Fallimento del datore di lavoro e TFR non versato: a chi spetta la legittimazione attiva per l’insinuazione?

16 Novembre 2023

La Corte chiarisce se la legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro, per le quote del TFR conferito dal dipendente ad un Fondo di previdenza complementare, spetti al dipendente ovvero al fondo di previdenza. 

Massima

“In tema di previdenza complementare, il generico riferimento, contenuto nell'art. 8, comma 1, del d.lgs n. 252 del 2005, al “conferimento” del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilità che le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento, pongano in essere non già una delegazione di pagamento (art. 1268 c.c.) bensì una cessione di credito futuro (art. 1260 c.c.).

In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di TFR maturate e accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell'art. 93 legge fall”.

Il caso

In caso di insolvenza del datore di lavoro che abbia accantonato il TFR destinato al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di stabilire chi sia – tra il lavoratore e il Fondo – legittimato ad insinuare allo stato passivo la corrispondente pretesa creditoria. La S. Corte – nel caso di specie - offre una soluzione fondata sulla distinzione tra delegazione di pagamento e cessione del credito.

La controversia che ha dato origine alla sentenza riguardava il caso di un lavoratore che aveva aderito a un fondo di previdenza complementare, il cui datore di lavoro, successivamente fallito, non aveva versato parte del TFR al Fondo.

Il lavoratore, presentata istanza di ammissione al passivo, vedeva respinta la propria domanda dal Tribunale di Siracusa, che ne contestava la legittimazione attiva: a fondamento della decisione il Tribunale rilevava come il rapporto tra lavoratore e azienda configurasse una cessione del credito e conseguentemente, secondo l'interpretazione del Tribunale, la legittimazione ad agire spettava solo al Fondo.

La questione

La questione esaminata è dunque se la legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro, per le quote del TFR conferito dal dipendente ad un Fondo di previdenza complementare, spetti al dipendente ovvero al fondo di previdenza.

La soluzione giuridica

La sentenza della S. Corte ribalta la decisione del Tribunale per arrivare al condivisibile orientamento espresso con cui ribadisce, come già sottolineato da Cass. civ., sez. lav., 15 febbraio 2019, n. 4626, che l'espressione “conferimento”, contenuta nell'articolo 8, comma 1 del d.lgs n. 252/2005, comporta la necessità di accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato dal lavoratore ai fini dell'adesione al fondo di previdenza complementare.

Secondo la Corte è necessario distinguere tra delegazione di pagamento e cessione del credito. Nella prima ipotesi, ricorda la Corte, il contratto di mandato – quale è la delegazione di pagamento – si scioglie, ai sensi dell'art. 78, comma 2, l. fall.

Secondo la Corte è quindi necessario ricostruire la volontà delle partiaccertando, in particolare, se il conferimento del TFR sottenda una delegazione di pagamento (art. 1268 c.c.) ovvero la cessione di un credito futuro (art. 1260 c.c.”: tale qualificazione incide, infatti, sulla titolarità del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa.

Ricorda altresì la Corte che il Giudice delle Leggi (C. Cost., 15 luglio 2021, n. 154) aveva già rilevato che la mancata attuazione delle previsioni della legge delega in ordine alla contitolarità, in capo ai fondi pensione e agli iscritti, del diritto alla contribuzione impone di ricostruire in modo puntuale la volontà delle parti.

Osservazioni

Sotto il profilo pratico, l'interpretazione della Corte resta l'unica percorribile; come correttamente rilevato anche nelle conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, la costante inerzia dei Fondi nel proporre la insinuazione al passivo non può certo tradursi in un danno irreparabile per i lavoratori.

Resta da osservare che l'interpretazione sopra richiamata costringe gli organi della procedura a una delicata ricostruzione in fatto, che risulta certamente in contrasto con le esigenze di celerità e di semplificazione e che potrebbe essere evitata esclusivamente con la previsione della contitolarità dell'azione.

Non può quindi che condividersi, come sostenuto nella relazione del Sostituto Procuratore, l'invito della Corte Costituzionale al legislatore: “questa Corte non può, tuttavia, non osservare che la materia, assai rilevante sul piano delle attese sinergie fra mutualità volontaria e regime pensionistico pubblico, dovrebbe essere oggetto di una più attenta sistemazione da parte del legislatore, chiamato a risolvere le aporie che pur emergono dalle questioni oggi scrutinate”.

 

Conclusivamente: si riuscirà – in breve tempo - ad evitare mediante una legge ad hoc che per risolvere queste questioni siano necessari due gradi di giudizio, con evidente dispendio economico e lavorativo?

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