In tema di licenziamento del dirigente, la Cassazione ha ribadito che i termini di decadenza dall'impugnazione previsti dall'art. 6 l. n. 604/1966 non si applicano alle ipotesi di ingiustificatezza del recesso ma solo a quelle di invalidità in senso stretto del medesimo.
Massima In tema di licenziamento dei dirigenti, i termini di decadenza ed inefficacia dell'impugnazione stabiliti dalla l n. 604/1966, art. 6, come modificato dalla legge n. 183/2010, art. 32 (Collegato Lavoro), non si applicano alle ipotesi di ingiustificatezza convenzionale del recesso, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell'indennità supplementare, secondo un'interpretazione restrittiva – trattandosi di norme in materia di decadenza – del concetto di “invalidità” di cui alla legge n. 183/2010, art. 32, comma 2, da intendere quale vizio suscettibile di determinare la demolizione del negozio e dei suoi effetti solutori, come previsto per le ipotesi sanzionate dall'art. 18, comma 1, Statuto dei lavoratori novellato dalla l. n. 92/2012.
IL CASO – La decadenza dall'impugnazione del licenziamento intimato al dirigente
La Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal dirigente avverso la sentenza della Corte d'Appello di Firenze che, confermando quanto già deciso dal Tribunale, aveva accertato l'intervenuta decadenza ex art. 6 l. n. 604/1966 dall'impugnazione del licenziamento ingiustificato.
LA QUESTIONE – Limiti all'applicazione dell'art. 6 l. n. 604/1966 all'impugnazione del licenziamento del dirigente
La Corte ripercorre l'iter logico giuridico che conduce ad escludere i casi di licenziamento ingiustificato del dirigente dall'ambito di applicazione oggettivo dell'art. 6 l. n. 604/1966, come modificato dal Collegato Lavoro nel 2010 (l. n. 183/2010).
LA SOLUZIONE GIURIDICA – L'art. 6 l. n. 604/1966 si applica solo all'impugnazione del licenziamento invalido del dirigente con esclusione dei casi di recesso ingiustificato
Con la sentenza in analisi la Suprema Corte dà continuità al principio, recentemente sancito nelle pronunce nn. 148/2020, 395/2020 e 6828/2023, per cui la disciplina contenuta nell'art. 6 l. n. 604/1966, come modificato dall'art. 32 del Collegato Lavoro, trova applicazione solo nei casi di invalidità in senso stretto del licenziamento del dirigente cui consegue la tutela reintegratoria.
Ciò in ragione dell'interpretazione necessariamente restrittiva, trattandosi di norme in materia di decadenza, del concetto di “invalidità” - cui fa riferimento l'art. 32, comma 2, del Collegato Lavoro - che impone di ricomprendere in tale categoria solo i vizi capaci di determinare la demolizione del negozio. In altre parole, la patologia del negozio che assume rilievo ai sensi della disciplina invocata caratterizza solo l'atto inidoneo ad acquisire pieno e stabile valore giuridico, come tale capace di caducare ogni effetto solutorio del licenziamento e renderlo tamquam non esset.
Ciò conduce a escludere da detta categoria il recesso ingiustificato cui consegue la tutela meramente risarcitoria; in tali ipotesi, infatti, gli effetti solutori del recesso restano stabili, fatto salvo il diritto al risarcimento del danno.
Una diversa conclusione condurrebbe, a parere della Corte, ad un'inammissibile applicazione analogica di una norma speciale.
Una volta individuato il perimetro della portata normativa dell'art. 6, la motivazione si concentra sul termine inziale di efficacia della novella del 2010.
Se, infatti, con riguardo agli impiegati e agli operai l'art. 6 come modificato dal Collegato Lavoro ha trovato immediata applicazione in quanto erano già presenti “altri” casi di nullità del licenziamento rispetto a quelli già disciplinati nella l. n. 604/1966, con riguardo alla categoria dei dirigenti la Corte precisa che la norma si è effettivamente “riempita” di significato solo quando nel 2012 la Riforma Fornero ha esteso anche ai dirigenti la tutela reintegratoria prevista dal primo comma dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Solo in tale occasione, infatti, sono state introdotte “altre” cause di invalidità del licenziamento del dirigente estranee a quelle già contemplate dalla stessa l. n. 604/1966 agli artt. 2 e 4, rispettivamente normativi del licenziamento orale e discriminatorio.
OSSERVAZIONI – La ratio della decisione e il suo inquadramento nell'evoluzione giurisprudenziale
Con la sentenza in analisi pare consolidarsi l'orientamento per cui il doppio termine di impugnazione, previsto dall'art. 6 come modificato dal Collegato Lavoro, si applica a tutti i casi di impugnazione del licenziamento invalido volta alla reintegrazione nel posto di lavoro, indipendentemente dalla categoria legale di appartenenza del destinatario del recesso.
Con particolare riguardo ai dirigenti, poi, devono, invece, escludersi, per le ragioni dette, i casi di impugnazione per ingiustificatezza del licenziamento cui consegua la mera tutela risarcitoria, fattispecie che restano soggette al termine quinquennale di prescrizione ex art. 2948 c.c.
La ratio della disposizione e della giurisprudenza consolidatasi sull'interpretazione di questa può essere individuata nell'esigenza di accordare una tutela rapida alle impugnazioni che potrebbero condurre alla reintegra del lavoratore nell'organizzazione datoriale.
Ciò in considerazione del ragionevole interesse a che il dipendente, in caso di accertata invalidità, possa riprendere l'attività lavorativa il prima possibile: lato datoriale, a tutela dell'“esigenza di conoscere in un tempo sufficientemente breve i rischi economici e organizzativi” derivanti dal recesso (cfr. Cass., sez. lav., 13 gennaio 2020, n. 395); lato dipendente, a garanzia della necessità di riprendere l'attività in tempi tali da evitare il più possibile il sacrificio del diritto al lavoro e alla retribuzione.
Deve rinvenirsi anche una ragione condivisa che più interessa l'aspetto operativo del rapporto di lavoro. Si consideri, infatti, che, in caso di accertata invalidità del licenziamento, il tempestivo reinserimento del dirigente nell'organizzazione aziendale consente a quest'ultimo di riprendere l'attività senza che il tempo intercorso incida negativamente sulle competenze acquisite nel settore, sulla padronanza del mercato di riferimento e sulla conoscenza dei sistemi non solo organizzativi aziendali. È evidente, poi, che un simile interesse è condiviso anche dal datore di lavoro che, a fronte della reintegra, ha maggiore convenienza nel reinserimento di una risorsa già formata, aggiornata e informata delle contingenti strategie di business e come tale pronta a riprendere subito con competenza l'attività senza necessità di tempo per orientarsi nuovamente in azienda e nel panorama competitivo.
Al contrario, qualora, invece, la tutela invocata sia meramente indennitaria, questa è ben compatibile con i termini di impugnazione ordinari, tenuto conto che il risultato economico cui l'azione è tesa non è pregiudicato dal passare del tempo né deve confrontarsi con esigenze organizzative datoriali nei termini sopra indicati e con la tutela in forma specifica del diritto del lavoratore costituzionalmente garantito.
Si osservi, infine, che, nella prospettiva di analisi storica dell'interpretazione giurisprudenziale sul punto, prima del 2020, anno di pubblicazione della sentenza che per prima ha sancito il principio in commento, il termine speciale di decadenza di cui all'art. 6 era ritenuto applicabile alle impugnazioni tanto per ingiustificatezza del recesso quanto per invalidità dello stesso (cfr. Trib. Milano, 9 luglio 2013, n. 2797).
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Sommario
IL CASO – La decadenza dall'impugnazione del licenziamento intimato al dirigente
LA QUESTIONE – Limiti all'applicazione dell'art. 6 l. n. 604/1966 all'impugnazione del licenziamento del dirigente
LA SOLUZIONE GIURIDICA – L'art. 6 l. n. 604/1966 si applica solo all'impugnazione del licenziamento invalido del dirigente con esclusione dei casi di recesso ingiustificato
OSSERVAZIONI – La ratio della decisione e il suo inquadramento nell'evoluzione giurisprudenziale