Sulla disciplina transitoria del cram down fiscale negli accordi di ristrutturazione dei debiti

27 Novembre 2023

L’Autore, delineata la disciplina dell’omologazione forzosa nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, fornisce alcuni spunti di riflessione in ordine alla disciplina transitoria con cui il legislatore ha temporaneamente sospeso gli effetti di cui al comma 2 e al o comma 2-bis art. 63 CCII, inasprendo i requisiti di accesso all’istituto del cram down. 

Transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione

Con l'entrata in vigore, il 15 luglio 2022, del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, il legislatore ha previsto una disciplina specifica all'art. 63 CCII per il trattamento dei debiti tributari e contributivi, nell'ambito: i) degli accordi di ristrutturazione (art. 57 CCII); ii) degli accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII) e iii. degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII).

In particolare, il legislatore della riforma ha introdotto la facoltà per il debitore di formulare una proposta di accordo che preveda il pagamento parziale – o anche dilazionato – dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori, anche se non ancora iscritti al ruolo.

Le novità rispetto alla disciplina dettata dai commi 5 e 6 del vecchio art. 182-ter r.d. n. 267/1942 sono rappresentate dalla:

  • tipologia di alternativa liquidatoria con cui confrontare la proposta di accordo dell'imprenditore identificata nella liquidazione giudiziale; 
  • previsione di un termine di novanta giorni entro il quale le amministrazioni devono esprimere la propria adesione. La mancata manifestazione della volontà di accettare la proposta formulata dal debitore equivale ad espressione del dissenso;
  • possibilità di includere nella proposta di accordo anche il credito tributario e previdenziale non ancora iscritto al ruolo;
  • scomparsa della priority rule sia per il credito tributario assistito da privilegio che per quello chirografario;  
  • riduzione da novanta a sessanta giorni della tolleranza per il pagamento integrale di ciascuna scadenza pattuita prima che intervenga la risoluzione di diritto della transazione fiscale.

Omologazione forzosa (cram down) negli accordi di ristrutturazione

La portata innovativa dell'art. 63 CCII è però senz'altro rappresentata dalla possibilità, di cui al comma 2-bis, di ottenere l'omologa dell'accordo anche in presenza del diniego dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie (c.d. “cram down”) laddove:

  • l'adesione sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli artt. 57, comma 1, e 60, comma 1, CCII;
  • l'accordo soddisfi il principio di convenienza rispetto all'ipotesi liquidatoria (giudiziale), così come attestata dal professionista indipendente e positivamente valutata dal Tribunale. Quest'ultimo  dovrà necessariamente operare un giudizio prognostico simulando due diversi riparti (uno secondo la proposta dell'imprenditore e uno secondo l'ipotesi liquidatoria) e andando a valutare quale delle due opzioni sia più conveniente per il creditore erariale. La valutazione dovrà essere eseguita valorizzando tutte le possibili incidenze della procedura liquidatoria (spese della procedura concorsuale, azioni di responsabilità, azioni revocatorie, ribassi nei vari tentativi di vendita, tempistiche di realizzo dell'attivo ecc.).

Il comma 2-bis dell'art. 63 CCII costituisce norma eccezionalee specifica, e dunque non può formare oggetto di interpretazione analogica ed estensiva; pertanto, la disciplina del cram down fiscale e contributivo non sembrerebbe applicabile anche ii) agli accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII),  ii) né agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII), in quanto non specificatamente richiamati da tale disposto normativo.

Natura dei debiti oggetto di cram down

Il cram down fiscale e contributivo negli accordi di ristrutturazione (art. 57 CCII) può riguardare esclusivamente i tributi o i contributi previdenziali o assicurativi (incluse le sanzioni accessorie) di pertinenza dello Stato e di competenza degli enti incaricati dalla legge all'incasso e alla gestione delle entrate tributarie o fiscali sempre di pertinenza dello Stato (al pari di Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane) o alla erogazione di prestazioni previdenziali o assistenziali (al pari di INPS o Inail), anche se non ancora iscritti al ruolo.

Un elenco, non esaustivo, di tributi che possono essere oggetto di transazione fiscale sono: Ires ed Irpef con relative addizionali ed imposte sostitutive, Irap, Iva (dal 1° gennaio 2017 con l'entrata in vigore della l. n. 232/2016), imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale, imposta di bollo, imposta sulle successioni e donazioni, tasse automobilistiche, canone RAI, imposte demaniali, dazi doganali, imposte di fabbricazione e consumo.

Come noto, non rientrano nella transazione fiscale i tributi propri degli Enti locali (IUC – ma è possibile accedere alla transazione fiscale per la componente di pertinenza dello Stato -, TARI, Imposta di soggiorno, Tosap/Cosap). Tuttavia, tali tributi possono essere oggetto di falcidia o dilazione qualora maggiormente conveniente per l'Ente territoriale rispetto all'ipotesi di liquidazione giudiziale, come bene affermato dalla Corte dei conti. In particolare, la magistratura contabile ha in più occasioni precisato che è possibile proporre la falcidia o la dilazione dei tributi gestiti dagli enti territoriali “…per consentire all'imprenditore in crisi di evitare il dissesto irreversibile dell'impresa (cfr. Corte dei Conti, sez. Umbria, n. 64/2022/PAR); infatti: “…la norma è espressione di un favor nei confronti dell'impresa in crisi, la salvaguardia della cui attività rappresenta il fine del sistema normativo in esame; riconoscere ai tributi locali una forza tale da richiederne sempre l'integrale soddisfacimento frustrerebbe le stesse finalità della legge fallimentare (cfr. Corte dei Conti, sez. Toscana, n. 40/2021/PAR).

Resta, invece, un tema aperto quello riguardante i tributi locali, ma gestiti dalle agenzie fiscali e segnatamente dall'Agenzia delle Entrate Riscossione. Anche gli Enti Locali, infatti, possono affidare la riscossione coattiva dei loro tributi all'Agenzia delle Entrate Riscossione (art. 1, comma 785 e ss., l. n. 160/2019). Tale circostanza è confermata dal fatto che, ove incaricata della riscossione coattiva dei crediti degli enti locali, l'Agenzia delle Entrate Riscossione (e l'Agenzia delle Entrate in materia di IRAP) è tenuta ad esprimere il voto anche limitatamente a detti crediti (cfr. Tribunale di Pistoia, 16 marzo 2022 - RG Concordati Preventivi n. 3/2021).

Tuttavia, appare opportuno precisare che l'intenzione del legislatore è quella di includere nei tributi oggetto di transazione fiscale – e dunque di cram down – anche quelli di pertinenza degli enti territoriali. In particolare, ai sensi dell'art. 9, comma 5, della legge delega n. 111/2023 sulla riforma del diritto fiscale, entro 24 mesi dalla sua entrata in vigore il Governo  dovrà disciplinare “…la possibilità  di  raggiungere  un  accordo  sul pagamento  parziale  o  dilazionato  dei   tributi, anche locali, nell'ambito della composizione negoziata, prevedendo l'intervento del tribunale”. È ragionevole aspettarsi che l'estensione della facilitazione fiscale e contributiva non si limiti alla composizione negoziata della crisi, ma si estenda – nello spirito della riforma del diritto della crisi d'impresa e dell'insolvenza – anche alle altre forme di soluzione alternativa alla liquidazione giudiziale, senza che tale attenzione dell'esecutivo possa riverberarsi in un eccesso di delega.

Approccio distorto al cram down e rischio di abuso del diritto

La nuova disciplina del cram down fiscale e contributivo disciplinata dal comma 2 e dal comma 2-bis dell'art. 63 CCII è stata, fin dal principio, al centro di numerose critiche da parte della migliore dottrina, anche alla luce dell'utilizzo, spesso giudicato distorto, evidenziato dalla prassi concorsuale.

Una parte della giurisprudenza ha ritenuto meritevole di omologa una proposta di accordo di ristrutturazione - con esposizione debitoria pressoché integralmente (99%) costituita da debiti verso l'Erario - che prevedeva il pagamento in misura pari: i) al 2% del debito verso l'Agenzia delle Entrate Riscossione, ii) allo 0,48% del debito verso l'Agenzia delle Entrate in contenzioso e iii. allo 0,48% del debito in contenzioso non iscritto al ruolo, sulla base del solo rispetto del principio di convenienza rispetto all'ipotesi liquidatoria. In particolare, secondo i giudici romani, l'interesse preminente che il legislatore ha preteso di salvaguardare novellando l'art. 182-bis, comma 4, l. fall. con l'omologazione forzosa è contrastare le immotivate resistenze della Pubblica Amministrazione, pur in presenza di un'attestazione di convenienza rispetto al fallimento, in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione stabilito dall'art. 97 Cost. (cfr. Tribunale di Roma. 9 maggio 2023 e Cass., sez. un., 25 marzo 2021, n. 8504).

Sul punto si è espressa anche la Corte d'Appello di Milano, che ha negato l'omologa ad un accordo di ristrutturazione in cui l'imprenditore ha domandato l'adesione forzosa dell'amministrazione finanziaria titolare di un credito pari all'89%di quello complessivo, pur in presenza del pagamento integrale degli altri creditori.

Il collegio meneghino ha fondato il suo diniego sulla base di due presupposti:

  • nel caso esaminato mancava il requisito dell'accordo da omologare, in quanto i creditori diversi dal creditore pubblico erano estranei all'accordo di ristrutturazione, essendo pagati integralmente e senza dilazione. Con ciò la corte meneghina aderisce alla tesi della neutralità del credito dell'amministrazione finanziaria rispetto al calcolo delle maggioranze di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, CCII in caso di mancata espressione di voto;
  • sarebbero state “inattendibili le conclusioni  cui l'attestatore è pervenuto sulla convenienza della proposta”, così aprendo ad una censura nel merito della convenienza della proposta rispetto all'ipotesi liquidatoria.

Disciplina transitoria introdotta dall'art. 1-bis del d.l. n 69/2023

Proprio al fine di prevenire un utilizzo dello strumento del cram down fiscale e contributivo in violazione dell'interesse concorsuale, il legislatore ha deciso di sospendere temporaneamente l'efficacia delle disposizioni di cui all'ultimo periodo del comma 2 e del comma 2-bis dell'art. 63 CCII.

In particolare, con l'introduzione, lo scorso 13 giugno, dell'art. 1-bis del d.l. n. 69/2023, convertito in legge con modifiche dalla l. n. 103/2023, del 10 agosto, il legislatore ha introdotto una disciplina più stringente per l'accesso al cram down fiscale e contributivo nell'ambito degli accordi di ristrutturazione (art. 57 CCII).

La disciplina sostitutiva contiene  le seguenti modifiche:

  • gli accordi di ristrutturazione devono necessariamente prevedere la continuità aziendale, così confermando il principio ispiratore che permea, nel suo complesso, il nuovo Codice della crisi in ordine alla conservazione dei valori aziendali;
  • l'adesione dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti contributivi deve essere determinante ai fini del raggiungimento delle già note maggioranze qualificate;
  • il credito complessivo degli altri creditori aderenti all'accordo deve essere pari ad almeno un quarto dell'intero indebitamento dell'imprenditore;
  • la proposta di accordo all'amministrazione finanziaria e agli altri enti contributivi deve prevedere il rispetto del principio di convenienza rispetto all'ipotesi liquidatoria (giudiziale); anche nella nuova disciplina resta la valutazione finale in capo al giudice dell'omologa;
  • la proposta deve disciplinare il soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie nella misura pari ad almeno il 30% dell'ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi.

Il legislatore ha, altresì, previsto la possibilità di omologare forzosamente anche accordi di ristrutturazione che prevedano l'accettazione di creditori che rappresentino meno di un quarto dell'indebitamento complessivo a patto che la percentuale di soddisfacimento offerta al creditore erariale e contributivo sia almeno pari al 40% dell'ammontare del suo credito e la dilazione di pagamento – concessa eventualmente al tasso legale – non superiore a 10 anni, inclusi sanzioni e interessi.

Minore è l'interesse concorsuale e maggiore dovrà, dunque, essere la percentuale di soddisfacimento assicurata al creditore pubblico, per poter coartare  il suo consenso all'omologa dell'accordo di ristrutturazione.

Entrata in vigore ed efficacia temporale della disciplina transitoria. I possibili profili di incostituzionalità

Altro tema aperto è sicuramente quello che riguarda l’entrata in vigore della disciplina transitoria e la sua efficacia nel tempo.

Nella sua versione originaria, il d.l. n. 69/2023 non disciplinava l’omologazione forzosa degli accordi di ristrutturazione in caso di mancata adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali. Tale norma è stata introdotta dalla legge di conversione n. 103/2023.

A mente del sesto comma dell’art. 1-bis del d.l. n. 69/2023, introdotto dalla l. n. 103/2023, gli effetti della nuova disciplina si applicherebbero alle domande di omologa depositate a partire dall’entrata in vigore del decreto-legge, con deroga al principio di irretroattività della norma giuridica di cui all’art. 11 delle preleggi. L’interprete si domanda quali possano essere gli effetti di tale disposto normativo sulle domande di transazione fiscale depositate nel periodo compresso tra la data di entrata in vigore del decreto-legge e quella della sua legge di conversione che non soddisfino i requisiti della disciplina transitoria.

A tal proposito la Corte costituzionale ha, in più occasioni, limitato il potere del legislatore ordinario di disciplinare in modo nuovo situazioni antecedenti, fissando principi generali: ragionevolezza, eguaglianza, legittimo affidamento, rispetto delle attribuzioni costituzionali del potere giudiziario (Corte cost. 30 gennaio 2009, n. 24).  

Un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma dovrebbe imporrebbe al Tribunale investito del giudizio di omologa di disapplicare la normativa transitoria limitatamente a tali proposte di transazione fiscale e contributiva, o quantomeno di sospendere l’eventuale giudizio sollevando la questione di legittimità costituzionale.

Altro aspetto non marginale riguarda l’efficacia temporale della norma transitoria.

A mente del primo comma dell’art. 1-bis del d.l. n. 69/2023, la nuova disciplina avrà efficacia “…fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo integrativo o correttivo dell'articolo 63 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, da adottare ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 marzo 2019, n. 20, o della legge 22 aprile 2021, n. 53.

Quanto all’art. 1 della l. n. 20/2019, quest’ultimo precisa che il Governo poteva adottare disposizioni integrative e correttive “…entro due anni dall’entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi emessi in esecuzione della legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017” (“Legge Delega 2017”).

Il Governo doveva esercitare la delega entro il 13 gennaio 2019. Il 12 gennaio 2019 il Consiglio dei ministri approvava il d.lgs. n. 14/2019, pubblicato poi nella Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 2019.

A giudizio di chi scrive, proprio con tale decreto legislativo si compie la delega concessa dal legislatore primario. Pertanto, i due anni di cui all’art. 1 della l. n. 20/2019 sarebbero scaduti  alla data del 14 febbraio 2021.

Quanto alla l. n. 53/2021, il disposto del primo comma dell’art. 1 precisa che “…Il Governo è delegato ad adottare (…) i decreti legislativi per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione degli altri atti dell'Unione europea di cui agli articoli da 3 a 29 e all'allegato A”.

L’art. 22 dell’Allegato richiama proprio la Direttiva (UE) 2019/1023 (“Direttiva Insolvency”).

Il Governo ha recepito la Direttiva Insolvency con il d.lgs. n. 83/2022.

Ebbene, a differenza di quanto prevede la legge delega n. 155/2017, la successiva legge delega n. 53/2021 non prevede l’emanazione di alcun decreto integrativo o correttivo rispetto al decreto legislativo che compie la delega.

Pertanto se, da un lato, il legislatore primario delegante ha limitato l’emanazione dei decreti legislativi o correttivi dell’art. 63 CCII alla data del 14 febbraio 2021, in esecuzione dell’art. 1 della l. n. 20/2019; dall’altro lato, lo stesso legislatore della delega per l’attuazione della Direttiva Insolvency ha limitato l’attività del Governo al solo decreto legislativo attuativo della delega, senza prevedere alcuna estensione, per ulteriori provvedimenti integrativi o modificativi dello stesso.

Il corto circuito legislativo appare evidente, così come la possibile violazione della carta costituzionale, anche per violazione del principio di effettività della norma giuridica.

Trattamento differenziato per l'Agenzia delle Entrate e gli Enti Previdenziali

Altro tema è quello relativo all'interpretazione della locuzione “…rispettivi crediti di cui alla lett. e), comma 2, dell'art. 1-bis d.l. n. 69/2023 relativa alla percentuale di soddisfacimento per i crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. Ci si è chiesto, in dottrina, se tale percentuale di soddisfacimento debba essere assicurata a ciascuno dei creditori pubblici o se la locuzione, al contrario, debba intendersi quale percentuale cumulativa per tutti i creditori pubblici statali.  In quest'ultimo caso, la soluzione prospettata dal legislatore sarebbe peggiore del problema; ciò in quanto, se, da un lato, si eviterebbero le censure formulate da una parte della dottrina nel senso di sottrarre l'istituto del cram down tributario e contributivo ad un utilizzo distorto da parte dell'imprenditore che potrebbe financo sfociare nell'abuso del diritto; dall'altro lato, si indurrebbe il creditore pubblico a rifiutare ogni proposta di transazione fiscale che non soddisfi la percentuale indicata (invero per il solo cram down), anche nel caso di proposte largamente migliorative rispetto all'ipotesi liquidatoria, tradendo, di fatto, i principi ispiratori del codice della crisi, quali:

  • la conservazione dei valori aziendali e dei livelli occupazionali e produttivi nell'ambito di accordi di ristrutturazione non meramente liquidatori e
  • la natura residuale della procedura di liquidazione giudiziale rispetto alle altre procedure concorsuali.  

Conclusioni

In conclusione, se appare sensato sottrarre la disciplina del cram down fiscale e contributivo ad un suo possibile utilizzo strumentale finalizzato esclusivamente a sottrarre l’imprenditore agli effetti negativi della liquidazione giudiziale e con essa alle conseguenze connesse alle fattispecie penalmente rilevanti, anziché a realizzare il principio dell’interesse concorsuale, tuttavia  le alte percentuali di soddisfacimento per i creditori erariali e contributivi rischiano di abrogare implicitamente l’istituto della transazione fiscale nell’accordo di ristrutturazione, rendendolo, di fatto, uno strumento inaccessibile per la  maggior parte delle imprese in stato di crisi.

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