La Corte costituzionale sollecita la modifica della messa alla prova in punto di valutazione delle attenuanti
13 Novembre 2023
Massima La disciplina contenuta nell'art. 168-bis c.p. non viola i principi contenuti agli articoli 3 e 27 della Costituzione nella parte in cui individua i reati per i quali è consentito l'accesso alla messa alla prova in base alla pena edittale prevista per gli stessi, non tenendo in considerazione le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti del reato. Appare, tuttavia, auspicabile un intervento legislativo volto a consentire l'ammissibilità al procedimento speciale anche per i reati che siano ritenuti meno gravi proprio in applicazione delle attenuanti ad effetto speciale. Il caso La vicenda esaminata nella decisione in commento ha ad oggetto un caso di omicidio stradale di cui all'art. 589-bis c.p. All'imputato era stato contestato, in particolare, di aver cagionato il decesso della persona offesa per avere omesso di regolare la velocità in modo da essere in grado di arrestare tempestivamente il veicolo dinanzi a qualsiasi ostacolo in violazione dell'art. 141, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. A giudizio del G.u.p. sarebbe stata ravvisabile la circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall'art. 589-bis, comma 7, c.p., che consente di diminuire la pena sino alla metà qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza della condotta del colpevole. La causa concorrente, precisamente, sarebbe stata ravvisata nel fatto colposo della vittima, che al momento dell'investimento stava attraversando la strada fuori dalle strisce pedonali, a notevole distanza dall'incrocio semaforico. Nel corso dell'udienza preliminare l'imputato ha presentato istanza scritta, diretta a ottenere la sospensione del procedimento con messa alla prova. L'accoglimento della citata richiesta, tuttavia, era precluso dal superamento del limite massimo di quattro anni di pena detentiva stabilito dall'art. 168-bis, comma 1, c.p., per la concessione del beneficio dal momento che il delitto di omicidio stradale è punito con la reclusione pari nel massimo a sette anni. Il G.u.p. di Torino, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, comma 1, c.p., in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 27, comma 3, Cost., nella parte in cui non consente l'astratta l'ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato in ipotesi di omicidio stradale, allorché non ricorra alcuna aggravante e si ravvisi l'attenuante ad effetto speciale del concorso di cause di cui all'art. 589-bis, comma 7, c.p. Il rimettente ha ritenuto che la preclusione di cui all'art. 168-bis c.p., nell'interpretazione datane dal diritto vivente, oltre che porsi in contrasto con l'art. 3 Cost. per l'intrinseca irragionevolezza e per la disparità di trattamento con altre figure criminose di maggior allarme sociale per le quali è ammesso l'accesso al rito, violi l'art. 27 Cost. per la violazione della finalità rieducativa della pena impedendo all'interessata di beneficiare di un trattamento sanzionatorio alternativo alla detenzione. La questione Come noto la Corte di cassazione nel suo consesso più autorevole ha affermato che, ai fini dell'individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova, il richiamo contenuto nell'art. 168-bis c.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2016, n. 36272). La motivazione posta a fondamento della citata decisione fa leva sul dato testuale dell'art. 168-bis, comma 1, c.p. (che non contiene alcun richiamo agli artt. 550, comma 1, e 4 c.p.p.) e su un'interpretazione logico-sistematica basata sulla natura riparativa e sulla funzione deflattiva dell'istituto. Del resto, secondo la Cassazione, l'effetto estensivo della citata interpretazione appare bilanciato dalla circostanza che il giudizio effettivo di ammissione del rito resta riservato alla valutazione del giudice circa l'idoneità del programma trattamentale proposto e la prognosi di esclusione della recidiva. Secondo il giudice a quo, tuttavia, tale interpretazione non dovrebbe ritenersi estensibile anche alle circostanze attenuanti ed in particolare a quelle a effetto speciale. Viceversa, tenuto conto che il predetto principio mira a consentire l'ampliamento del perimetro applicativo dell'istituto premiale, dovrebbe piuttosto ritenersi che le diminuenti ad effetto speciale debbano essere prese in considerazione al fine di determinare la pena astrattamente applicabile in caso di messa alla prova. A sostegno della fondatezza della questione prospettata si rileva un evidente squilibrio sussistente nella disciplina oggi in vigore la quale consente l'accesso al rito speciale anche per fattispecie particolarmente gravi e astrattamente punibili con sanzioni assai elevate rispetto al limite di quattro anni previsto dall'art. 168-bis c.p. in virtù della contestazione di circostante aggravanti anche ad effetto speciale (come avviene nel caso del reato di