Licenziamento disciplinare per sottrazione di beni: rilevanza della tenuità del valore del bene ai fini della tutela applicabile

15 Novembre 2023

L'ordinanza della Suprema Corte offre l'occasione per fare il punto sui principi e sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto al fatto contestato, e relative tutele applicabili, in casi di contestazioni disciplinari di condotte per appropriazione di beni aziendali e sulla rilevanza del valore del bene ai fini della valutazione della gravità della condotta e della giusta causa di licenziamento.

La massima

La valutazione della non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nella previsione dell'articolo 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori solamente nell'ipotesi in cui lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che ad esso facciano corrispondere una sanzione conservativa. Al di fuori di tale caso, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali l'articolo 18, comma 5, dello Statuto dei Lavoratori prevede la tutela indennitaria forte.

La valutazione del giudice in punto di proporzionalità della sanzione disciplinare, nel caso in cui al lavoratore sia contestata la sottrazione di beni della datrice di lavoro, non può esaurirsi nella constatazione della tenuità del valore del bene sottratto, ma deve riguardare l'incidenza della condotta a ledere gravemente il vincolo fiduciario avuto riguardo anche alla tipologia delle mansioni affidate e ad eventuali precedenti disciplinari aventi ad oggetto condotte analoghe.

Il caso

Un lavoratore dipendente con mansioni di magazziniere addetto alla cella frigorifera impugnava il licenziamento comunicatogli dalla datrice di lavoro in esito a procedimento disciplinare con cui gli era stato contestata l'indebita appropriazione di beni aziendali di valore non rilevante: una forma di caciotta da 2 kg e di un trancio di prosciutto da 500 g.

In primo grado, il Tribunale di Taranto accoglieva parzialmente l'impugnazione, applicando la tutela risarcitoria di cui all'art. 18, comma 5 Stat. Lav. pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, ma negando la tutela reale. La Corte d'Appello di Lecce, rigettava entrambi i reclami in appello (rito “Fornero”), confermando le conclusioni del Giudice di primo grado secondo cui la condotta contestata al lavoratore era passibile di licenziamento ai sensi dell'art. 229 del CCNL, ma anche le argomentazioni in merito alla non proporzionalità della sanzione, in considerazione del valore esiguo dei beni in questione, delle mansioni affidate al lavoratore e dell'assenza di precedenti disciplinari.

Entrambe le parti impugnavano tale ultima decisione in Cassazione.

L'azienda datrice di lavoro svolgeva un unico motivo basato sull'errata valutazione della Corte d'Appello nella parte della sentenza in cui dichiara “È condivisibile altresì la valutazione compiuta dal giudice Sulla proporzionalità tenuto conto che l'appropriazione ha riguardato merce di valore esiguo”.

Il lavoratore presentava ricorso incidentale censurando la sentenza laddove non aveva considerato insussistente il fatto ai fini della responsabilità disciplinare che la condotta, in ragione della particolare tenuità del fatto che ne esclude anche la rilevanza penale ai sensi dell'art. 131 bis c.p.

Il caso

Un lavoratore dipendente con mansioni di magazziniere addetto alla cella frigorifera impugnava il licenziamento comunicatogli dalla datrice di lavoro in esito a procedimento disciplinare con cui gli era stato contestata l'indebita appropriazione di beni aziendali di valore non rilevante: una forma di caciotta da 2 kg e di un trancio di prosciutto da 500 g.

In primo grado, il Tribunale di Taranto accoglieva parzialmente l'impugnazione, applicando la tutela risarcitoria di cui all'art. 18, comma 5 Stat. Lav. pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, ma negando la tutela reale. La Corte d'Appello di Lecce, rigettava entrambi i reclami in appello (rito “Fornero”), confermando le conclusioni del Giudice di primo grado secondo cui la condotta contestata al lavoratore era passibile di licenziamento ai sensi dell'art. 229 del CCNL, ma anche le argomentazioni in merito alla non proporzionalità della sanzione, in considerazione del valore esiguo dei beni in questione, delle mansioni affidate al lavoratore e dell'assenza di precedenti disciplinari.

Entrambe le parti impugnavano tale ultima decisione in Cassazione.

L'azienda datrice di lavoro svolgeva un unico motivo basato sull'errata valutazione della Corte d'Appello nella parte della sentenza in cui dichiara “È condivisibile altresì la valutazione compiuta dal giudice Sulla proporzionalità tenuto conto che l'appropriazione ha riguardato merce di valore esiguo”.

Il lavoratore presentava ricorso incidentale censurando la sentenza laddove non aveva considerato insussistente il fatto ai fini della responsabilità disciplinare che la condotta, in ragione della particolare tenuità del fatto che ne esclude anche la rilevanza penale ai sensi dell'art. 131 bis c.p..

