L’approvazione del rendiconto e la successione del fallimento alla controllata estinta

La Redazione
10 Novembre 2023

Il Tribunale di Varese rende una interessante pronuncia con la quale, tra l’altro, affronta il tema della (presunta) illegittimità costituzionale dell’art. 116, u.c., CCII, nonché quello della “successione” del fallimento nella titolarità di immobili già della controllata, cancellata da RR.II., e successivo abbandono degli stessi ad opera del curatore.

In breve, il fallimento Alfa s.r.l. subentrava nella proprietà di un compendio immobiliare originariamente di una sua controllata, Beta s.r.l., per effetto di un fenomeno di tipo successorio conseguente al fallimento e cancellazione dal RR.II. di quest'ultima. Il curatore del fallimento, ottenuta l'autorizzazione ad abbandonare gli immobili per antiecomicità della relativa liquidazione, depositava un'integrazione al conto della gestione, dando atto della richiesta di abbandono e della relativa autorizzazione. A fronte di contestazioni e osservazioni al conto della gestione e alla successiva integrazione da parte di Tizio - socio e liquidatore di Alfa, nonché amministratore unico della partecipata Beta –  il Tribunale emetteva il presente decreto.

La pronuncia affronta diverse, interessanti questioni.

In via preliminare, il ricorrente eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 116, u.c., l. fall. per contrarietà all'art. 111 Cost. e alla CEDU, nella parte in cui consente al giudice delegato di far parte, in veste di relatore, del collegio dinanzi al quale è decisa l'approvazione o meno del rendiconto, a seguito della formulazione di osservazioni e contestazioni. Il ricorrente deduce che il giudice delegato, avendo già conosciuto della vicenda sulla quale si controverte, essendosi peraltro già espresso sul rendiconto del curatore, non potrebbe poi rivestire la funzione di giudice relatore nel giudizio di approvazione.

Il Tribunale rileva il difetto del requisito della non manifesta infondatezza della questione, ritenendo non condivisibile l'interpretazione dell'art. 116, u.c. l. fall. fornita dal ricorrente. Afferma il Collegio: “Il giudizio di approvazione del rendiconto della gestione, che prende avvio dinanzi al Collegio a seguito del mancato superamento delle osservazioni e contestazioni formulate da parte dei soggetti legittimati, non costituisce giudizio autonomo e distinto rispetto a quello che prende avvio dinanzi al giudice delegato, investito dell'esame del conto della gestione quale giudice monocratico, a seguito del suo deposito da parte del curatore”. Il giudizio di approvazione del rendiconto del curatore, infatti, è “unitario ancorché bifasico : una prima fase, necessaria, si svolge dinanzi al giudice delegato che, ordinato il deposito del rendiconto del curatore, fissa dinanzi a sé l'udienza per la discussione; una seconda fase, eventuale e avente natura contenziosa, si svolge dinanzi al Tribunale fallimentare, del quale il giudice delegato fa parte, qualora sorgano contestazioni rispetto all'approvazione del rendiconto o se su queste non viene raggiunto un accordo (così l'ultimo comma dell'art. 116 l. fall.)”.

Proprio in ragione della struttura bifasica del giudizio di rendiconto, il giudice delegato “è a tutti gli effetti il giudice istruttore del collegio fallimentare chiamato a valutare il conto della gestione depositato dal curatore, una volta emerse osservazioni e contestazioni sulle quali non è stato raggiunto un accordo”.

In definitiva, non sussiste alcun provvedimento del giudice delegato avente natura decisoria in relazione al rendiconto del curatore e deve ritenersi che non sia ipotizzabile alcun dubbio di violazione dei principi costituzionali e della CEDU.

Nel merito, secondo la ricorrente, il curatore avrebbe errato nel ritenere concluse le attività di liquidazione dell'attivo presentando il conto della propria gestione, senza dare atto dell'ingresso, nel patrimonio della fallita, delle attività e passività che facevano capo alla società Beta s.r.l. al momento della cancellazione dal Registro delle Imprese. Il ricorrente richiama, a sostegno della tesi, la sentenza Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070.

Secondo il Tribunale, coordinando tale tesi con i principi della Legge fallimentare, si giunge alla seguente conclusione: “il fenomeno successorio enunciato dalle Sezioni Unite, qualora uno dei soci sia una procedura concorsuale, determina in concreto l'inclusione pro quota dei beni della società estinta tra l'attivo del fallimento della società partecipante solo se il curatore decida di inserire tali beni nell'inventario della procedura. Analogamente e per altro verso, l'automatica acquisizione pro quota da parte del socio delle passività delle quali era gravata la società estinta e non soddisfatte ad esito dell'estinzione, qualora uno dei soci sia un fallimento, soggiace alla procedura di accertamento del passivo in sede concorsuale, sicché il suo verificarsi discende dalla presentazione da parte del creditore di una domanda di insinuazione al passivo e dalla relativa ammissione”.

Nel caso di specie, avendo il curatore ottenuto l'autorizzazione ad abbandonare gli immobili e non essendo stata presentata alcuna domanda di insinuazione al passivo da parte dei creditori della Beta alla data di deposito del rendiconto, non è imputabile al curatore alcuna omissione.

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