”) costituito dalla possibilità di considerare raggiunto il consenso all'interno della singola classe ove vi sia il voto favorevole dei due terzi dei votanti, purché costoro rappresentino almeno la metà dei crediti di quella classe.

Non solo, ma tra le condizioni che la nuova normativa pone – e che costituisce oggetto di precipuo controllo che va a sovrapporsi anche al consenso unanime - affinché il Tribunale possa omologare la proposta concordataria vi è proprio la verifica della corretta formazione delle classi.

Per contro, la possibilità – regolamentata dall'art. 112 CCII – di poter addivenire all'omologa anche in caso di dissenso di una o più classi costituisce una rilevante concessione non solo al principio della “priorità relativa” che consente il superamento del rigore della graduazione, ma anche la conferma della volontà del legislatore di privilegiare la bontà intrinseca della soluzione ristrutturativa rispetto alla formazione di un consenso unanime (v. P.F. Censoni, Il diritto delle crisi e i nuovi concordati, in Ilcaso.it, 2023).

Tant'è, che la possibilità di “ristrutturazione trasversale” è rimessa ad una serie di verifiche mirate a garantire un equo trattamento alle classi dissenzienti, laddove, se una o più classi siano dissenzienti, per giungere all'omologa occorre il rispetto di quattro condizioni, tre che riguardano il contenuto della proposta ed una che attiene all'espressione del consenso:

  • che il valore di liquidazione venga distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione, potendosi, quindi, distribuire liberamente solo il “supero” rispetto al valore dell'attivo liquidato (in particolare gli apporti esterni);
  • sennonché, anche l'attribuzione del valore eccedente quello di liquidazione è condizionata a che sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore (non è del tutto chiaro se la valutazione prevista sia riferita ad un raffronto con il trattamento complessivo dei creditori inseriti in classi dissenzienti o se, come è probabile, il limite alla falcidia dei privilegiati va commisurato al valore di liquidazione del bene gravato da prelazione);
  • altra condizione è che nessun creditore riceva un soddisfo superiore all'importo del credito vantato;
  • in ogni caso, la proposta concordataria dovrà essere approvata dalla maggioranza delle classi e non solo, ma tale consenso maggioritario sarà decisivo solo se almeno una classe sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione (evidentemente non soddisfatti integralmente, chè altrimenti non voterebbero); in alternativa, la proposta potrà essere omologata solo se approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero stati almeno in parte soddisfatti se il valore eccedente quello di liquidazione fosse distribuito rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione.

Il richiamo all'art. 112 CCII estende tale disciplina al concordato di gruppo, laddove a maggior ragione l'attenzione alla formazione delle classi dovrà essere capillare, posto che la proposta concordataria dovrà risultare approvata – con conferma normativa espressa della separazione delle masse delle singole entità coinvolte – da tutte le imprese facenti parte del gruppo per le quali sia stato proposto il concordato.

La verifica compiuta ai sensi dell'art. 112 CCII si estende anche all'ipotesi di riconoscimento di un soddisfo ai soci, ma in quest'ipotesi, nel caso di dissenso di una della classi, viene aggiunta all'art. 120-quater CCII un'ulteriore prescrizione, laddove si dovrà verificare se, destinando ai creditori il valore che si vorrebbe riconoscere ai soci, i soggetti contrari (rectius gli appartenenti a ciascuna delle classi dissenzienti) ricevano un trattamento almeno paritario rispetto alle classi con il medesimo rango e migliore rispetto alle classi di rango inferiore. Con l'opportuna precisazione che il valore riservato ai soci sarà costituito dal valore effettivo che acquisiranno le partecipazioni - o eventuali strumenti che consentano a costoro di acquisirne - all'esito dell'omologazione, dedotto peraltro (opportunamente, poiché in tal caso si tratterebbe in sostanza di una sorta di restituzione di apporti di nuova finanza) quanto i soci abbiano apportato ai fini della ristrutturazione sotto forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto (ovvero, per le sole imprese minori, in qualsiasi forma).

