Può ancora il Governo modificare con un decreto correttivo il Codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza?

Filippo Lamanna
25 Ottobre 2023

L’Autore, esaminando il problema del se, il Governo, possa ancora apportare per le vie brevi, con un decreto legislativo, modifiche integrative e correttive al Codice della crisi e dell’insolvenza avvalendosi della facoltà concessagli, per un biennio, dalla l. n. 20/2019, giunge alla conclusione che sarebbe in ogni caso più prudente se a correggere ed integrare il Codice fosse il Legislatore-Parlamento con una legge ordinaria.

La problematica scelta dello strumento normativo con cui emendare i difetti del Codice della crisi e dell'insolvenza dopo l'attuazione della Direttiva Insolvency

Ho già avuto modo di segnalare (F. Lamanna, L'illegittimità costituzionale del Secondo Decreto Correttivo del Codice della crisi e dell'insolvenza e della l. n.53/2021, in www.ilFallimentarista.it, 2.10.2023) come sia indispensabile e quantomai urgente che il legislatore-Parlamento intervenga per apportare ulteriori modifiche al Codice della crisi e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019), anzitutto per sanare il grave difetto di delega che rende manifestamente incostituzionali le norme introdotte con il Secondo Decreto Correttivo (d.lgs. n. 83/2022) in attuazione della legge di delegazione europea n. 53/2021 (essendosi essa risolta in una delega in bianco in violazione dell'art. 76 Cost.) e per eliminare inoltre le svariate ipotesi di contrasto con i criteri e i principi direttivi dettati dall'originaria legge-delega n. 155/2017. Al contempo andrebbero peraltro anche eliminate le varie storture che, sotto molteplici profili, caratterizzano molte delle norme di nuovo conio, laddove esse – tra l'altro - risultano in parte anche falsamente o incongruamente attuative della Direttiva Insolvency 1023/2019.

È dubbio, peraltro, se, a tal fine, sia ancora il Governo a poter rimediare, avvalendosi della prolungata possibilità, concessagli dalla l. n. 20/2019, di emanare decreti correttivi-integrativi del d.lgs. n. 14/2019, oppure se debba intervenire ex novo il legislatore-Parlamento con un'aggiuntiva legge ordinaria.

Premesso, al riguardo, che i decreti integrativi e correttivi sono costituzionalmente ammissibili a condizione che intervengano solo in funzione della correzione o integrazione delle norme delegate già emanate e non in funzione di un tardivo esercizio della delega principale (C. cost., 4 giugno 2014, n. 153), il dubbio in concreto si pone perché, sebbene in forza dell'art. 1 della citata l. n. 20/2019 il Governo avrebbe potuto emanare, “con la medesima procedura indicata al comma 3 dell'articolo 1 della legge-delega n. 155/2017”, disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 14/2019, ciò avrebbe potuto fare, però, solo entro il termine “di grazia” di due anni dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi “adottati in attuazione della delega di cui alla medesima legge n. 155/2017” (fermo il rispetto dei principi e criteri direttivi da essa in origine fissati).

Ebbene, in attuazione della legge-delega n. 155/2017 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 2017, n. 254 ed entrata quindi in vigore il 15° giorno successivo, ossia il 14 novembre 2017), è stato emanato, com'è noto, solo il d.lgs. n. 14/2019, del 12 gennaio 2019, contenente appunto il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, che rispettò, sia pure per un soffio, il termine di un anno dalla data della sua entrata in vigore fisato per l'emanazione dei decreti che avrebbero dovuto attuarla (tenendo conto che l'originario termine finale del 14 novembre 2018 slittò di 60 gg. fino al 13 gennaio 2019 in forza dell'art. 1, comma 3, l. n. 155/2017, secondo il quale tale possibile dilazione sarebbe scattata se il termine previsto per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari fosse scaduto – come è in concreto avvenuto - nei trenta giorni antecedenti il 14 novembre 2018).

Pertanto, il termine dei due anni di grazia per apportare le modifiche correttive sarebbe dovuto decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 14/2019, che peraltro, in origine, era stata peraltro fissata in modo differenziato e duplice, tanto per complicare le cose.  Con riferimento ad alcune delle sue norme fu fissata infatti come data di entrata in vigore quella del 16 marzo 2019, mentre, per il restante corpo normativo, quella del 15 agosto 2020. Stabilire già alla luce di tale duplice data di entrata in vigore se il biennio dovesse decorrere dalla prima o dalla seconda data era ed è, in effetti, un problema alquanto spinoso, poiché da nessun riferimento normativo specifico è possibile evincere con certezza se la decorrenza sia da ricollegare alla data di entrata in vigore delle poche norme subito vigenti o invece dalla data di entrata in vigore successiva e dilazionata prevista per le restanti più numerose norme del Codice.

