Ambiente di lavoro obiettivamente "stressogeno" e responsabilità datoriale: gli ultimi approdi della giurisprudenza di merito e di legittimità

03 Novembre 2023

Le ultime pronunce della Corte di cassazione e della giurisprudenza di merito sembrano confermare una tendenza in atto di recente: l'abbandono del mobbing e dello straining come categorie idonee a disciplinare i fenomeni di conflittualità lavorativa e il passaggio ad una nozione “evoluta” degli obblighi di protezione dell'art. 2087 c.c., che comporta l'estensione della responsabilità datoriale anche per l'ambiente lavorativo obiettivamente stressogeno.

Demansionamento e stress: il caso deciso da Cass., sez. lav., 18 ottobre 2023, n. 28923  

La “lunga marcia” dello stress lavoro correlato (1) prosegue incessante il suo cammino, giungendo a nuovi approdi. È il caso affrontato dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 18 ottobre 2023, n. 28923,relativo alla condanna in grado d'appello di una società datrice al risarcimento del danno da demansionamento (in misura del 30% della retribuzione per il primo periodo, accresciuto al 70% nella seconda parte del rapporto fino alle dimissioni della lavoratrice), in cui è stata esclusa la configurabilità del mobbing per l'assenza dell'intento persecutorio.

La lavoratrice appellava la pronuncia della Corte d'Appello di Milano, rivendicando il riconoscimento della natura mobbizzante delle condotte subite e il risarcimento dei relativi danni.

L'ordinanza in esame, nel confermare la pronuncia di secondo grado, cerca di fare ordine all'interno delle categorie della “conflittualità lavorativa”, ribadendo che, secondo gli orientamenti maturati nella giurisprudenza di legittimità:

  • è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra i) l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona e ii) quello soggettivo dell'intento persecutorio nei confronti della vittima (cfr. Cass. 21 maggio 2018, n. 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684), anche a prescindere dall'intrinseca illegittimità di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime;  
  • è configurabile lo straining, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (cfr. Cass. 10 luglio 2018, n. 18164).

In concreto ne deriva che, ai fini della configurabilità di un'ipotesi di "mobbing", non è condizione sufficiente l'accertata esistenza di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione (cfr. Cass., 9 giugno 2020, n. 10992). Allo stesso modo, nel caso di un'isolata condotta demansionante scientemente realizzata nei confronti del lavoratore o della lavoratrice, sarà integrata la fattispecie dello straining.

Quid iuris nel caso invece, molto frequente nella prassi giudiziaria, del mancato accertamento di un'intenzionalità persecutoria o di una condotta comunque attuata scientemente?

Ecco soccorrere la categoria dello stress lavorativo, che secondo la Corte di Cassazione integra la violazione dell'art. 2087 c.c. in tutti i casi in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente (e dunque senza alcun tipo di intenzionalità), il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi (cfr. Cass. 7 febbraio 2023, n. 3692; Cass. 30 novembre 2022, n. 35235; Cass. 15 novembre 2022, n. 33639; Cass. 11 novembre 2022, n. 33428).

La categoria dello stress lavorativo (o lavoro-correlato), che ha un diretto referente normativo nell'articolo 28, primo comma del d.lgs. n. 81/2008 (che a sua volta rimanda alla nozione contenuta nell'Accordo Quadro Europeo dell'8 ottobre 2004), nella pronuncia in commento si articola come segue:

  1. può essere integrata da una pluralità di condotte o atti o può essere costituita anche da un singolo comportamento o atto datoriale (elemento obiettivo);
  2. non richiede alcun tipo di intenzionalità persecutoria, essendo sufficiente anche la semplice colpa (elemento soggettivo);
  3. è causalmente legata (nesso eziologico) ad un pregiudizio che può colpire tanto la personalità morale (dignità) quanto l'integrità psico-fisica (salute) del prestatore di lavoro. 

Singola condotta vessatoria e ambiente lavorativo "stressogeno": il principio enunciato da Cass., sez. lav., 19 ottobre 2023, n. 29101

La seconda ordinanza in commento trae origine da una decisione della Corte d'Appello di Roma che, pur avendo accertato la dequalificazione commessa ai danni del ricorrente, rigettava la domanda di risarcimento ex art. 2087 c.c. di tutti i danni da mobbing asseritamente patiti dal lavoratore per la mancata prova della reiterazione delle condotte datoriali.

