Revocazione straordinaria per ritrovamento di un «documento decisivo»
13 Novembre 2023
Massima L'ipotesi di revocazione di cui all'art. 395, n. 3, c.p.c., presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché essa non può essere utilmente invocata con riferimento a un documento formato dopo la decisione. Il caso La Corte d'Appello di Roma rigettava il ricorso per revocazione proposto dagli odierni ricorrenti contro la sentenza (di gennaio 2017) con cui la stessa Corte d'Appello di Roma aveva rigettato l'appello proposto nei confronti della sentenza di primo grado che aveva disatteso la domanda proposta dagli istanti per la condanna della Generali – in qualità di impresa designata per il Fondo di Garanzia per le vittime della strada – al risarcimento dei danni subiti dagli stessi per un sinistro stradale avvenuto nel febbraio 2003. In particolare, a fondamento del rigetto del ricorso per revocazione, la Corte d'Appello evidenziava come l'impugnazione per revocazione straordinaria proposta ex art. 395, n. 3, c.p.c. era stata dai ricorrenti collegata al preteso ritrovamento (a gennaio 2021), successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata per revocazione, di un documento contenente una dichiarazione scritta resa da un soggetto che aveva riconosciuto, dopo la pubblicazione di un annuncio di ricerca di testimoni (nel marzo 2019) pubblicato su un quotidiano, di aver assistito al sinistro stradale di cui era causa e di essersi accorto, in tale circostanza, dell'ascrivibilità della responsabilità del sinistro alla condotta di un soggetto che dopo lo stesso si era dileguato. La Corte d'Appello, in particolare, rigettava il ricorso per revocazione perché questa dichiarazione scritta non poteva in alcun modo ricondursi alla previsione della norma richiamata (art. 395, n. 3, c.p.c.) che assegna rilievo decisivo ai fini della revocazione straordinaria ai soli documenti che siano preesistenti alla decisione impugnata, e che non si siano potuti produrre tempestivamente per ragioni di forza maggiore o per fatto dell'avversario. La questione L'unica questione posta alla base dell'impugnazione in cassazione concerne la pretesa violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d'Appello in sede di impugnazione per revocazione straordinaria, dato una interpretazione erronea perché eccessivamente restrittiva, dell'art. 395, n. 3, c.p.c. In particolare, secondo i ricorrenti, la Corte d'Appello avrebbe confuso il profilo della formazione del documento prodotto, consistente in particolare nella stesura della dichiarazione scritta da parte del testimone oculare del sinistro, con il suo ritrovamento. La prova attestata da quella dichiarazione doveva infatti ritenersi già esistente al momento dell'illecito e non si era potuta produrre per causa non imputabile ai ricorrenti che erano ignari dell'esistenza di un testimone oculare e ne erano venuti a conoscenza solo successivamente alla pubblicazione della sentenza d'appello impugnata per revocazione. Secondo i ricorrenti la nozione di “documento preesistente” contemplata dall'art. 395, n. 3, c.p.c. deve ritenersi comprensiva dei dati informativi percepiti dal testimone oculare al momento dell'illecito cui lo stesso aveva assistito, anche se tale formalizzazione in un documento scritto era avvenuta in data successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata per revocazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata in cassazione doveva ritenersi emessa in violazione delle norme di legge. Le soluzioni giuridiche Secondo la Corte di Cassazione il motivo di ricorso è del tutto infondato. Ciò perché per pacifica giurisprudenza di legittimità, la revocazione di cui all'art. 395, n. 3,c.p.c. presuppone che il documento preesista alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrlo a tempo debito per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, perché recuperato successivamente alla decisione stessa, con la conseguenza che tale motivo di revocazione non può essere invocato con riferimento a un documento che si sia formato dopo la decisione revocanda (Cass. civ. n. 20587/2015; Cass. civ. n. 3591/29017). L'orientamento in parola secondo la Corte merita di essere confermato data la necessità di intendere in termini strettamente letterali la nozione di documento preesistente contenuta nell'art. 395, n. 3, c.p.c. Ciò perché il legislatore ha voluto riservare la possibilità di proporre una impugnazione straordinaria come la revocazione per “vizio occulto” soltanto in favore della parte che, senza colpa, non abbia potuto produrre in giudizio una prova già esistente, evidentemente intendendola come precostituita alla decisione che si ritiene viziata. Sicché la parte che sia venuta in possesso di una prova che si è formata successivamente al giudizio non può sfuggire al giudicato che si sia consolidato a suo sfavore. Inoltre va precisato secondo la Corte che il dato informativo che