Il contributo, dopo aver analizzato l'adeguamento dell'ordinamento italiano alle pronunce della Corte di Giustizia UE in tema di clausole abusive nei contratti con i consumatori, esamina dapprima il nuovo approccio dei giudici italiani nel valutare l'abusività di tali clausole nel procedimento monitorio, poi l'impatto del cambiamento normativo sugli enunciati delle Sezioni Unite riguardo alla rilevabilità delle nullità contrattuali.
Il fatto, la pronuncia del Tribunale, il ricorso, le sentenze della CGUE
IL FATTO
Tutto nacque da un contratto di fideiussione con cui una signora si costituì garante delle obbligazioni assunte da una società a responsabilità limitata, di cui la fideiubente non era né socia, né amministratrice, verso il Credito Valtellinese.
Rimasti inadempiuti i debiti, l’Istituto escusse la garanzia.
Rimasta senza esito l’escussione, l’Istituto chiese e ottenne decreto ingiuntivo nei confronti della garante, la quale peraltro neppure oppose il provvedimento monitorio.
Rimasto inevaso il precetto, l’Istituto intervenne in una procedura esecutiva immobiliare intrapresa da altro creditore, intervento reiterato da Elrond NPL, cessionaria del credito.
Correva l’anno 2017.
Pervenuti gli esecutanti al traguardo dell’aggiudicazione dei beni staggiti, del versamento del prezzo e del deposito del progetto di distribuzione, l’esecutata si svegliò. Forte del fatto che, nelle more, il diritto vivente si era evoluto nel senso che nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l'applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso senza considerare quelle del contratto principale, sull’abbrivio del resto di varie pronunce della Corte di giustizia (CGUE 14 settembre 2016 in causa C-534/15, Dumitras; CGUE 19 novembre 2015 - causa C-74/15, Tarcau) e, reclamò l’operatività delle relative tutele nei propri confronti. Propose quindi, ex art. 617 c.p.c. un’opposizione avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato l’esecutività del progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla vendita, deducendo, a sostegno, che il titolo azionato dal Credito Valtellinese, e poi dalla cessionaria Elrond NPL, era nullo in quanto emesso da giudice incompetente; che l’incompetenza era inemendabile in quanto nasceva da una clausola derogatrice del foro del consumatore; che infatti tale foro era esclusivo e più speciale di ogni altro (Cass. 15 marzo 2022 n. 8406, Cass. 12 marzo 2014 n. 5703).
LA PRONUNCIA DEL TRIBUNALE
Il Tribunale adito (Busto Arstizio) non le andò dietro e rigettò l’opposizione.
La sentenza venne pronunciata quando la questione dell’estensione processuale della tutela del consumatore era già approdata, a seguito di vari rinvii pregiudiziali, sul tavolo della Corte di giustizia dell’Unione Europea ed erano anche state depositate le conclusioni dell’Avvocato generale, sicché si era in attesa delle decisioni, che infatti intervennero poco dopo.
In tale contesto il Tribunale, nel motivare la scelta decisoria adottata, riconobbe sì, all'esecutata la qualifica di consumatore, ma, in dichiarato dissenso dal parere dell’Avvocato Generale, richiamato dall’opponente per supportare la propria tesi, rilevò che la stessa avrebbe dovuto far valere la nullità della clausola derogativa della competenza con il mezzo dell’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c., declinata semmai nelle forme dell’opposizione tardiva, in ragione del conseguimento della possibilità di qualificarsi come consumatore solo in epoca successiva alla scadenza del termine per impugnare il provvedimento monitorio. Aggiunse che «dalla violazione della disciplina consumeristica» non poteva farsi discendere sempre e comunque, l'inefficacia dell'autorità di cosa giudicata di una statuizione giudiziale non tempestivamente impugnata e men che mai che tale violazione potesse essere fatta valere «con qualsiasi strumento processuale e in qualsiasi tempo», sull’abbrivio, peraltro, di quanto la stessa Corte di giustizia aveva sottolineato in sede di interpretazione della Dir. 93/13.
IL RICORSO
La parte non si arrese e impugnò la decisione con ricorso per cassazione. Nei due motivi di ricorso lamentò il malgoverno della normativa comunitaria testé menzionata, nonché dell’art. 19 TUE sostenendo, in sostanza, che la ritenuta impossibilità, a fronte di un decreto ingiuntivo non opposto, sia di un secondo controllo d’ufficio nella fase esecutiva sulla abusività delle clausole contrattuali, sia di una tutela successiva allo spirare del termine per proporre opposizione, era in contrasto frontale con il principio di effettività della tutela del consumatore. E andava pertanto ripensata.
LE SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
Mentre l’atto di impugnazione passava attraverso la trafila del deposito presso la cancelleria centrale, dello smistamento alla sezione filtro e da questa alla sezione ordinaria, il 17 maggio 2022 arrivarono le scosse telluriche delle quattro coeve pronunce del Collegio delle Grande Sezione della CGUE, una delle quali – la sentenza in cause riunite CGUE 17 maggio 2022 C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banca di Desio e della Brianza – emessa a seguito di rimessione operata dal Tribunale di Milano.
Dice il dispositivo di quest’ultima: “l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità, successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo”.
È di fulminante evidenza che il principio così enunciato dalla CGUE intercettava il nodo giuridico fondamentale posto dall’iniziativa processuale della garante esecutata.
Ne seguì che, approdato il ricorso sul tavolo del presidente della terza sezione civile, venne da questi rimesso tout court alle sezioni unite con l’annotazione che l’impugnazione poneva una questione di massima di particolare importanza e idonea a incidere in materie di competenza tabellare di diverse sezioni civili della Corte.
La sentenza Cass. SU 6 aprile 2023 n. 9479
IN PRIMO LUOGO
Per cogliere la portata della pronuncia delle sezioni unite, occorre muovere dalla considerazione che il cuore delle sentenze del 17 maggio 2022 della Grande Sezione – e segnatamente di quella di cui si è testé riportato il dispositivo – è in sostanza che se, nel provvedimento emesso all’esito di un procedimento sommario, non vi sia alcuna, ancorché sintetica motivazione sull'insussistenza dei presupposti per l’operatività delle norme a tutela del consumatore e manchi l’indicazione della definitività di tale conclusione in caso di omessa contestazione, non si forma alcun giudicato sull’assenza di abusività delle clausole contrattuali azionate in via monitoria, con la conseguenza che il giudice dell’esecuzione possa egli medesimo rilevarla, non essendogli tanto precluso dalla definitività del decreto ingiuntivo non opposto.
Messe così le cose, l’adeguamento del nostro sistema processuale ai principi enunciati dalla CGUE, affidato alle Sezioni Unite, ha dovuto fare i conti con istituti e massime assistiti, nell’assetto ordinamentale vigente, da una giurisprudenza granitica, segnatamente in ordine:
allo statuto del decreto ingiuntivo non opposto;
al giudicato implicito;
alla regola aurea dei rapporti tra cognizione ed esecuzione, costituita dalla inammissibilità di qualsivoglia opposizione esecutiva volta a far valere fatti che avrebbero potuto o dovuto essere portati alla cognizione del giudice prima della formazione del titolo giudiziale.
Trattasi di questioni distinte, ma invincibilmente connesse.
Fino agli arresti della Corte lussemburghese era invero fermo nel diritto vivente l’assunto che il decreto ingiuntivo non opposto passa in giudicato e che gli effetti del giudicato sostanziale si estendono non solo alla decisione relativa al bene della vita chiesto dall’attore, ma anche a quella, implicita, inerente alla esistenza e alla validità del rapporto sul quale si fonda lo specifico effetto giuridico dedotto. Pacificamente si riteneva pertanto che il titolo, ancorché emesso senza previo contraddittorio, attingesse gli stessi risultati della sentenza passata in giudicato anche con riferimento ai fatti connessi e cioè ai deducibili.
La definitività del monitorio non opposto, derivante dall’inerzia processuale dell’ingiunto ed estesa a tutte le questioni in fatto e in diritto che questi avrebbe potuto – e dovuto – proporre per paralizzare o inficiare la pretesa avversa, si avvaleva, sul piano esegetico, del disposto dell’art. 656 c.p.c., che equipara il decreto definitivamente esecutivo alle sentenze, quanto all’accesso al rimedio della revocazione per contrasto di giudicati (art. 395 n. 5 c.p.c.). Essa copriva quindi l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione, mentre non si estendeva ai fatti successivi al giudicato e a quelli che avessero comportato un mutamento del petitum ovvero della causa petendi della domanda monitoriamente azionata (Cass. 29 novembre 2021 n. 37269, Cass. 18 luglio 2018 n. 19113, Cass. 11 maggio 2010 n. 11360). Con l’ulteriore corollario che, qualora a base di una qualunque azione esecutiva fosse posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione non poteva effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo stesso, diretto cioè a invalidarne l’efficacia in base a eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso esso era stato pronunziato, potendo controllarne soltanto la persistente validità alla luce di eventuali fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività (Cass. 4 gennaio 2023 n. 108, Cass. 21 aprile 2022 n. 12690, Cass. 24 febbraio 2011 n. 4505).
IN SECONDO LUOGO
Nell’esposizione dei principi sacramentati nelle massime testé riportate si è ricorsi all’uso dei verbi al passato in quanto questi principi sono stati, se non scardinati, certamente rivisitati dalle sezioni unite del 2023. Né poteva essere diversamente, considerata la loro inidoneità a dare alle norme a protezione del consumatore la tutela postulata dalle pronunce della Corte di Lussemburgo.
Nella costruzione della difficile opera di adeguamento il giudice di legittimità si è peraltro mosso con estrema cautela, volutamente ignorando le sirene di un totale ripensamento, a diritto positivo invariato, degli orientamenti giurisprudenziali consolidati in tema di estensione del giudicato derivante dal decreto ingiuntivo non opposto. La necessità di dare osservanza alle sentenze della CGUE, aventi pacificamente valore e forza di fonti del diritto eurounitario, aveva infatti indotto i detrattori della piena parificazione di un provvedimento emesso senza previo contraddittorio alla sentenza passata in giudicato, predicata dal diritto vivente, a sperare in una soluzione tarata sulla degradazione di quel provvedimento al rango di un titolo stragiudiziale (B. Capponi in "Legittimità, interpretazione, merito. Saggi sulla cassazione civile", 2023, pag. 293).
Invece le sezioni unite hanno sì riconosciuto la necessità di dar seguito all’affermazione che il consumatore, ove non abbia fatto opposizione avverso un decreto ingiuntivo non sorretto da alcuna motivazione in ordine alla vessatorietà delle clausole presenti nel contratto concluso con il professionista e posto a fondamento del credito azionato, deve comunque poter contare sul controllo del giudice dell’esecuzione, ma hanno veicolato l’iniziativa processuale dell’ingiunto, allertato in fase esecutiva della possibilità di far valere l’abusività di quelle clausole, nello strumento processuale dell’opposizione tardiva, ex art. 650 c.p.c. E nel dar conto di tale scelta decisoria, hanno esplicitamente affermato che la soluzione adottata “consente … di mantenere ferma la configurazione del decreto ingiuntivo non opposto quale provvedimento idoneo a passare in giudicato formale e a produrre effetti di giudicato sostanziale”.
Il vademecum delle Sezioni Unite
Prima di arrivare all’enunciazione del principio di diritto risolutivo della fattispecie concreta oggetto di cognizione – espresso peraltro nell’interesse della legge, ex art. 363 c.p.c., essendo stato il ricorso rinunciato – le sezioni unite hanno delineato, in chiave nomofilattica, gli adempimenti richiesti al giudice del monitorio per arrivare a un provvedimento rispettoso del nuovo assetto normativo e idoneo a informare l’ingiunto della possibilità di avvalersi della tutela consumeristica, così da chiudere ogni questione al riguardo, prima della fase esecutiva.
Su impulso della giurisprudenza della CGUE in ordine al rilievo officioso della natura abusiva di una clausola contrattuale e alle iniziative istruttorie che il decidente deve assumere al riguardo (tra le ultime, sentenza CGUE 4 giugno 2020 in C-495/19, Kancelaria Medius e sentenza CGUE 30 giugno 2022 in C-170/21, Profi Credit Bulgaria), nonché avvalendosi delle puntualizzazioni specificamente enunciate con riferimento all’ingiunzione di pagamento europea (sentenza CGUE 19 dicembre 2019 in cause riunite C-453/18 e C-494/18, Bondora AS), hanno affermato che:
a) il giudice investito di una domanda monitoria deve porsi d’ufficio il problema se il destinatario della richiesta di ingiunzione sia o meno un consumatore e se la pretesa poggi su una clausola contrattuale da qualificarsi vessatoria in base alla normativa consumeristica;
b) ove senta puzza di bruciato, deve attivare le iniziative istruttorie compatibili con la sommarietà del rito, utilizzando i poteri consentiti dall’art. 640 c. 1 c.p.c.: si tratterà, a seconda dei casi e, a titolo esemplificativo, di chiedere chiarimenti o di sollecitare la produzione di pertinente documentazione;
c) qualora la soluzione del dubbio in ordine al carattere abusivo delle clausole poste a fondamento della pretesa richieda una istruttoria più complessa e incompatibile con le caratteristiche proprie del procedimento prescelto, deve rigettare la richiesta di ingiunzione;
d) lo stesso dovrà fare ove il dubbio non venga superato, non essendo compatibile con i principi unionali che, in caso di incertezza sull’esito del controllo di vessatorietà, si emetta comunque il decreto, rovesciando sull’ingiunto l’onere di proporre opposizione per denunciarla;
e) il dovere di disapplicazione della clausola contrattuale abusiva può riguardare anche solo una parte del credito azionato, di modo che il suo esito può mettere capo a un accoglimento parziale della domanda di ingiunzione;
f) di tutto ciò occorre dar conto in motivazione, applicando la formula del “decreto motivato” prevista dal primo comma dell’art. 641 c.p.c. in maniera particolarmente pregnante proprio con riferimento al controllo di vessatorietà delle clausole su cui la pretesa dell’ingiungente è basata;
g) l’espresso avvertimento che nel termine di quaranta giorni “può essere fatta opposizione … e che in mancanza di opposizione si procederà ad esecuzione forzata”, di cui alla predetta norma va declinato, in aderenza alle sollecitazioni della Corte di Lussemburgo, come avvertimento che, in assenza di opposizione l’ingiunto “decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo” delle clausole del contratto e che “il decreto non opposto diventerà irrevocabile”.
Il vademecum del Tribunale di Milano
Così riscritto dalle sezioni unite il procedimento d’ingiunzione in materia consumeristica, il Tribunale di Milano si è subito attivato, dando corpo alle indicazioni del vademecum a vocazione normativa della Suprema Corte in un vademecum di taglio pratico, ove sono elencate le verifiche consigliate al giudice del monitorio, in quanto necessarie o comunque opportune, in vista di un controllo veloce, efficace e diretto “in merito ai profili suscettibili di fornire indizi di abusività su singole clausole presenti nei contratti conclusi con i consumatori”.
Al vademecum è allegato – nello spirito operativo dei giudici meneghini – un modello di decreto il cui utilizzo dovrebbe aiutare i decidenti a non cadere nella trappola di pericolose omissioni.
Si parte, com’è naturale, dalla verifica della qualificabilità del contratto monitoriamente azionato in termini consumeristici.
Sul punto un indizio di abusività può essere la mancata indicazione nel ricorso e/o nelle fatture prodotte a suo supporto, del numero di partita IVA della persona fisica destinataria della emananda ingiunzione, quale indice del mancato svolgimento, da parte della stessa, di una attività imprenditoriale/professionale/commerciale. Con l’avvertenza che l’indicazione non mette, peraltro, sicuramente fuori gioco l’applicabilità della normativa di protezione la quale, a norma dell’art. 3 D.Lgs. 206/2005, vale anche per la persona fisica che sia imprenditore, commerciante, artigiano, professionista, allorché abbia agito per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale svolta.
In tale contesto il vademecum torna sulle concrete modalità di esplicazione della deformalizzata istruttoria consentita dall’art. 640 c.p.c., sostanzialmente incentrata sull’interlocuzione tra giudice e istante. Di modo che, segnalata la questione, saranno presumibilmente esaminate le modalità per provare la non qualificabilità dell’ingiungendo in termini di consumatore, a partire dalla produzione del contratto ovvero, qualora atto scritto non vi sia, dalla verifica della natura e dell’oggetto dello stesso ovvero ancora, qualora il ricorrente assuma che controparte ne è stato un imprenditore individuale, dalla pertinente visura camerale.
Ove siffatto primo step non venga superato, parte la verifica sulla competenza per territorio, con l’avvertenza che per foro del consumatore la giurisprudenza di legittimità intende il luogo di residenza/domicilio che questi ha al momento della domanda, e non già quello che aveva alla data del contratto. Per il che sarà eventualmente necessario invitare l’istante a produrre un certificato di residenza del destinatario del ricorso.
Va poi da sé che ove lo scrutinio dia esito negativo, il giudice del monitorio rigetterà il ricorso, almeno nei confronti del consumatore non residente nel suo circondario, mentre, in caso di esito positivo, passerà a quello di vessatorietà delle specifiche clausole sulle quali è basata la pretesa dell’ingiungente.
La verifica presuppone naturalmente che queste siano puntualmente identificate, se del caso anche su invito del giudice. Ne consegue che, ove manchi un contratto scritto potrà essere monitoriamente azionato, “con prova exart. 634 c.p.c. ovvero opinamento dell’Ordine professionale ove applicabile la relativa previsione”, unicamente il corrispettivo dei beni e dei servizi resi, con gli interessi al tasso legale.
Il vademecum prosegue poi elencando le clausole abusive di più frequente rilevazione, come ad esempio:
la clausola derogativa di competenza o di giurisdizione;
la clausola penale di importo manifestamente eccessivo;
la clausola avente ad oggetto il pagamento di interessi moratori di ammontare parimenti esorbitante;
la clausola che nei contratti di durata, come il mutuo, preveda a carico del consumatore la decadenza dal beneficio del termine in caso di mancato pagamento anche di una sola rata;
la clausola che, in un contratto con un professionista, stabilisca il compenso con tariffa oraria, senza indicare l’impegno orario prevedibile o almeno un importo o un monte ore massimo.
Infine, in linea con l’espressa previsione – cfr. lett. e) punto 3.1 – della possibilità che la clausola abusiva ammalori solo una parte del credito azionato, il vademecum ricorda che, secondo la CGUE, ove la vessatorietà riguardi una clausola che non è possibile elidere senza che venga meno l’intero contratto e tale caducazione sia pregiudizievole al consumatore, ben può il giudice eterointegrare il regolamento pattizio, ricorrendo, ad esempio “a parametri tariffari normativi" (CGUE 12 gennaio 2023 in C-395).
Conclusioni
Al netto dell’ammirazione per l’audacia ordinante delle Sezioni Unite e per l’encomiabile sforzo di schematizzazione e semplificazione del Tribunale di Milano, che ne è seguito, resta questione aperta la sorte del giudicato e, soprattutto, del giudicato sulla nullità.
All’indomani della pubblicazione delle sentenze della CGUE e prima ancora che intervenisse la pronuncia Cass. SU 6 aprile 2023 n. 9479, molti commentatori avevano manifestato ragionevoli preoccupazioni in ordine alla potenziale esportabilità degli approdi della giurisprudenza della Corte lussemburghese “a tutti i casi di giudicato implicito e in relazione a ogni ipotesi di normativa armonizzata” (F. De Stefano, "Le sentenze di Chicxulub: il decreto ingiuntivo contro il consumatore dopo le sentenze della Corte di giustizia dell’UE", 24 febbraio 2023).
Queste preoccupazioni persistono, come è normale che sia, avendo il Supremo Collegio calibrato il suo intervento con riferimento al solo procedimento monitorio, dichiaratamente esplicitando che “l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. non ha un carattere meramente esplorativo o preventivo ma si lega necessariamente alla fattispecie concreta oggetto di cognizione (Cass. SU 181 novembre 2016 n. 23469, Cass. SU 11 gennaio 2011 n. 404)”.
Sta però di fatto che il tema della estensione della tutela processuale del consumatore, quanto meno di quella di tipo officioso, si inserisce in un contesto ove lo statuto di rilevazione delle nullità contrattuali, emergente dalle sentenze Cass. SU 12 dicembre 2014 n. 26242 e n. 26243, è già estremamente ampio.
Non sarà inutile sul punto ricordare che queste pronunce, discostandosi da quanto sembrava desumersi da un precedente arresto del medesimo consesso (Cass. 4 settembre 2012 n. 14828), affermarono che la rilevabilità officiosa costituisce il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate “di protezione virtuale”, posto che la tutela di una data classe di contraenti (tra cui, segnatamente, i consumatori), intercetta valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l'uguaglianza non solo formale ma sostanziale dei consociati che versino in posizione di asimmetria contrattuale, ex art. 3 Cost.
A ciò aggiungasi che i predetti arresti, nell’ambito di un approccio che nei processi di matrice contrattuale (siano essi originati da una domanda di adempimento, di risoluzione, di rescissione, di annullamento, di scioglimento per mutuo dissenso e quant’altro), individua l’oggetto del giudizio nell’intera situazione di diritto soggettivo fatta valere dall’attore e non nel singolo segmento o profilo azionato, escludono che il rilievo officioso di una causa di nullità diversa da quella dedotta in giudizio implichi violazione del principio dispositivo, solo raccomandando il rispetto della basilare regola del contraddittorio.
Ne deriva che la riscrittura dei rapporti tra decreto ingiuntivo non opposto e giudizio di esecuzione in materia consumeristica impatta in un sistema che ha già complicato abbastanza il consolidarsi del giudicato implicito sulla validità del contratto, stante la facoltà, dichiaratamente riconosciuta al giudice di appello e a quello di legittimità, “in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale … di procedere ad un siffatto rilievo” (Cass. 12 dicembre 2014 n. 26242).
È ben vero che le Sezioni Unite del 2014, con riferimento alle nullità speciali, statuirono anche, in chiave temperante, che se, a seguito della rilevazione officiosa di una delle stesse, la parte non avesse proposto domanda volta alla relativa declaratoria, ma avesse insistito nella richiesta di pronuncia sulla pretesa originaria, il giudice avrebbe dovuto rigettarla o accoglierla, ignorando la segnalata causa di nullità, sulla quale, conseguentemente alcun giudicato si sarebbe formato. Ciò non toglie però che esse aprirono la prima falla nel principio per cui, se il giudice si è pronunciato su un determinato punto, ha evidentemente risolto in senso non ostativo tutti quelli il cui esame doveva ritenersi preliminare a quanto esplicitamente deciso, falla che è diventata ora, nel giudizio che veda coinvolto un consumatore, ancora più profonda.
In definitiva – e tirando le fila del discorso sull’oggetto specifico delle sentenze della CGUE e delle Sezioni Unite del 2023 – se può convenirsi che l’ingiunto, una volta allertato sulla sua qualità di consumatore, consuma tutte le cartucce difensive nel giudizio di opposizione, restano comunque in piedi, nell’ambito delineato dalle sezioni unite del 2014, i poteri di rilievo ufficioso delle nullità affidati al giudice, in un contesto in cui il può dell’art. 1421 c.c. viene universalmente letto come deve.
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Sommario
Il fatto, la pronuncia del Tribunale, il ricorso, le sentenze della CGUE