Promessa di un lavoro in televisione e tentata induzione alla prostituzione: la quantificazione del danno
22 Novembre 2023
Con una recentissima ordinanza del 21 novembre 2023, il Tribunale di Milano ha liquidato il danno psicologico patito da parte ricorrente per essere stata condotta, dopo la promessa di ottenere un ruolo televisivo, a un party privato in cui era stata invitata a spogliarsi e subire palpeggiamenti, nonché per aver ricevuto la velata minaccia di “non lavorare più nel mondo dello spettacolo” dopo aver manifestato il desiderio di lasciare la festa. Vi era già stato accertamento dell'an debeatur in sede penale, in cui la Corte di cassazione aveva confermato la condanna di parte resistente per tentativo di induzione alla prostituzione ai danni della ricorrente, con successiva liquidazione del danno in sede civile. Come stabilito dall'art. 651 c.p.p., infatti, “La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno”. Dunque, non occorre “alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno” mentre “resta impregiudicato l'accertamento riservato al giudice della liquidazione e dell'entità del danno” (Cass., sent. n. 14537/2013). Il Tribunale di Milano, nell'individuare gli elementi necessari alla quantificazione, ha posto l'accento sul contesto lussurioso in cui la parte ricorrente è stata condotta a sua insaputa, dietro la promessa di ottenere un ruolo in un programma e iniziare così la propria carriera televisiva, e sulla circostanza che il compenso pattuito includesse implicitamente la partecipazione attiva a questa festa e l'accondiscendenza agli approcci sessuali degli altri partecipanti. La sofferenza patita dalla ricorrente deriva proprio dalla consapevolezza che la promessa di un casting fosse solo un'esca e che la sua bellezza e le sue aspirazioni di diventare una modella fossero state sfruttate per fini libidinosi e per ridurla a donna-oggetto, privandola della sua personalità. Né possono essere ignorate le pressioni derivanti dal clima stesso del party, culminate nell'affermazione che, sottraendosi, “non avrebbe fatto più niente nel mondo dello spettacolo” o il clamore mediatico assunto dalla vicenda, tale da costituire elemento ulteriori nella formazione del danno. Alla luce di tutto quanto considerato, la parte resistente è stata condannata a un risarcimento pari a € 25.000, a cui devono essere aggiunti gli interessi compensativi derivanti dal mancato godimento tempestivo dell'equivalente pecuniario del bene perduto. Come evidenziato dall'ordinanza in commento si tratta, “di un ulteriore meschino episodio, sia pure con più subdole modalità, di violenza contro le donne”. |