La ratio dell'imposizione del classamento e la sua funzione di tutela

Il primo comma dell'art. 2 CCII definisce alla lett. r) le classi come “insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei”, in ciò mutuando quanto dispone l'art. 160 l.fall. e da tale prescrizione si può muovere anche per individuare la ratio dell'istituto.

Sul doppio requisito di omogeneità giuridica ed economica, già nel previgente orientamento si era formata una robusta base giurisprudenziale, che aveva precisato come il controllo sulla correttezza della formazione delle classi non solo implicasse l'accertamento che non fosse stato previsto un diverso trattamento fra creditori appartenenti alla medesima classe, ma comportasse anche il sindacato sul rispetto di entrambi i criteri fissati dall'art. 160 l.fall., costituiti dall'omogeneità delle posizioni giuridiche e degli interessi economici, laddove l'omogeneità delle posizioni giuridiche riguarda la natura oggettiva delle pretese creditorie sotto il profilo dei loro tratti giuridici caratterizzanti e quindi il carattere chirografario o privilegiato, l'eventuale esistenza di contestazioni sull'an o sul quantum, nonché la presenza di un eventuale titolo esecutivo.

Per contro, l'omogeneità degli interessi economici mira invece a tutelare la par condicio valutando un duplice profilo: la tipologia del credito e la categoria soggettiva del creditore e, per contro, l'aspettativa di soddisfo che quel tipo di creditore ipotizza di ottenere (e qui entrano proprio in gioco fattori come la presenza di garanti ovvero la prospettiva di prosecuzione dei rapporti), con il fine di garantire una distribuzione dell'attivo adeguata alle posizioni che si presentino come omogenee (così Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2018, n. 9378).

Ed appunto, proprio muovendo da queste distinzioni sostanziali alla base del classamento, ci si chiede - ed a maggior ragione quando si valuti una normativa che vuole essere innovativa - quale sia a monte la funzione della suddivisione in classi e la ragione per la quale appaiono ampliati i casi in cui tale scelta è stata resa obbligatoria, valutando se tale opzione non sia in effetti da attribuire proprio alla considerazione per l'adeguatezza del trattamento riservato ai creditori, anche se si è correttamente osservato come la formazione delle classi costituisca di per sé uno strumento di deroga al principio di eguaglianza previsto dall'art. 2741 c.c. (F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallim., 2018, 1417).

Ed invero, come giustamente osserva un Autore (L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di "quadri di ristrutturazione preventiva", in Ilcaso.it, 2023), nell'ottica della ristrutturazione concorsuale voluta anzitutto dal legislatore europeo vi sono strumenti puramente consensuali, ai quali si affiancano istituti idonei a vincolare una minoranza di creditori non consenzienti, ovvero quei creditori non aderenti, ma inclusi in classi consenzienti (l'esempio è il P.R.O. di cui diremo) ed infine, come avviene per il concordato preventivo, strumenti idonei a vincolare sia la minoranza di creditori contrari inseriti in classi aderenti, sia intere classi di creditori dissenzienti (c.d. “ristrutturazione trasversale”).

Se così è, quanto più l'espressione maggioritaria risulta vincolante per le minoranze, tanto più il legislatore ha sentito l'esigenza che gli interessi dei creditori vengano opportunamente suddivisi con la formazione di classi nell'ambito delle quali il dissenso non venga “diluito” in un coacervo di posizioni difformi nel cui ambito potrebbero prevalere interessi completamente diversi e confliggenti, laddove invece all'interno delle classi, se correttamente formate, si auspica possa formarsi un consenso che tenga conto della precipua posizione dei creditori che ne fanno parte. In questo senso, la prescrizione del necessario consenso di tutte le classi equivale all'attribuzione di un impatto decisivo a quegli interessi diversificati (così come, d'altro canto, il legislatore ha attribuito peculiare attenzione alla sterilizzazione degli interessi in conflitto: v. R. Brogi, Il conflitto di interessi nel Codice della crisi, in Fallim., 2023, 599).