lesioni dolose gravissime). Viceversa, allorché ci si trovi ad affrontare vicende di minor allarme sociale, anche in considerazione della possibilità di circostanziare le stesse mediante l'applicazione di attenuanti ad effetto speciale, il ricorso al rito deflattivo sarebbe in ogni caso precluso. Le soluzioni giuridiche La Corte costituzionale ritiene che l'indirizzo volto a escludere la rilevanza delle circostanze ai fini dell'ammissione al rito (Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2016, n. 36272) debba applicarsi anche in riferimento alle circostanze attenuanti (siano esse ordinarie o ad effetto speciale). Il Giudice delle Leggi evidenzia, a sostegno di tale conclusione, che nel procedimento di cui agli artt. 464-bis e ss. c.p.p. (contrariamente a quanto avviene per la particolare tenuità del fatto, istituto entrato in vigore con la stessa legge sulla messa alla prova), manca la previsione di un accertamento giudiziale in ordine alla sussistenza di un'attenuante a effetto speciale. Nella decisione in commento non si ritine sufficiente a tal fine una valutazione prognostica da parte del giudice, peraltro non prevista nella disciplina di riferimento. In conclusione, in mancanza di un meccanismo processuale di verifica anticipata della sussistenza di attenuanti a effetto speciale, non è irragionevole che il criterio distintivo di identificazione dei reati, per i quali è possibile la messa alla prova, rimanga affidato alla pena edittale nel massimo, senza considerare gli accidentalia delicti, né le aggravanti, né le attenuanti, quantunque ad effetto speciale. In merito alla regola di diritto relativa al computo delle circostanze attenuanti ad effetto speciale, la Corte non rileva alcuna violazione dell'art. 3 Cost. dal momento che il criterio di computo delle attenuanti ad effetto speciale appartiene alle scelte discrezionali di politica criminale del legislatore. Anche sotto questo profilo le censure di disparità di trattamento e di irragionevolezza intrinseca appaiono non fondate. Non ricorre, poi, alcuna violazione dell'art. 27, comma 3, Cost., atteso che ove le circostanze in esame fossero applicate all'esito del giudizio, l'interessato potrebbe beneficiare di istituti, diversi dalla messa alla prova, parimenti ispirati alla risocializzazione del condannato (sospensione condizionale, misure alternative alla detezione). Tuttavia, il Giudice delle leggi, pur ritenendo formalmente infondate le censure prospettate dal rimettente, ha espressamente rimarcato la sussistenza di un oggettivo profilo di criticità segnalato dal G.u.p. di Torino. Ed infatti ad avviso della Corte: «L'allargamento dell'area di applicazione della messa alla prova con sospensione del procedimento penale anche a reati molto gravi, in ragione delle aggravanti ad effetto speciale, non preclusive dell'accesso al beneficio, ha però lasciato immutata la perdurante mancanza di rilevanza, a tal fine, delle attenuanti parimenti ad effetto speciale, che, all'opposto, possono ridurre notevolmente la pena, talora finanche in misura inferiore a quella prevista per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena». Il giudice delle Leggi in conclusione ritiene «auspicabile una più ampia ammissibilità del beneficio della messa alla prova con sospensione del procedimento anche per reati che sono decisamente meno gravi proprio in applicazione di attenuanti ad effetto speciale». Osservazioni La decisione in commento offre diversi spunti di riflessione relativi alle finalità perseguite mediante l'introduzione nel nostro sistema della messa alla prova (A), ai poteri del giudice investito della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (B) e al significato e al peso del monito della Corte costituzionale (C). A. Le finalità e le prospettive di ampliamento dell'ambito di applicazione della messa alla prova Le finalità perseguite dal legislatore mediante l'introduzione nel nostro sistema processuale della sospensione del procedimento con messa alla prova consistono nell'offerta di un percorso di reinserimento alternativo ai soggetti processati per reati di minore allarme sociale. A tale proposito si accompagna l'obiettivo di pervenire a una concreta deflazione dei procedimenti penali. Il rito speciale in esame costituisce oggi la misura di comunità più applicata tra quelle gestite dall'UEPE. Il concreto rilievo dei dati statistici rilevati in materia ha indotto il nostro legislatore a puntare sul potenziamento della messa alla prova anche con la recente riforma della giustizia penale mediante l'ampliamento dell'ambito di applicazione del rito (ottenuto “indirettamente” attraverso il moltiplicarsi delle fattispecie di reato indicate nell'elenco di cui all'art. 550 comma 2, c.p.p.) e consentendo anche al pubblico ministero di procedere alla richiesta di sospensione del procedimento. Il medesimo proposito era del resto perseguito dalla lettura fornita dalla sentenza delle Sezioni Unite richiamata