resta nella memoria di un testimone di un fatto storico ma che non si estrinseca in una forma materialmente percepibile, non si può né intendere come un “documento” né come una “prova”. Deve infatti darsi rilievo, al fine di aggredire un giudicato già formatosi, soltanto alla prova documentale precostituita – e quindi materialmente già formata – rispetto alla decisione che si ritiene invalida, mentre tale non può ritenersi un “mero interno psichico” che, in mancanza di una previa esteriorizzazione e obiettiva documentazione, non può apprezzarsi nella sua oggettiva entità e valore. Osservazioni L'art. 395, n. 3, c.p.c. consente la revocazione delle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado “se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario”. La norma fa riferimento esplicito ai “documenti decisivi” con ciò intendendo chiaramente riferirsi al documento idoneo a fissare in qualunque forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico (in argomento ad es. Cass. civ. n. 1838/1990; Cass. civ. n. 5270/1978). Il documento in questione deve essere “decisivo” ossia deve essere tale che se acquisito al processo tempestivamente avrebbe potuto condurre ad un diverso convincimento da parte del giudice e, di conseguenza, ad una diversa decisione (Cass. civ. n. 12539/2011; Cass. civ. n. 8342/1990; Cass. civ. n. 3482/1989). Con la conseguenza che non può ritenersi “decisivo” ai fini dell'applicazione della norma in questione il documento che non costituisce la prova di un fatto determinato ma rappresenta soltanto il mezzo di conoscenza di un fatto decisivo (così Cass. n. 9213/1990). Come la stessa Corte di cassazione evidenzia nella sentenza in commento, il documento perché sia ammissibile la revocazione, deve essere preesistente alla decisione impugnata non potendo ritenersi sufficiente che sia anteriore alla decisione il fatto rappresentato dal documento stesso (in argomento si vedano Cass. civ. n. 7653/1997; Cass. civ. n. 4618/1996; Cass. civ. n. 4610/1996; Cass. civ. n. 1838/1990). Già solo questo richiamo vale, secondo la Corte, ad escludere l'ammissibilità della revocazione oggetto della presente pronuncia, dato che il documento in cui si è formalizzata la deposizione del testimone oculare del fatto illecito era sicuramente posteriore al giudizio che si era concluso con la sentenza revocanda. Peraltro la giurisprudenza della Cassazione afferma che il requisito della preesistenza del documento deve esistere per tutte le fasi del precedente giudizio di merito, compresa la fase dell'appello (ad es. Cass. civ. n. 2393/1990). L'impossibilità di produrre il documento in giudizio deve essere dipesa da cause di forza maggiore o da fatto dell'avversario. Si discute se tale impossibilità debba essere fatta coincidere con la mancata conoscenza dell'esistenza del documento ovvero con la mancata disponibilità dello stesso (per le cause indicate dalla norma). Secondo la giurisprudenza prevalente il requisito è integrato dalla mancata conoscenza dell'esistenza del documento decisivo e, di conseguenza, è colui che propone la revocazione straordinaria a dover dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento e del luogo in cui esso si trova non dipende dalla sua colpa (ad es. Cass. civ. n. 735/2008; Cass. civ. n. 9369/2006). Infatti il profilo che giustifica la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c. non consiste nella sola impossibilità di produrre i documenti che si assumono decisivi, ma altresì nella circostanza che l'impossibilità non sia derivata da colpa del soccombente. Da ciò consegue che un tal profilo non può ritenersi configurabile ove risulti che, attraverso una elementare indagine (nella specie, richiesta all'ufficio postale di attestazione dell'avvenuta spedizione della dichiarazione i.v.a., da produrre in giudizio in copia autenticata, nella previsione di una possibile contestazione formale della corrispondenza all'originale), la parte avrebbe potuto acquisire la disponibilità dei documenti stessi (Cass. civ. n. 12188/2002). In particolare, con riferimento a questo specifico profilo si è detto che ai fini della sussistenza del motivo di revocazione per successiva scoperta di un documento decisivo, ex art. 395, n. 3, c.p.c., la precedente ignoranza della esistenza o della ubicazione di tale documento non è sufficiente, ove essa sia conseguenza della colpa o negligenza di colui che del documento intende avvalersi; nel valutare se sussista o no tale negligenza, va considerato che, mentre nell'ipotesi di ignoranza soltanto in ordine al luogo di conservazione dell'atto, vi è uno specifico onere di ricerca che la parte doveva adempiere, per contro, nel caso di ignoranza dell'esistenza stessa del documento, un tale onere non è configurabile, potendo, al più valutarsi in termini di negligenza la mancata verificazione di una ipotesi di esistenza, che fosse autorizzata dalla situazione di fatto (Cass. civ. n. 6322/1993). |