Il caso

Un lavoratore dipendente con mansioni di magazziniere addetto alla cella frigorifera impugnava il licenziamento comunicatogli dalla datrice di lavoro in esito a procedimento disciplinare con cui gli era stato contestata l'indebita appropriazione di beni aziendali di valore non rilevante: una forma di caciotta da 2 kg e di un trancio di prosciutto da 500 g.

In primo grado, il Tribunale di Taranto accoglieva parzialmente l'impugnazione, applicando la tutela risarcitoria di cui all'art. 18, comma 5 Stat. Lav. pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, ma negando la tutela reale. La Corte d'Appello di Lecce, rigettava entrambi i reclami in appello (rito “Fornero”), confermando le conclusioni del Giudice di primo grado secondo cui la condotta contestata al lavoratore era passibile di licenziamento ai sensi dell'art. 229 del CCNL, ma anche le argomentazioni in merito alla non proporzionalità della sanzione, in considerazione del valore esiguo dei beni in questione, delle mansioni affidate al lavoratore e dell'assenza di precedenti disciplinari.

Entrambe le parti impugnavano tale ultima decisione in Cassazione.

L'azienda datrice di lavoro svolgeva un unico motivo basato sull'errata valutazione della Corte d'Appello nella parte della sentenza in cui dichiara “È condivisibile altresì la valutazione compiuta dal giudice Sulla proporzionalità tenuto conto che l'appropriazione ha riguardato merce di valore esiguo”.

Il lavoratore presentava ricorso incidentale censurando la sentenza laddove non aveva considerato insussistente il fatto ai fini della responsabilità disciplinare che la condotta, in ragione della particolare tenuità del fatto che ne esclude anche la rilevanza penale ai sensi dell'art. 131 bis c.p..

La questione

Si tratta di valutare, nel caso di licenziamento motivato da sottrazione di beni aziendali di modico valore, se e quale sia la rilevanza di tale ultima circostanza ai fini della valutazione dell'intensità della condotta del lavoratore e della proporzionalità della sanzione espulsiva ai fini della individuazione della tutela applicabile.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell'azienda rilevando come, contrariamente al motivo di censura, il giudice di secondo grado non si era limitato a motivare il proprio convincimento sulla base del solo valore della merce asportata dal lavoratore, ma aveva anche valutato come, all'esito dell'istruttoria testimoniale, non erano emersi precedenti disciplinari o, comunque, contestazioni per episodi analoghi accaduti precedentemente e come le dimensioni dell'impresa escludevano la lesione di un rapporto personale di fiducia con il datore di lavoro.

Con particolare riferimento alla condotta oggetto di contestazione, la Corte di Cassazione conferma l'argomentazione della Corte d'appello secondo cui il lavoratore non fosse addetto alla sicurezza del punto vendita, ma solo magazziniere addetto alla cella frigorifera con compiti di verifica dello stato della merce consistenti, quindi, in mansioni di semplice operaio, che non richiedono una particolare affidabilità e un particolare rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

La Corte ha altresì rigettato il ricorso incidentale del lavoratore facendo propria l'argomentazione della Corte territoriale secondo cui non si può parlare di insussistenza del fatto quando il fatto materiale sussiste ed è pure illecito in quanto la condotta rientra appieno nell'ipotesi sanzionate dal contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro, è suscettibile di valutazione penale ed è riprovevole sul piano morale e giuridico in quanto violativa di una regola fondamentale del vivere civile.

Quindi, secondo la Corte, nell'ipotesi di accertata sproporzione tra sanzione applicata e condotta contestata, va disposta la tutela risarcitoria se la condotta stessa non è sussumibile in alcuna delle fattispecie per cui i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedano l'irrogazione di una sanzione conservativa, ricadendo il difetto di proporzionalità tra le altre ipotesi menzionate dell'art. 18, comma 5, Stat. Lav. mentre va disposta la tutela reintegratoria se il fatto contestato e accertato è contemplato da una norma negoziale vincolante e tipizzato come punibili con una sanzione conservativa.

Osservazioni

L'interpretazione della diversa modulazione delle conseguenze di cui all'art. 18, commi 4 e 5 Stat. Lav. in caso di licenziamento disciplinare sproporzionato offerta dalla Corte nella sentenza in commento è coerente con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione è solita applicare la tutela obbligatoria forte (ex art. 18, comma 5 Stat. Lav.) in ipotesi di sproporzione tra infrazione e sanzione, nel caso in cui la condotta contestata ed accertata non sia contemplata tra le fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa (da ultimo v. Cass. 767/2023, ma anche Cass. 31529/2019; 12102/2018; 13178/2017; 18418/2016).

Per quanto riguarda la rilevanza del valore del bene sottratto ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il principio espresso dalla Corte nella decisione in commento, secondo cui il modico valore del bene non è di per sé dirimente, ma è necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro, risulta altrettanto condiviso in linea teorica, ma è suscettibile di diverse applicazioni a seconda delle concrete circostanze del caso concreto.

Così, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente di un supermercato perché trovato dalla vigilanza aziendale con confezioni di gomme e di caramelle in tasca per un valore pari a circa euro 10 in quanto, a nulla rilevando lo scarso valore commerciale del bene sottratto, la condotta in questione era idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario ed era tale da mettere in dubbio la futura correttezza degli adempimenti (Cass. 24014/2017). Alle stesse conclusioni è giunta la Suprema Corte in caso di licenziamento del dipendente nel cui zaino erano stati ritrovati due pennelli di proprietà aziendale (Cass. 11005/2020); nel caso di prelievo, durante il turno di lavoro dal carrello condotto dallo stesso lavoratore, di 20 litri di gasolio del valore di euro 25-30 euro (Cass. 8816/2017); nel caso di sottrazione di due DVD per un valore di 30,80 euro (Cass. 25186/2016) o di una busta di salumi (Cass. 23365/2009) da parte di addetti alle vendite di esercizi commerciali; nel caso della cassiera di supermercato che aveva accredita sulla propria fidelity card punti per spese effettuate da clienti per un valore di euro 50 (Cass. 18184/2017) o nel caso di appropriazione seriale di risorse pubbliche che costituisce, “condotta idonea a ledere il vincolo fiduciario”, essendo irrilevanti circostanze quali: “la mancanza di precedenti disciplinari”, atteso l'occultamento della condotta; l'esistenza di gravi patologie che non potevano costituire esimente dell'illiceità disciplinare e la restituzione delle somme (Cass. 27132/2022).

È, invece, stato ritenuto illegittimo, in quanto sproporzionato, il licenziamento del dipendente che si era appropriato di 240 buste di plastica di modico valore poiché il lavoratore non aveva ricevuto precedenti contestazioni né sanzioni disciplinari e perché l'appropriazione aveva ad oggetto merce di valore esiguo (Cass. 767/2023) o il licenziamento del cassiere del supermarket che aveva consumato uno snack senza pagarlo, in assenza di ulteriori circostanze idonee a far venir meno la fiducia della datrice di lavoro (Cass. 17288/2022). Ancora, illegittimo è il licenziamento del dipendente del supermercato che aveva prelevato alcune bottiglie di birra, del cous cous ed un prodotto da forno, consumati in loco, in violazione del divieto di "consumare generi alimentari o bevande alcoliche" come descritto dalle norme disciplinari affisse in bacheca, nonché dell'infrazione ivi riportata, consistente nella "appropriazione di beni e merci aziendali anche se al mero fine del consumo personale sul luogo di lavoro" (Cass. 35581/2021) o del dipendente che aveva prelevato senza pagarle le merendine da un distributore (Cass. 17288/2022) o del dipendente colpevole di non aver pagato in cassa merce di scarso valore, senza “dolo” e senza fornire la prova dell'intenzionalità del suo comportamento (Cass. 6764/2016).

In tutti questi ultimi casi la giurisprudenza di legittimità, fermo restando l'autonomia e diversità di requisiti e caratteristiche della valutazione penale e disciplinare della medesima condotta (da ultimo, Cass. 8410/2023), si sofferma maggiormente su alcune circostanze soggettive (ruolo e mansioni del lavoratore) o oggettive (presenza di precedenti disciplinari) al fine di valutare la rilevanza della condotta sotto il profilo del vincolo fiduciario e, quindi, di escludere configurazione della giusta causa di recesso in rapporto alle modalità concrete della condotta oggetto di contestazione.

In tale ambito si colloca la sentenza in commento che, pur confermando il principio in questione, di cui alla seconda massima, se ne discosta illogicamente quanto alla valutazione del caso concreto.

Se, infatti, la valutazione della proporzionalità del licenziamento di un lavoratore cui sia stata contestata la sottrazione di beni non possa esaurirsi nella constatazione della tenuità del valore del bene sottratto, ma debba estendersi anche, tra l'altro, alla tipologia delle mansioni affidate ai fini della lesione vincolo fiduciario, non si comprende come possa ritenersi illegittimo il licenziamento del magazziniere addetto alla cella frigorifera con compiti di verifica dello stato della merce che sottragga illecitamente proprio la merce contenuta nella cella frigorifera di cui è custode e responsabile in virtù delle mansioni affidate. Si potrebbe, invece, bene sostenere che proprio in virtù della particolare posizione ricoperta dal lavoratore la datrice di lavoro non possa più confidare in una prestazione lavorativa che ha come specifica caratteristica quella di sorvegliare e verificare lo stato della stessa merce sottratta. Tale questione avrebbe potuto essere sollevata come motivo di censura.

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