Tale approccio mi pare trovi conferma nelle previsioni degli artt. 109 e 112, laddove il legislatore è andato a premiare le proposte concordatarie che, pur favorendo talune classi mediante l'uso della porzione attiva che eccede il valore di liquidazione, abbiano comunque trovato consenso in seno proprio a quei creditori meno fortunati (ma che in ipotesi possano trarre dalla “prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”, come oggi espressamente contemplato nell'art. 84, vantaggi indiretti). In sostanza, l'avvento di un sistema basato sulla “priorità relativa” sembra condizionato ad un “consenso minimo”, ove la deroga alla graduazione “assoluta” venga avallata dal voto favorevole di almeno una classe di creditori ai quali tale deroga recherebbe pregiudizio, anche se tale meccanismo viene non a torto criticato (M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fallim., 2022, 1485) laddove, proprio nel cercare un contemperamento alla prevalenza del volere maggioritario, rischia talora di indebolire lo stesso principio del consenso creditorio.

Sotto altro profilo, poi, la formazione di classi ha anche la funzione di consentire di contrastare quelle scelte del debitore che potrebbero sottintendere un favor non condivisibile: si pensi al rigido meccanismo dettato dall'art. 120-quater CCII per limitare, in caso di dissenso di almeno una classe, l'omologazione dei piani che prevedono di riservare ai soci anteriori alla presentazione della domanda il valore scaturente dalla ristrutturazione.

Per contro, una delle criticità sottese ad una eventuale proliferazione delle classi è quella del rischio del dissenso di una di esse (anche per il meccanismo del voto esplicito che considera contrari i creditori silenti, che ha indotto qualcuno a dubitare della opportunità di tornare invece al “silenzio-assenso”: v. S. Ambrosini, Criterio di prevalenza, fattibilità economica, ipertutela dei privilegiati, silenzio-diniego: quattro “tabù” da sfatare nel concordato preventivo che verrà, in Ilcaso.it, 2022), che potrebbe risultare rilevante nel concordato in continuità – laddove il tribunale non ritenga di intervenire a norma dell'art. 112 CCII – ma che assume effetto decisivo, ad esempio, nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione che postula l'assenso unanime delle classi (A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Ilcaso.it, 2022) ed in tal senso, l'attribuzione di trattamenti differenziati rappresenta per altro verso lo strumento concesso al debitore per perequare la proposta sulla base delle legittime aspettative di determinate categorie di creditori. D'altro canto, a ben vedere, anche l'istituto del cram-down coattivo per i crediti erariali e previdenziali si uniforma a tale principio, laddove la condizione per l'approvazione “forzata” sta tutto sommato in una prevalente valutazione in merito all'equità del soddisfo proposto agli enti interessati, che induce a “sterilizzare” il voto negativo di quella classe.

Segue: formazione delle classi nel piano di ristrutturazione omologato

Dopo aver esaminato l'evoluzione tra legge fallimentare e Codice della Crisi della disciplina delle classi nel concordato preventivo, suo terreno di elezione, giova esaminare l'evoluzione di tale figura nell'ambito del piano di ristrutturazione omologato, che costituisce una delle novità introdotte dal legislatore con il d.lgs. n. 83/2022 che ha finalmente portato all'entrata in vigore del Codice della Crisi. Nel capo I bis del Titolo IV del CCII  è stato, infatti, introdotto questo istituto, che parrebbe destinato ad applicarsi primariamente a fattispecie finalizzate alla prosecuzione dell'attività mediante risanamento (che a detta di taluni dovrebbe costituire una finalità imprescindibile: in tal senso G. Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in DC, 2022 ne esclude l'utilizzo liquidatorio), anche se secondo altri commentatori non sarebbe espressamente escluso un suo utilizzo per soluzioni basate sulla cessione dei beni, come si evince del resto dall'ampio richiamo contenuto nell'ultimo comma dell'art. 64-bis CCII alle disposizioni in tema di concordato (ad es. dalla nomina del Commissario quale liquidatore pare si possa evincere che T. Vicenza, 17 febbraio 2023, abbia avallato un piano di ristrutturazione di tipo liquidatorio).

