Responsabilità concorrente dei sindaci e accertamento del nesso causale

Alessandra Leoni
30 Ottobre 2023

La Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità dei sindaci ex art. 2407, comma 2, c.c., analizzando in particolare la questione dell’accertamento del nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori.

Massima

A fronte di iniziative anomale da parte dell'organo amministrativo di società per azioni, i sindaci hanno l'obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia - diretta, interna ed esterna - doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell'illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge.

Il caso

La curatela fallimentare di una s.r.l. ha promosso azione di responsabilità nei confronti di un amministratore e dei componenti del collegio sindacale della società fallita, chiedendo il risarcimento del danno cagionato da talune condotte illecite poste in essere dall’amministratore nell’inerzia del collegio sindacale, tra le quali, in particolare: (i) mancato tempestivo rilevamento della perdita del capitale sociale; (ii) mancato pagamento dei debiti erariali a fronte di forte liquidità idonea al loro pagamento e a evitare quindi gli addebiti di interessi e sanzioni; (iii) restituzione illecita di finanziamenti ai soci e (iv) illegittimi atti di distrazione.

In primo grado, il Tribunale ha accolto le doglianze della Procedura attrice soltanto nei confronti dell’amministratore della società fallita, condannandolo al risarcimento dell’intero petitum dedotto in atti e identificato con il deficit fallimentare.

Avverso tale provvedimento ha proposto appello il Fallimento, domandando la condanna anche dei passati componenti il collegio sindacale della società fallita.

La Corte d’Appello ha confermato la decisione del Giudice di prime cure rilevando l’assenza di nesso causale tra il comportamento omissivo dei sindaci e il danno verificatosi.

Il Giudice di secondo grado ha riscontrato come i sindaci avessero svolto il loro compito in modo meramente formalistico e come, pur essendo a conoscenza degli illeciti compiuti dagli amministratori, siano rimasti inerti e abbiano scelto di cessare dall’incarico senza assumere nessuna iniziativa. Nonostante tali premesse, la Corte d’Appello ha tuttavia negato la responsabilità dei sindaci, ritenendo che gli stessi non avrebbero comunque potuto impedire gli atti illeciti compiuti dall’amministratore ma soltanto denunciarli al Tribunale e al Pubblico Ministero. Tanto più che, prosegue la Corte, l’amministratore non pareva poter essere indotto “a recedere dalle proprie intenzioni”. Ad ogni modo, secondo il Giudice di Secondo grado, non era neppure stato dedotto e provato che una tempestiva reazione dei sindaci “avrebbe reso più fruttuosa un’azione recuperatoria”.

Avverso tale decisione, il Fallimento ha promosso ricorso in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento della responsabilità dei sindaci convenuti nonostante fossero state sostanzialmente accertate le condotte negligenti degli stessi.

La questione giuridica

Le ragioni della Procedura ricorrente sono state pienamente riconosciute dal Giudice di legittimità che ha censurato la pronuncia della Corte d'Appello per essersi discostata dai precedenti giurisprudenziali in punto di nesso causale tra l'inadempimento dei sindaci e il danno cagionato.

In tal senso, la Suprema Corte ha ribadito il principio di diritto secondo cui “ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l'illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l'impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell'art. 2487 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile” (Cfr. Cass. Civ. n. 18770/2019. Conformi, cfr. Cass. Civ. n. 28357/2020; Cass. Civ. n. 31204/2017; Cass. Civ. n. 16314/2017; Cass. Civ. n. 13517/2014).

Sulla scorta di tale principio, la Suprema Corte ha censurato la sentenza impugnata per non aver considerato “l'idoneità dell'attivazione dei poteri di segnalazione” dei sindaci “non solo a determinare un generale effetto di monito sull'amministratore ma anche quantomeno a evitare ulteriori conseguenze dannose delle condotte distrattive e depauperative poste in essere dall'amministratore”.

Con la pronuncia in commento, dunque, la Corte di Cassazione ha riaffermato in modo rigoroso il proprio orientamento in merito alla responsabilità dei sindaci ex art. 2407, comma 2, cod. civ., offrendo l'occasione per analizzare la questione dell'accertamento del nesso causale in tale fattispecie.

Osservazioni

Ai sensi del secondo comma dell'art. 2407 cod. civ. i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori “quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”.

Come noto, tale norma disciplina la c.d. responsabilità concorrente dei sindaci che, seppur parificati agli amministratori, sono sempre responsabili per fatto proprio. È la stessa norma, infatti, a richiedere l'esistenza di un rapporto causale tra la condotta dei sindaci e il danno, cosicché la responsabilità dei sindaci non potrà rappresentare una proiezione automatica di quella degli amministratori.

La responsabilità concorrente dei sindaci presuppone, allora, (i) un inadempimento degli amministratoti, (ii) un danno a questo conseguente, (iii) un inadempimento proprio dei sindaci e (iv) la sussistenza di un nesso causale tra l'inadempimento dei sindaci e il danno derivante dalle violazioni imputabili agli amministratori.

In altre parole, il nesso causale è elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 2407, comma 2, cod. civ. con la peculiarità che, rispetto all'ipotesi di responsabilità diretta di cui al primo comma, tale fattispecie si caratterizza per la “mancanza di un nesso causale autonomo tra l'inadempimento dei sindaci e l'evento dannoso” (Cfr. G. Cavalli, I sindaci, in Trattato delle Società per Azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 5, 169). Ciò in quanto la responsabilità dei sindaci postula sempre fatti od omissioni degli amministratori da cui deriva un danno.

Alla ricostruzione sopra tratteggiata si aggiunge la circostanza per cui l'accertamento del nesso causale nell'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 2407 cod. civ. sconta le difficoltà tipiche di ogni accertamento riguardante una responsabilità omissiva. Sul punto, si ricorda l'insegnamento della giurisprudenza secondo cui il rapporto causale deve essere provato da chi agisce in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, nel senso che “l'omessa vigilanza è causa del danno se l'attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato)” (cfr. Cass. Civ. n. 28357/2020).

Così ricostruito, l'accertamento del nesso causale finisce per avere contorni più sfumati rispetto a quanto risulterebbe da una rigorosa applicazione del principio della conditio sine qua non (Cfr. A. Tina, Commento sub art. 2407 c.c., in Le Società per azioni, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, 1711). In effetti, come pure sottolineato dalla sentenza in commento, da una parte, si riconosce la responsabilità anche qualora l'attivazione dei controlli avrebbe, se non evitato, anche soltanto ridotto il danno; dall'altra, non si ritiene necessaria la “certezza causale” ma è sufficiente la probabilità – secondo l'id quod plerunque accidit – dell'esistenza del rapporto causale.

In relazione a tale ultimo profilo, la giurisprudenza, sin da prima della riforma del diritto societario (Cfr. Cass. Civ. n. 31204/2017 e App. Torino, 9 luglio 1975, in Giur. Comm., 1976, II, 871), ritiene che i poteri-doveri dei sindaci siano idonei a scoprire e neutralizzare una condotta contra legem degli amministratori e a evitare o, quantomeno, a ridurre le conseguenze dannose della condotta gestoria.

Pertanto – fermo restando che deve sempre sussistere una relazione logica e cronologica tra l'inadempimento dei sindaci e il fatto degli amministratori da cui deriva il pregiudizio – si assume che un corretto adempimento dei sindaci abbia efficacia impeditiva rispetto all'evento dannoso.

In tal senso, la sentenza in commento, ricorda che “a fronte di iniziative anomale da parte dell'organo amministrativo, i sindaci hanno l'obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere di sollecitazione e denuncia – diretta, interna ed esterna – doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell'illecito civile commesso dagli amministratori (Cass. n. 18770/2019)”.

Il risultato pratico è che, in presenza di una condotta illecita degli amministratori da cui è derivato un danno, qualora i sindaci non abbiano assunto tutte le possibili iniziative nell'esercizio dei poteri-doveri propri della loro carica, il nesso causale si presume e questi ultimi sono considerati responsabili.

È dunque onere di chi agisce in giudizio provare l'inadempimento degli amministratori e il danno a questo conseguente, nonché la mancata attivazione dei sindaci e, considerata la presunta idoneità dei poteri di questi ultimi a ridurre le conseguenze dannose della condotta gestoria, il rapporto causale sarà ritenuto sussistente. Spetterà invece ai sindaci convenuti dimostrare l'effettiva inesistenza dello stesso. Il che non sarà di poco conto.

Giova ricordare infatti che per la giurisprudenza non è sufficiente a esonerare i sindaci la dedotta circostanza di essere stati tenuti all'oscuro dagli amministratori o di avere assunto la carica dopo l'effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi o, ancora, di essersi dimessi dalla carica; poiché nei confronti dei sindaci è “esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio” e anche “le dimissioni diventano esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco” (cfr. Cass. Civ. n. 18770/2019 e Cass. Civ. n. 31204/2017). Peraltro, la prova dell'insussistenza del nesso da parte dei sindaci convenuti in responsabilità è resa ancora più ardua dal fatto che, come visto nella sentenza in commento, la Cassazione sembra rinunciare alla ricerca di un effettivo accertamento del nesso causale nel caso concreto, non condividendo il tentativo in tal senso dei giudici di merito. Nel caso in esame la Suprema Corte ha invero censurato la corte d'Appello proprio per aver dato rilievo a circostanze quali la pervicacia dell'amministratore nel perseguire i propri intenti e l'impatto di un eventuale azione dei sindaci sulla fruttuosità delle azioni recuperatorie, ritenendo provata l'esistenza del nesso causale alla luce della mancata attivazione dei poteri-doveri dei sindaci, per definizione idonei quantomeno a limitare le conseguenze dannose della condotta dell'amministratore.

Conclusioni

In definitiva, la sentenza in commento conferma l'orientamento della Cassazione in punto di accertamento del nesso causale nella fattispecie di responsabilità concorrente dei sindaci di cui all'art. 2407, comma 2, cod. civ.. Sul punto, la Suprema Corte esplicita che i poteri di cui dispongono i sindaci sono idonei quantomeno a mitigare gli effetti delle condotte dannose degli amministratori, così ritenendo provato per presunzione il nesso causale tra il danno cagionato dalla condotta degli amministratori e l'inadempimento dei sindaci una volta dimostrato che questi ultimi non hanno attivato i poteri-doveri propri della loro carica.

Tale conclusione, seppur rigorosa, risulta coerente con le previsioni dell'ordinamento che non potrebbe, senza contraddirsi, da una parte riconoscere e prevedere poteri-doveri di controllo dei sindaci e, dall'altra parte, negarne l'idoneità al controllo (in questo senso già G. Cavalli, cit., 174). Fermo restando ciò, si deve comunque coniugare quanto appena detto con l'indicazione fornita dalla stessa norma per cui “l'omessa vigilanza in tanto rileva in quanto possa ragionevolmente ritenersi che l'attivazione del controllo avrebbe consentito di evitare o limitare il pregiudizio” (cfr., da ultimo, Cass. Civ. n. 30383/2022).

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