In questo caso lo stesso collegio della precedente pronuncia della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d'appello censurando il fatto che, pur essendo stata accertata nel giudizio di merito la realizzazione di una singola condotta illecita, non fosse stata riconosciuta nessuna tutela risarcitoria sul presupposto che per qualificare come mobbizzante il comportamento del superiore gerarchico fosse necessaria l'individuazione di un intento persecutorio a supporto di una condotta vessatoria reiterata e protratta nel tempo.     

Anche in questo caso, abbandonando l'impostazione “panmobbistica”, gli Ermellini affermano che al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing o straining (di chiara derivazione medico-legale, cfr. Cass., 11 novembre 2022, n. 33428; Cass., 19 febbraio 2016, n. 3291), ciò che conta nella prospettiva giuridica è invece che il fatto commesso, anche isolatamente, costituisca un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi del lavoratore protetti al livello più elevato dell'ordinamento (personalità morale, integrità psico-fisica, dignità, identità personale, partecipazione alla vita sociale e politica).   

In questa nuova ottica assume pertanto valore dirimente «l'ambiente lavorativo stressogeno quale fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell'art. 2087 c.c.» (cfr. Cass. 7 febbraio 2023, n. 3692, cit.; Cass. 15 novembre 2022, n. 33639, cit.; Cass. 11 novembre 2022, n. 33428, cit.; Cass. 25 ottobre 2022, n. 31514)

Ecco che nessun rilievo nella qualificazione di illiceità della condotta datoriale possono assumere elementi quali la reiterazione, l'intensità del dolo o altre qualificazioni della condotta i quali, tutt'al più, possono incidere eventualmente sul quantum risarcitorio

Nel caso concreto quindi la singola condotta del superiore gerarchico che, nell'attuare una stressante modalità di controllo nei riguardi di tutti i dipendenti  e in specie  del ricorrente,  con prepotenza si sostituisca alla postazione del ricorrente controllando il lavoro al computer e cancellando una serie di file e che, a seguito delle rimostranze del dipendente, rivendichi con arroganza il proprio ruolo di comando alzando progressivamente i toni sino a provocare un malore al dipendente (nello specifico un attacco ischemico), compie un illecito civile imputabile alla società datrice di lavoro a titolo di responsabilità contrattuale, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale” e salvo la prova contraria, da parte del datore di lavoro, di aver ottemperato a tutte le prescrizioni di sicurezza.     

Ricadute pratiche: riqualificazione della domanda, onere della prova, risarcimento del danno, nozione di conflittualità lavorativa e assunzione del rischio assicurativo

Quali sono le concrete ricadute pratiche di questo nuovo assetto adottato del diritto vivente?

In sintesi, la categoria giurisprudenziale dello stress lavorativo apre quattro differenti percorsi, di natura rispettivamente:

  1. processuale, concernente tanto la qualificazione della domanda quanto gli oneri probatori. Da un lato, anche in presenza di una specifica domanda di mobbing da parte del ricorrente, il Giudice può autonomamente procedere alla riqualificazione - eventualmente applicando anche norme di legge diverse da quelle invocate dalle parti - valutando la violazione del dovere generale di tutela ex art. 2087 c.c. e, laddove accertata, condannando il datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal prestatore (cfr. Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692, cit.; Cass., 30 novembre 2022, n. 35235, cit.; Cass. 15 novembre 2022, n. 33639, cit.; Cass. 11 novembre 2022, n. 33428, cit.). Dall'altro lato, la natura contrattuale della responsabilità derivata dall'applicazione dell'art. 2087 c.c. significa agevolare notevolmente l'onere probatorio a carico del dipendente, essendo del tutto irrilevante l'elemento soggettivo nell'accertamento dell'inadempimento (2). Come osservato da un'acuta dottrina (3), infatti, ciò che rileva nel sorgere della responsabilità ex contractu non è la colpa del datore di lavoro, bensì la obiettiva violazione dell'obbligo di protezione ex art. 2087 c.c., ovvero il venir meno al “programma di comportamento”, che costituisce il proprium di ogni rapporto negoziale (4). Considerazione ripresa proprio dall'ordinanza 29101/2023 della Corte di Cassazione nella parte in cui afferma, in modo inequivoco, che la responsabilità contrattuale del datore di lavoro prescinde dal dolo e dalla colpa, dovendo egli stesso dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza (in questo modo facendo un passo avanti anche rispetto all'ordinanza di pochi giorni prima, la 28923/2023, in cui invece permane ancora il “residuo” della colpa). In senso analogo, un'altra recente pronuncia di legittimità ha addirittura parlato di inversione dell'onere della prova (cfr. Cass., 24 agosto 2023, n. 25217).    
  2. risarcitoria, laddove l'ultima pronuncia della Cassazione in ordine di tempo (la n. 29101/2023) sostiene che “la reiterazione, l'intensità del dolo o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento”. Se dunque nessun rilievo possono avere sul piano dell'an dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento dell'obiettiva violazione - anche episodica e isolata - del precetto di cui all'art. 2087 c.c., certamente il mobbing e lo straining (principali fenomeni persecutori sul lavoro) mantengono un autonomo rilievo nella determinazione del compendio risarcitorio. È di tutta evidenza, infatti, che condotte dolose e connotate da preordinazione (spesso accostate al dolo specifico di penalistica derivazione) assumono una gravità di gran lunga maggiore rispetto ad illeciti derivanti da semplice negligenza o imperizia, quali sono di norma quelli ascrivibili al datore di lavoro per l'inerzia mantenuta nel tollerare l'esistenza di un ambiente lavorativo stressogeno. Di più e oltre, nel sottolineare la plurilesività dello stress lavorativo che può colpire tanto la sfera dell'integrità psico-fisica (salute) quanto la personalità morale del prestatore (dignità, identità personale, professionale e sociale), la Corte di Cassazione afferma con forza la possibile esistenza di situazioni lavorative stressogene svincolate dal predominio della componente “biologica” (cfr. OIL, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza del lavoro italiana, p. 11; sulla personalità morale quale ulteriore bene giuridico oggetto di tutela ex art. 2087 c.c., cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16711).
  3. indennitaria, considerato che l'obiettiva violazione dell'obbligo di protezione ex art. 2087 c.c. su cui si fonda la responsabilità datoriale per l'inerzia e la negligenza nella tolleranza di un ambiente lavorativo stressogeno, potrebbe consentire l'assunzione del rischio assicurativo che, al contrario, sarebbe radicalmente escluso ove si trattasse di condotte connotate da intenzionalità o premeditazione (rientrando nelle clausole di esclusione del rischio per dolo dell'assicurato). Circostanza, questa, spesso determinante per la definizione in via conciliativa dei relativi contenziosi.            
  4. tassonomica, nella parte in cui la nuova prospettiva giurisprudenziale che estende l'applicazione dei doveri di protezione ex art. 2087 c.c. anche alle situazioni lavorative conflittuali di stress forzato, rimodula completamente il perimetro della “conflittualità lavorativa”. Se in un recente passato, infatti, la giurisprudenza ha considerato la litigiosità e gli screzi lavorativi come causa di esclusione dell'intento persecutorio e, conseguentemente, come sintomo dell'inesistenza del mobbing (5) (lasciando quindi totalmente prive di tutela situazioni invece meritevoli comunque di una diversa forma protezione), oggi invece il nuovo orientamento valorizza di fatto la conflittualità quale “evento sentinella” dello stress, analogamente alla invalsa prassi amministrativa in materia (6).           

Limitata disponibilità di spazi e stress lavorativo: la pronuncia del Tribunale di Roma, sez. lav., 24 marzo 2023, n. 3077

Che la concezione sistemico/organizzativa dello stress lavorativo stia permeando, vivificandola, non solo la giurisprudenza di legittimità ma anche quella di merito, è dimostrato da alcune recenti pronunce che hanno preso in considerazione non solo la fase di svolgimento del rapporto di lavoro, ma anche la cessazione per licenziamento disciplinare (si pensi alla recente ordinanza del Tribunale di Cremona commentata in IUS/IlGiuslavorista, 13 ottobre 2023).