Per altro verso, soprattutto, l'introduzione del P.R.O. va ricollegata all'esigenza di prevedere – in ciò adempiendo in tesi alle prescrizioni dell'art. 11 della “Direttiva Insolvency” (Dir.UE 1023/2019) – un nuovo istituto che consentisse il superamento dei criteri vincolanti di graduazione, opzione che per certi versi conseguentemente impone un sacrificio ai creditori al quale si è sancito dovesse fare da contraltare un maggior rigore sotto il profilo del consenso, laddove l'omologa è condizionata all'approvazione di ciascuna classe di voto (v. sul punto, L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in sito Ilcaso.it, 2022). D'altro canto, che si tratti comunque di un istituto il cui fine primario rimane il soddisfo delle ragioni creditorie è confermato indirettamente dall'art. 64-bis CCII che impone nella gestione dell'impresa che vi faccia ricorso di rispettare il “prevalente interesse dei creditori”.

E dunque, proprio in funzione di tale vocazione ed origine, in tema di formazione delle classi e di approvazione da parte dei creditori il legislatore ha applicato a questo nuovo istituto le medesime previsioni dettate per il concordato in continuità, acuendone anzi la severità, scelta che – alla luce di quanto si diceva sulla funzione della formazione delle classi – per certi versi va a contrastare la facoltà concessa al debitore di sovvertire l'ordine dei privilegi, con l'unico limite del raffronto con l'alternativa dell'esito di una liquidazione giudiziale, così aprendo le porte a situazioni in cui il soddisfo per talune classi potrebbe rivelarsi irrisorio (cfr. Panzani, op.ult.cit.).

L'art. 64-bis CCII, infatti, prevede che l'istituto “può prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione degli stessi in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei”. L'espressione, per quanto non del tutto categorica (soprattutto se posta in relazione a quanto prevede la Direttiva 1023/2019 che consente ad esempio la deroga al classamento obbligatorio per le PMI), evidentemente pare introdurre un obbligo di formazione delle classi (cfr. P. Beltrami – F. Carelli, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Ilcaso.it, 2022).

La corretta suddivisione in classi, inoltre, costituisce l'oggetto di una delle poche verifiche che il Tribunale è chiamato ad operare ai fini dell'omologazione (cfr. T. Udine, 9 marzo 2023, in Ilcaso.it, 2023).

L'art. 64-bis CCII, in particolare, precisa espressamente (sarebbe bastato un richiamo alla norma corrispondente in materia concordataria) che devono essere inseriti in una classe a parte i privilegiati falcidiati.

Anche nel P.R.O. per l'approvazione, pertanto, occorre l'unanimità dell'approvazione delle classi, peraltro con il riconoscimento al singolo creditore della facoltà di contestare ai sensi dell'art. 64-bis CCII il difetto di convenienza, introducendo un giudizio comparativo il cui il Tribunale andrà a valutare se il trattamento offerto sia più soddisfacente rispetto a quello riveniente dall'ipotetica liquidazione giudiziale.

Sennonché – diversamente a quanto avviene per il concordato preventivo – non è previsto alcun meccanismo alternativo di approvazione “trasversale” che consenta l'omologa in assenza del consenso unanime: ed invero, l'unica alternativa concessa al debitore dall'art. 64-ter CCII è quella di contestare l'esito della votazione, sostenendo che la maggioranza è stata raggiunta in tutte le classi, oppure di avviare la conversione del piano omologato in una vera e propria procedura concordataria; tertium non datur, tant'è che tra le norme richiamate per il P.R.O. è escluso precipuamente l'art. 112 CCII.