È senz'altro chiaro, però, che, assumendosi come data di entrata in vigore del Codice idonea a far decorrere il biennio di grazia concesso al Governo per procedere ad emanare decreti correttivi quella del 16 marzo 2019, il biennio sarebbe già spirato il 16 marzo 2021. Assumendosi, invece, come data iniziale quella del 15 agosto 2020, il biennio sarebbe spirato il 15 agosto 2022.

Ebbene, nel rispetto sia dell'una che dell'altra data è stato emanato solo il Primo Decreto Correttivo (d.lgs. n. 147/2020, del 26 ottobre 2020). Invece il cd. Secondo Decreto Correttivo (d.lgs. n. 83/2022, del 17 giugno 2022), in quanto emanato dopo il decorso del primo dei due suddetti termini, quello del 16 marzo 2021, sarebbe da considerare certamente tardivo rispetto ad esso. Potrebbe non dimeno considerarsi tempestivo, almeno teoricamente, rispetto al termine del 15 agosto 2022. Solo “teoricamente”, però, poiché, in realtà, tale decreto non è stato formalmente emanato in attuazione della legge-delega n. 155/2017, ma piuttosto in esclusiva attuazione della legge di delegazione europea n. 53/2021 (che delegava il Governo ad attuare la direttiva UE 2019/1023). E lo conferma anche l'epigrafe del suddetto decreto, che non reca affatto, a differenza di quella del d.lgs. n. 147/2020, alcun riferimento all'art. 1, comma 1, della l. n. 20/2019, che ha prorogato di un biennio il potere di intervento correttivo, ma, appunto, solo alla legge di delegazione europea n. 53/2021. Dunque, anche se tale Decreto viene solitamente appellato, vulgo, come “Secondo Correttivo”, le correzioni da esso apportate al Codice hanno come unica fonte la legge di delegazione europea 53/2021.

Ciò precisato, ad ogni buon conto, qualora si considerassero o il 16 marzo 2021 o il 15 agosto 2022, in alternativa, come possibili termini finali di scadenza del biennio “di grazia”, non vi sarebbe comunque più alcuna possibilità per il Governo di apportare ulteriori integrazioni al Codice per la via breve.

Possono aver dilatato il termine biennale “di grazia” le norme che hanno prorogato l'entrata in vigore del Codice della crisi e dell'insolvenza?

Sennonché, occorre considerare che una delle due originarie date di entrata in vigore del Codice, quella prevista in relazione al maggior numero di norme e più “lunga” (15 agosto 2020), è stata prorogata una prima volta al 1° settembre 2021 dall'art. 5 del d.l. n. 23/2020, il cd. «Decreto Liquidità» (convertito con modificazioni dalla l. n. 40/2020), a causa della sopraggiunta pandemia da Covid-19; ha subìto poi un ulteriore rinvio al 16 maggio 2022 con l'art. 1, comma 1, del d.l. n. 118/2021 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 147/2021), ossia con il decreto che ha introdotto nel nostro ordinamento – tra gli altri - la composizione negoziata ed il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio; infine, il d.l. n. 36/2022, convertito dalla l. n. 79/2022 (cd. Decreto PNRR-bis) ha fissato come conclusiva data di entrata in vigore del Codice quella del 15 luglio 2022.

S'impone dunque la domanda: sono stati idonei tali ripetuti rinvii a spostare non solo la data di entrata in vigore della maggior parte delle norme del Codice (quella del 15 agosto 2020), ma anche il termine di due anni concesso al Governo dalla l. n. 20/2019 per apportare modifiche al d.lgs. n. 14/2019, che, secondo la previsione iniziale, sarebbe dovuto scadere non più tardi del 15 agosto 2022?

Anche rispondere a tale domanda non è facile.

Se, da un lato, è infatti ovviamente indiscutibile che il legislatore-Parlamento potesse rinviare l'entrata in vigore del Codice con legge ordinaria o con atti normativi equi-ordinati, come ha appunto fatto con i decreti-legge nn. 23/2020, 118/2021 e 36/2022 (poi rispettivamente convertiti con le leggi nn. 40/2020, 147/2021 e 79/2022); dall'altro è invece alquanto incerto che tali rinvii possano aver determinato anche uno slittamento del termine di grazia di due anni concesso al Governo dalla l. n. 20/2019 per apportare modifiche integrative al d.lgs. n. 14/2019.

