La previsione di un limite qualifica il contratto come donazione modale e non quale rendita vitalizia

29 Novembre 2023

Il codice civile disciplina espressamente la fattispecie della donazione modale (con onere) prevedendo, tra l’altro, un limite di valore del bene donato; ciò consente di differenziarla dalla rendita vitalizia che, invece, prevede come unico limite la vita del beneficiario. Con tale argomentazione la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, con la sentenza n. 2492 del 3 agosto 2023, ha bocciato la riqualificazione del contratto effettuata dall’Ufficio finanziario e conseguentemente annullato l’avviso di liquidazione per imposta di registro notificato ad un notaio e a tutte le parti contraenti, obbligate in solido.

Il caso. Un notaio impugnava un avviso di liquidazione emesso dall'Agenzia delle Entrate che aveva riqualificato un atto da egli registrato telematicamente come donazione modale (con onere) in rendita vitalizia, assoggettando la base imponibile a imposta di registro, di bollo, ipotecaria e catastale. Il ricorrente contestava la riqualificazione del contratto con cui una contribuente aveva donato beni immobili alle due figlie (donatarie) ponendo a carico di queste ultime l'onere di versarle mensilmente la somma di cinquemila euro, in quanto riteneva che non potesse ravvisarsi nel caso di specie una rendita vitalizia, atteso che l'obbligazione delle donatarie era limitata al valore dei beni donati. Secondo l'Ufficio finanziario, invece, il contratto stipulato dalle parti risultava caratterizzato dall'alea tipica del contratto di rendita vitalizia, essendo l'obbligazione delle asserite donatarie prevista per l'intera vita della donante.

La “funzione di adeguamento” del notaio. Il ricorrente aveva sottolineato che nel caso di specie si era di fronte alla scelta fra due contratti tipici (donazione modale e rendita vitalizia) che producevano effetti giuridici del tutto diversi, l'uno dei quali era stato scelto sulla base dell'indagine della volontà delle parti medesime in conformità al dovere di indagine e di consulenza caratterizzanti il ministero del notaio, che, in relazione agli atti pubblici dallo stesso ricevuti, effettua personalmente l'indagine della volontà prescritta dall'art. 47, ultimo comma, della Legge notarile, e dall'art. 67 del Regolamento notarile. È, infatti, attraverso l'indagine della volontà che si compie quella che è stata autorevolmente definita come "funzione di adeguamento" del notaio, che consiste nell'incasellare la volontà delle parti negli schemi forniti dall'ordinamento giuridico, trasformando quindi l'intento pratico delle parti medesime in intento giuridico, al fine di realizzare i loro interessi.

Il no all'utilizzo dell'art. 20 TUR in chiave antielusiva. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'art. 20 TUR è una norma diretta alla esclusiva interpretazione degli atti soggetti a registrazione e non una norma diretta alla riqualificazione degli stessi in chiave economica antielusiva: non assolve, infatti, alla funzione di recupero delle imposte "eluse", né da rilievo all'abuso di diritto. In particolare, tale norma "attribuisce all'Amministrazione finanziaria il potere di sindacare la qualificazione degli atti prospettata dalle parti, ovvero la "forma apparente" menzionata dalla stessa norma. La potestà di riqualificazione non può pero travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l'atto risulta inquadrabile, pena l'artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quelle voluta e comportante differenti effetti i giuridici (...)". Se è vero che l'Amministrazione finanziaria non è tenuta ad accogliere acriticamente il nomen degli atti proposti dai contribuenti e portati alla registrazione, altrettanto vero è che essa "non deve ricercare un presunto effetto economico dell'atto" superandone gli effetti giuridici. (ex plurimis, Cass. n. 2054/2017).

La compatibilità della donazione con onere. È stata citata la sentenza della S.C. n. 6925 del 7 aprile 2015 in cui si è chiarito che la presenza del modus non snatura l'essenza della donazione; la causa dell'atto è sempre lo spirito di liberalità, anche se accanto si pone un interesse del donante che trova realizzazione mediante l'adempimento dell'onere. La donazione modale non può, pertanto, rientrare nella categoria dei contratti a titolo oneroso, in quanto il modus non può assumere la veste del corrispettivo. In particolare, si è affermato che distinta dal “vitalizio oneroso", contratto dal quale derivano obbligazioni reciproche contrapposte tra i contraenti e nel quale sussiste un nesso di interdipendenza fra le due prestazioni, è, per diversità della causa, della natura giuridica e degli effetti, la donazione cui acceda un onere che comporti l'obbligo, giuridicamente coercibile, del donatario di effettuare prestazioni periodiche in favore del donante o di un terzo per tutta la vita contemplata". In tal caso "la disposizione modale costituisce un elemento accessorio dell'atto di liberalità in quanto con esso il disponente mira ad attuare un fine che si aggiunge a quello principale del negozio a titolo gratuito, operando come ulteriore movente di questo, senza peraltro condizionarne l'attuazione e senza che, anche quando la disposizione modale preveda a carico del donatario la prestazione di una rendita vitalizia a favore del disponente, resti modificata la natura e la causa della donazione”.

Le differenze con la rendita vitalizia. II contratto di rendita vitalizia si differenzia dalla donazione modale per l'elemento dell'aleatorietà ed un contratto è aleatorio se l'alea operi sin dall'inizio come

elemento essenziale del sinallagma che rende obiettivamente incerto il risultato del medesimo contratto. Una donazione modale in cui l'onere abbia ad oggetto una prestazione di rendita vitalizia, manca di causa aleatoria per due motivi:

- in primo luogo, l'art. 793 co. 2 c.c.circoscrive, comunque, l'entità della prestazione del donatario e, quindi, non permette di discorrere di assoluta e obiettiva incertezza;

- in secondo luogo, l'aleatorietà (causale) non può derivare dall'apposizione al contratto di una clausola accidentale ed accessoria come il modus o la condizione che operano sul piano dell'efficacia e non della causa/del sinallagma, giacché in tal caso ad essere "aleatoria" sarà tutt'al più la mera entità economica della prestazione oggetto di obbligazione modale, ma mai la causa del contratto (di donazione).

Sul punto la Cassazione (Ordinanza del 16 novembre 2020 n. 25907) ha rimarcato che, da un lato, nella stessa disciplina delle donazioni, la previsione dell'onere opera sul piano della determinazione della base imponibile della donazione modale, così che quello stesso elemento di fattispecie, una volta destinato ad incidere (riducendolo) sul valore imponibile, non può essere ritenuto rilevante, e così recuperato, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, e, dall'altro, che la disposizione di cui all'art. 46 TUR ha ad oggetto il contratto di vitalizio oneroso (art. 1872 c.1 c.c.) cui non è riconducibile la donazione modale cum onere.

L'elemento decisivo. Le Corti Tributarie milanesi, di primo e secondo grado, sono state concordi nell'accogliere le ragioni del notaio ricorrente considerando dirimente di ogni altra questione la previsione contenuta nell'art. 1 del contratto in esame (“onere” dei patti e condizioni comuni) in cui era espressamente previsto che le donatarie si impegnavano al versamento di detta somma alla donante “per tutto il tempo della vita di essa donante”, ai sensi e nei limiti dell'art. 793 del codice civile: tale ultima specificazione risultava decisiva a qualificare il contratto in questione come “donazione modale” e non come “rendita vitalizia”. Il preciso riferimento alla normativa del codice civile che disciplina espressamente la fattispecie della donazione modale e che, tra l'altro, pone il limite del valore del bene donato, consentiva, secondo i giudici tributari, di differenziare al di là di ogni dubbio e considerazione, la fattispecie de qua dalla rendita vitalizia che prevede come unico limite la vita della beneficiaria. Con tali argomentazioni le Corti milanesi hanno ritenuto di non poter accogliere la tesi dell'Ufficio finanziario atteso che nel caso di specie non si poteva parlare di una indeterminabilità della prestazione imposta alle donatarie, poiché, a norma del citato art. 793 c.c., esse erano tenute ad adempiere all'onere posto a loro carico nei limiti di valore della cosa donata.

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