Evidentemente, la prima ipotesi – anche in considerazione delle modalità di espressione del voto che non consentirebbero, ad esempio, di trasformare in voto favorevole presunto il voto contrario espresso in forma invalida - si verificherà solo in situazioni peculiari, ad esempio in caso di errore di calcolo dei voti o di contestazione sulla sussistenza del credito ed altresì forse anche allorchè si contesti ad uno dei creditori contrari l'invalidità del voto (o l'inammissibilità a norma dell'artt. 109 CCII per i creditori esclusi dal voto, anche se questa pare più un'ipotesi scolastica) ovvero anche di aver votato in conflitto di interessi (sulla natura generale dell'istituto, arg. da Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2021, n. 2949 seppur in tema di concordato fallimentare), anche se secondo alcune pronunzie la posizione conflittuale non determina l'esclusione dal voto, ma solo la sua collocazione in una classe separata (v. Trib. Milano, 5 dicembre 2018, in Fallim., 2019, 1087, con nota di A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale), il che renderebbe inutile la contestazione, poiché quel creditore andrebbe poi inserito in una apposita classe e v'è da ritenere voterebbe in senso contrario, impedendo l'unanimità.

Osservazioni

All’esito di questa analisi, necessariamente sintetica, sull’evoluzione dell’approccio normativo al fenomeno della suddivisione dei creditori in classi ai fini della ristrutturazione di imprese in crisi, mi pare di dover sottolineare come il legislatore interno non abbia potuto esimersi dal dare attuazione alle indicazioni provenienti dalla disciplina comunitaria che, peraltro, risponde a sua volta ad un “ascolto” per le forti spinte a consentire nei limiti del possibile soluzioni concordate delle sempre più frequenti crisi imprenditoriali, anche a costo di superare le absolute priority rules a favore di una ristrutturazione trasversale fondata sul raffronto con l’esito liquidatorio.

L’impressione è che si sia comunque tentato nel contempo di tutelare, tuttavia, il consenso del ceto creditorio, mediante l’imposizione del voto per classi che dovrebbe consentire l’espressione del dissenso da parte dei soggetti portatori di posizioni diversificate ed enfatizzando la necessità di un consenso unanime. Ovviamente, poi, il primo protagonista della formazione delle classi resta pur sempre il debitore e non vi è dubbio che costui tenterà anche di sfruttare il classamento per garantirsi nei limiti del possibile il consenso prescritto per l’omologazione dello strumento ristrutturativo, ma si tratta di una criticità ineludibile, alla quale potrà in parte fare da contraltare il controllo giurisdizionale sul rispetto dei criteri di omogeneità che presiedono alla formazione delle classi ed un uso ponderato della discrezionalità concessa ai tribunali di superare il voto negativo delle classi, “forzando” l’omologa in funzione del miglior risultato auspicato.

Guida all'approfondimento

In generale sulla “vocazione” sottesa alla creazione di istituti mirati alla ristrutturazione, v. P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in DC, 2022; L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022, citato; sull’influenza dei dettami comunitari, in particolare, sulla deroga ai principi di graduazione sottesa al cram down tributario: F. Cossu, La compatibilità del cram down fiscale negli adr con la Direttiva (UE) n. 1023/2019 e il percorso intrapreso dal legislatore italiano, in Fallim. 2022, 691.

L’orientamento che escludeva l’obbligo di formazione delle classi prima dell’introduzione del CCII è senz’altro maggioritario in giurisprudenza: in tal senso, Cass., Sez. I, 10 febbraio 2011, n. 3274; Trib. Mantova, 7 marzo 2013, in Ilcaso.it, 2013; App. Torino, 3 novembre 2009, in Fallim. 2010, 248; Trib. Bari, 26 ottobre 2009, in Fallim. 2010, 377; sul punto, la questione di legittimità costituzionale sollevata da Trib. Biella, 27 aprile 2009, in Fallim. 2010, 43, fu ritenuta inammissibile da Corte Cost., 12 marzo 2010, n. 98, in GComm, 2011, II, 78 con nota di G.B. Nardecchia, Le classi e la tutela dei creditori nel concordato preventivo; per una panoramica sulla giurisprudenza più risalente, v. la rassegna di P. Catallozzi, Le classi dei creditori e la votazione nel concordato preventivo, in Fallim. 2010, 109 ss..