Con riguardo più propriamente alla gestione del rapporto lavorativo, di particolare interesse appare la sentenza del Tribunale di Roma, sez. lav., 24 marzo 2023, n. 3077, relativa alla domanda di risarcimento del danno per condotte mobbizzanti asseritamente realizzate ai danni di un prestatore di lavoro. In particolare, la domanda del ricorrente veniva riqualificata - citando il principio di diritto enunciato da Cass. n. 3692/2023 - ai sensi dell'art. 2087 c.c. come obiettivo inadempimento all'obbligo datoriale di garantire al dipendente gli strumenti per l'esplicazione dell'attività lavorativa e, più in generale, all'obbligo di consentire la prestazione lavorativa. Obbligo che, in concreto, veniva ravvisato nell'omessa organizzazione logistica degli spazi necessari allo svolgimento delle mansioni assegnate al dipendente, costretto per la maggior parte dei turni di lavoro a vagare, al cospetto di colleghi e pazienti, alla ricerca di uno spazio disponibile o di un collega gentilmente ospitante, con grave pregiudizio per la personalità e la salute del lavoratore stesso.

Ne derivava il risarcimento del danno non soltanto biologico (computato nella somma di 4.639,65 euro), ma anche alla professionalità, liquidato tenuto conto

i) della serietà dell'inadempimento datoriale;

ii) della durata di tale inadempimento, protrattosi per oltre un anno, nonostante le reiterate istanze del lavoratore;

iii) del fatto che a causa di tale inadempimento il lavoratore in concreto era stato costretto all'umiliazione di girovagare per i corridoi del luogo di lavoro alla ricerca di una stanza per visitare i pazienti, al cospetto di colleghi e degli stessi pazienti, con conseguente frustrazione dell'immagine professionale e del rapporto fiduciario medico-paziente; iv) della cessazione dell'inadempimento solo a seguito delle dimissioni del ricorrente.

Il danno per la lesione alla professionalità, sulla base dei suddetti parametri, veniva liquidato in misura di una percentuale della retribuzione mensile del dipendente (pari a poco meno del 50%) per l'intero periodo di protrazione della situazione stressogena, per un ammontare complessivo di 34.000,00 euro.

Anche in questo caso, l'utilizzo della categoria giuridica polifunzionale dello stress lavorativo ha consentito, attraverso la mediazione della clausola generale dell'art. 2087 c.c., di riconoscere protezione ad una situazione che altrimenti, utilizzando le vecchie lenti giuridiche “panmobbistiche”, sarebbe rimasta totalmente priva di tutela.

Note

(1) A. ROSIELLO-D. TAMBASCO, La lunga marcia dello stress lavoro-correlato nella giurisprudenza, in Igiene & Sicurezza del Lavoro, n. 2, 2023, pp. 77 e ss.

(2) A. ROSIELLO-D. TAMBASCO, Lo SLC nella giurisprudenza di legittimità: nuovi sviluppi, in Igiene & Sicurezza del Lavoro, n. 5, 2023, pp. 247 e ss.

(3) M. BIASI, Studio sulla polifunzionalità del risarcimento del danno nel diritto del lavoro: compensazione, sanzione, deterrenza, pp. 15-17.

(4) A questo riguardo si veda M. SAVADIO e R. SOMMA, Ergonomia cognitiva e carico mentale, in Igiene & Sicurezza del Lavoro, n. 10, 2023, pp. 491 e seg. che commenta gli standard contenuti in tre distinti documenti UNI ES ISO (nn° 10075-X; 10075-1:2018; e 10075-2:2002) relativi al carico di lavoro mentale e i suoi effetti, enunciando che tra i fattori di potenziale stress mentale vi sono quelli sociali e organizzativi, inclusi il clima organizzativo e la conflittualità; questi fattori, esplicitati dalle norme UNI, vanno senz'altro considerati e monitorati ai fini della tutela della salute del lavoratore e dell'adempimento dei doveri di cui all'art. 2087 c.c.

(5) Ex multis, cfr. Cass., 3 giugno 2022, n. 17974; Cass., 5 dicembre 2018, n. 31485; Trib. Pavia, sez. lav., 22 maggio 2020; Cass., 28 agosto 2013, n. 19814; cfr. D. TAMBASCO, Condizioni ambientali e personali di esclusione dell'intento persecutorio: quando viene negato il mobbing o lo straining, in IUS Lavoro/Il Giuslavorista, 12 luglio 2022.

(6) Si fa riferimento all'ultima edizione del manuale INAIL per la valutazione e l'accertamento dello stress lavoro-correlato, La metodologia per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato, 2017, in cui viene esposta una specifica sezione relativa ai rapporti interpersonali sul lavoro, ovvero alla “possibilità di comunicazione con i superiori o dirigenti o l'eventuale presenza di rapporti limitati con i superiori, la presenza di conflitti interpersonali e la gestione di comportamenti prevaricatori o illeciti(p. 85).  

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