nella decisione in commento, volta proprio a consentire l'ampliamento dell'ambito di applicazione del rito. In tale contesto appare poco coerente con gli auspici manifestati dalla Giurisprudenza e con le novità legislative introdotte con il d.lgs. n. 150/2022 consentire l'espansione dell'ambito di applicazione in relazione a fattispecie di reato pluriaggravate la cui pena base rientra nei limiti edittali previsti dall'art. 168-bis c.p. e impedirlo per fattispecie che, pur eccedendo il limite edittale previsto dalla disciplina di riferimento, appaiano meno allarmanti in virtù dell'applicazione di circostanze attenuanti ad effetto speciale. B. I poteri del giudice investito della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova La questione affrontata nella sentenza in commento impone, poi, l'esame dei poteri riconosciuti al giudice investito di una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. La Corte costituzionale, infatti, rileva l'impossibilità di procedere all'applicazione delle attenuanti generiche e valutarne l'incidenza sul caso concreto a causa della carenza di un meccanismo processuale dedicato a tale verifica. Eppure sia la normativa codicistica sia le decisioni giurisprudenziali, pur non disciplinando espressamente tale eventualità, sembrerebbero non precluderla. Di certo, a differenza di quanto previsto, per esempio in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444, comma 2, c.p.p.), l'obbligo del giudice di verificare la corretta applicazione e comparazione delle circostanze del reato non è positivizzato. Ciononostante, anche in materia di messa alla prova, il codice di rito prevende diversi adempimenti che inducono a ritenere sussistente la necessità che il decidente, seppur incidentalmente e in via preliminare (come del resto avviene in materia di patteggiamento), accerti la correttezza dell'imputazione e valuti l'opportunità di concedere la misura richiesta. Egli, infatti, ha il compito di valutare la sussistenza di cause di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., e quello di valutare, in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., l'idoneità del programma di trattamento presentato (art. 464-quater, comma 1, c.p.p.). A conferma del dovere del giudice di valutare la correttezza dell'imputazione anche in materia di messa alla prova si segnalano, inoltre, anche alcune recenti decisioni giurisprudenziali secondo le quali l'inesatta contestazione del reato non preclude l'accesso al rito speciale che può essere avanzata nel termine di cui all'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. deducendo l'erronea qualificazione giuridica del fatto (Cass. pen., Sez. V, 6 maggio 2021, n. 31665). C. La portata del monito della Corte costituzionale Pur in presenza di un dato testuale rigido e carente di coordinamento con l'art. 550, comma 2, c.p.p., pare potersi affermare che i risultati offerti dai primi nove anni di applicazione della messa alla prova, il raffronto con la disciplina relativa ad altri riti premiali e le recenti riforme legislative dovrebbero indurre a consentire al Giudice di valutare le circostanze attenuanti ai fini della ammissione al rito speciale. La decisione in commento, infatti, pur non dichiarando tecnicamente illegittima la disposizione normativa ne denuncia una evidente criticità collegata in definitiva proprio a una violazione del principio di uguaglianza sostanziale. Il criterio di ammissione “statico” basato sulla mera valutazione della pena edittale prevista dalla fattispecie in contestazione e la contestuale irrilevanza delle circostanze anche ad effetto speciale ritenute sussistenti nel caso concreto comporta, in linea di principio e ferma restando la valutazione discrezionale del giudice, un'ingiustificabile estensione dell'ambito di applicazione del rito solo in favore dei reati di maggior allarme sociale. Il monito della Corte costituzionale con il quale si auspica «una più ampia ammissibilità del beneficio della messa alla prova con sospensione del procedimento anche per reati che sono decisamente meno gravi proprio in applicazione di attenuanti ad effetto speciale» sembra dunque evidenziare che il legislatore della riforma abbia perso un'occasione per intervenire sul dato testuale contenuto nell'art. 168-bis c.p. unico elemento che sembrerebbe precludere la possibilità di tenere in considerazione le circostanze attenuanti ai fini dell'ammissione al rito speciale. Il messaggio, tuttavia, appare assai preciso e il legislatore italiano dovrà rapidamente intervenire sulla materia in esame onde evitare il rischio di una pronuncia di “incostituzionalità sopravvenuta” in seguito al comandamento del Giudice delle leggi così come avvenuto di recente in materia di particolare tenuità del fatto, istituto richiamato, forse non a caso, nella motivazione della sentenza in commento (sul punto C. cost., 21 luglio 2020, n. 156). Riferimenti
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