Anche in dottrina prevale la tesi della natura facoltativa del classamento: v. G. Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallim., 2009, 424 ss.; P.F. Censoni, Sull’ammissibilità di classi con unico creditore nel concordato fallimentare e preventivo, in Fallim., 2010, 324 ss.; D. Galletti, Dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione. Profili giuridici, in A. Jorio – M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, 2284 ss., seppure con qualche dubbio “pratico”; G. Minutoli, Il controllo giudiziale sul mancato o insufficiente «classamento» dei creditori: il punto nella prassi e in dottrina, in Fallim. 2010, 48; G.B. Nardecchia, La classi e i creditori privilegiati nella proposta di concordato, in C. Cavallini (a cura di), Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010, 386 ss.; A. Penta, Obbligatorietà o facoltatività nel «classamento» dei creditori e carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, in Fallim. 2010, 232; la sussistenza di profili di obbligatorietà è stata viceversa sostenuta, tra gli altri, da P. Catallozzi, Il «classamento obbligatorio» nei concordati, in Fallim. 2010, 777; M. Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Fallim., 2009, 437 ss..

Con riferimento alle nuove disposizioni introdotte dal Codice della Crisi, per la non configurabilità, in linea generale, di un obbligo di formazione delle classi ove non sia espressamente previsto: S. Ambrosini, Classi di creditori, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano nel nuovo concordato preventivo, in DF, 2023, I, 223 ss.; S. Sanzo (a cura di), Il codice della crisi dopo il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, Bologna, 2022, 313.

Per le ipotesi di formazione obbligatoria di classi: G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 105 ss.; per i soci ammessi al voto: M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, in BBTC, 2023, I, 166; E. Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo “in pillole”, in sito Ilcaso.it, 2023

Sulla (diversa) disciplina del concordato preventivo e del piano di ristrutturazione omologato con riferimento al superamento, mediante il meccanismo del classamento, del rigido rispetto della graduazione: G. Acciaro – A. Turchi, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in Ilcaso.it, 2022; S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il D.Lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell'impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in DF, 2022, I, 837 ss.; S. Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in DC, 2022;G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Fallim., 2023, 301; I. Donati, Il requisito del “sostegno minimo” dei creditori per l’omologazione del concordato in continuità: una prima (errata) applicazione dell’art. 112, comma 2, lett. d) CCII, in Fallim., 2023, 796; S. Morri, Tentativo di interpretazione dell’art. 112, comma 2, CCII: un mistero avvolto in un enigma, in  www.ilFallimentarista.it, 2023.

Sui limiti, correlati alla prescrizione dell’unanimità dell’approvazione, della verifica del tribunale nell’omologa di un piano di ristrutturazione ai sensi dell’art. 64-bis CCII, v. G. Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in DC,it, 2022; M. Fabiani - I. Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fallim., 2022, 1025; V. Zanichelli, Il Giudice nella ristrutturazione, in DC, 2022.

Sul dubbio circa la configurabilità di un P.R.O. di tipo liquidatorio, v. G. Lener – L.A. Bottai, Prime applicazioni del PRO: la realtà supera le attese, in DC, 2022; S. Ambrosini, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa. E una (non lieve) criticità, in Ilcaso.it, 2022; ID, Il codice della crisi dopo il d.lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Ilcaso.it, 2022. Sulla prevalenza in tale istituto dell’interesse dei creditori: S. Pacchi, I canoni per la gestione dell’impresa nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Ilcaso.it, 2022.

Sulla disciplina del trattamento dei creditori nel P.R.O.: G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 175 ss.; S. Sanzo (a cura di), Il codice della crisi cit., Bologna, 2022, 199 ss.

Sulla disciplina “prevalente” nei concordati di gruppo considerati in continuità: P. Bosticco, I gruppi di società nel Codice della crisi d’impresa, Milano, 2022, 164; B. Maffei Alberti, La nuova disciplina dei gruppi di imprese, in Ilcaso.it, 2022; M. Spiotta, Evoluzione del diritto concorsuale e modello concordatario: unitarietà o pluralità?, in Fallim., 2023, 882.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario