Danno da emotrasfusione o da vaccinazione obbligatoria: entro quando va proposta la domanda di indennizzo?

10 Novembre 2023

La domanda di indennizzo per danni da complicanze irreversibili, causate da vaccinazioni obbligatorie e/o trasfusioni di sangue o di emoderivati si propone, a pena di decadenza, entro tre anni dalla conoscenza del danno, da intendersi non soltanto quale consapevolezza della menomazione e della sua riferibilità causale all'azione sanitaria (vaccinazione o trasfusione) ma anche della sua rilevanza giuridica e, quindi, dell'azionabilità del diritto all'indennizzo.

Nel 2005 al ricorrente veniva diagnosticata una cirrosi epatica che lo stesso assumeva essere stata contratta a seguito di una trasfusione di sangue infetto, avvenuta nel 1969. Egli infatti era ben consapevole di non aver mai ecceduto nel consumo di alcol, sicché, già nel maggio 2005, subito dopo la strana diagnosi, chiedeva copia della cartella sanitaria al presidio ospedaliero dove era stata eseguita la trasfusione; la otteneva, però, solo nel 2011 a seguito dell'intervento dei propri legali e, solo qui, si manifestava la consapevolezza della riferibilità del danno alla trasfusione e, quindi, della sua indennizzabilità ai sensi della l. n. 210/1992, che prevede un assegno una tantum per coloro che hanno subito danni irreversibili a seguito di pratiche sanitarie, quali, vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni di sangue o di emoderivati.

L'intervenuta decadenza, secondo la Corte d'Appello

Secondo la Corte d'Appello, sulla domanda di indennizzo era ormai intervenuta decadenza con conseguente impossibilità di ricevere l'assegno una tantum.

L'art. 3, comma 1, l. 210/1992 prevede infatti che la domanda di indennizzo vada proposta entro 3 anni dalla conoscenza del danno, senza tuttavia dare indicazione (precisa) sul dies a quo.

Sempre secondo la Corte territoriale, quindi, il dies a quo della decadenza andrebbe individuato nel momento in cui si forma la conoscenza del nesso causale tra il danno alla salute e la trasfusione infetta, non essendo sufficiente la mera consapevolezza della patologia. Nel caso di specie, la conoscenza del nesso causale tra la cirrosi epatica e la trasfusione infetta si sarebbe realizzata già nell'anno 2005 quando il ricorrente, insospettito della diagnosticata cirrosi, chiedeva all'ospedale la consegna della cartella clinica, per approntare ogni più opportuna verifica. Tale richiesta lasciava intendere come il ricorrente fosse soggettivamente consapevole della dipendenza causale dell'epatite dalle trasfusioni infette, già dal 2005, e non dal momento successivo dell'espletata consulenza tecnica (2010).

Poiché la domanda di indennizzo era stata depositata nel 2012, quindi oltre tre anni dopo la consapevolezza del nesso causale, interveniva decadenza con conseguente rigetto della domanda.

Ad avviso della Corte di Cassazione l'interpretazione offerta dalla Corte territoriale non è condivisibile, soprattutto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 35/2023, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, l. 210/1992, nella parte in cui, dopo le parole “conoscenza del danno” non prevede quelle “e della sua indennizzabilità”.

La conoscenza del danno, che segna il dies a quo del triennio per la presentazione della domanda di indennizzo, va interpretata come conoscenza dell'indennizzabilità del danno e non come conoscenza della patologia. Ciò, a maggior ragione, nell'ipotesi di malattia inizialmente silente, ove non si può trascurare di individuare, con precisione, il momento in cui la malattia sia divenuta a tutti gli effetti passibile di indennizzo ai sensi della  l. n. 210/1992, con la conseguenza che, prima di tale momento, non può iniziare a decorrere alcuna decadenza.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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