Le soluzioni plausibili e la soluzione preferibile

La risposta negativa potrebbe basarsi anzitutto sul fatto che la l. n. 20/2019 è stata promulgata l'8 marzo 2020, quando il d.lgs. n. 14/2019 era stato già emanato (il 12 gennaio 2019) ed era ormai spirato (il 13 gennaio 2019) il termine per emanare decreti attuativi della legge-delega n. 155/2017, sì che essa, al momento della sua promulgazione, nel prevedere la possibilità di emanare decreti correttivi aggiuntivi entro un biennio dall'entrata in vigore del Codice, sembrava far riferimento alla sola e specifica data di entrata in vigore del d.lgs. n. 14/2019, che all'epoca era quella originaria del 15 agosto 2020, né mostrava aliunde di voler far decorrere il biennio da un dies a quo diverso e “mobile”. Si potrebbe quindi ritenere che, almeno implicitamente, intendesse far coincidere la data d'inizio del biennio solo (ed improrogabilmente) con il 15 agosto 2020. Avrebbe peraltro un non secondario valore sintomatico a conforto di tale possibile soluzione il fatto che i surricordati decreti-legge, che hanno poi disposto i rinvii dell'entrata in vigore del Codice, si sono limitati a modificare la data originaria contemplata nell'art. 389 del d.lgs. n. 14/2019 (quella del 15 agosto 2020), mentre in essi non si rinviene alcun cenno alla l. n. 20/2019, che ha previsto il biennio di grazia e comunque non si rinviene alcuna esplicita disposizione volta a consentire la proroga di tale biennio. Infine, come ricordavo sopra, i decreti integrativi e correttivi sono costituzionalmente ammissibili a condizione che intervengano solo in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate e non in funzione di un tardivo esercizio della delega principale (C. cost., 4 giugno 2014, n. 153), sì che ipotizzare che si possa continuamente spostare il termine per apportare modifiche ai decreti attuativi della delega principale (ossia, in particolare, al d.lgs. n. 14/2019) potrebbe costituire una modalità di elusione di tale principio, finendo per rendere frustraneo anche l'art. 76 Cost. laddove impone di indicare nella legge delega anche un “tempo limitato” in cui il Governo è chiamato ad attuarla con uno o più decreti delegati. È chiaro che se l'originario “tempo limitato” fosse non solo notevolmente “allungato” fino ad un ulteriore dies ad quem da una legge successiva (come ha fatto per il non breve arco di un biennio la l. n. 20/2019), ma fosse ulteriormente prolungato con ripetute norme dilatorie che risultassero multipli di esso, forte sarebbe il rischio di considerare abusivi tali rinvii perché finalizzati giustappunto a violare l'art. 76 Cost.

Alla luce di tali non banali argomenti potrebbe dunque pervenirsi ad escludere che il Governo possa ancora avvalersi del potere correttivo, atteso che, assumendosi come data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti “adottati in attuazione della delega di cui alla medesima legge n. 155/2017” (ossia del d.lgs. n. 14/2019) quella originaria del 15 agosto 2020 (anche se non quella – ancor più anteriore - del 16 marzo 2019), i due anni per le possibili integrazioni sarebbero inesorabilmente spirati il 15 agosto 2022.

Se così fosse, le indispensabili ed auspicabili modifiche ulteriori del Codice finalizzate a correggere le storture introdotte con il Secondo Decreto Correttivo (d.lgs. n. 83/2022) dovrebbero essere necessariamente disposte direttamente con una legge ordinaria ad hoc, oppure, in via alternativa, indirettamente, sulla base di un'ulteriore legge-delega. Nella gerarchia delle fonti, infatti, la legge-delega non occupa una posizione diversa da quella di ogni altra legge (sentenze C. cost., 30 luglio 1993, n. 364 e C. cost., 5 maggio 1990, n. 224; ordinanza C. cost., 25 maggio 1992, n. 225) e pertanto ben può essere modificata con una legge successiva, ovvero anche, ricorrendone i presupposti costituzionali, con decreto-legge.

Ove, invece, si reputasse che i rinvii dell'entrata in vigore del Codice abbiano avuto anche l'effetto (di “trascinamento”) di far decorrere il biennio di grazia a partire dal 15 luglio 2022, il Governo avrebbe ancora tempo per apportare modifiche integrative con iter semplificato fino al 15 luglio 2024; ancora, dunque, per un periodo di tempo (ormai minore) di un anno.

In tale ipotesi, appurata con i debiti mezzi la perdurante possibilità di sfruttare questa chance, il Governo dovrebbe cercare di approfittarne quanto più rapidamente possibile, tenuto conto delle non brevi tempistiche che finora hanno caratterizzato l'iter di redazione, approvazione ed emanazione dei decreti legislativi, oltre che per non lasciare ancora a lungo operatori ed imprese a fare i conti con le tante incertezze applicative ed interpretative provocate dalle norme modificative del Codice che si sono finora succedute.

A ben vedere, però, il fatto stesso che non sia possibile stabilire con assoluta certezza quale delle due sia la soluzione più attendibile, ossia se le correzioni possano ancora essere apportate dal Governo nel prolungato esercizio della delega originaria o invece solo dal legislatore ordinario a causa dell'intervenuta consumazione del predetto potere, determina il rischio che un erroneo intervento correttivo del Governo possa risolversi in un'ulteriore ipotesi di normazione illegittima.

Per sventare tale rischio, anche solo eventuale, forse la soluzione preferibile, più opportuna e prudente sarebbe che fosse comunque il legislatore-Parlamento, recidendo il nodo gordiano, ad intervenire ex novo con legge ordinaria per correggere il Codice della crisi e dell'insolvenza, evitando così il perpetrarsi di ulteriori e residui strascichi di incertezza.

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