La riforma del processo tributario nella bozza di decreto legislativo

30 Novembre 2023

La riforma fiscale, varata con la L. 9 agosto 2023, n. 111, ha previsto un intervento anche sul tema del processo tributario (art. 19). Va subito detto che la delega deludeva, in quanto appariva sprovvista di una visione di insieme, più preoccupata di interventi di mero maquillage. La bozza, sul punto, sorprende anche perché sovente si muove su linee non tracciate dalla delega (senza che però sia chiara la strategia perseguita).

Premessa

Va subito evidenziato che molti dei criteri contenuti nella delega non sono stati recepiti.

Ad esempio, ciò accade per la previsione contenuta alla lett. c), per cui si doveva prevedere espressamente che fossero proponibili innanzi al giudice tributario le opposizioni laddove il ricorrente assuma «la mancata o invalida notificazione della cartella di pagamento ovvero dell'intimazione di pagamento», quella di cui alla lett. h), ove era disposto di «prevedere interventi di deflazione del contenzioso tributario in tutti i gradi di giudizio, ivi compreso quello dinanzi alla Corte di cassazione, favorendo la definizione agevolata delle liti pendenti» e quella alla lett. i), per cui si doveva «garantire che le sentenze tributarie presenti, in forma digitale, nelle banche di dati della giurisprudenza delle corti di giustizia tributaria, gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze, siano accessibili a tutti i cittadini».

Le altre direttive, invece hanno trovato corpo, anche se, va detto, in termini non sempre condivisibili.

Ha trovato così riconoscimento la delega contenuta alla lett. b, per cui occorreva «ampliare e potenziare l'informatizzazione della giustizia tributaria». Con soluzioni, va detto, non sempre comprensibili. Si prevede, così, espressamente che se la procura è conferita su supporto cartaceo da depositare telematicamente, occorre attestarne la conformità ex art. 22, co. 2, d.lgs. n. 82/2005.

Peccato che il co. 3, del medesimo articolo espressamente preveda che «Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all'originale non è espressamente disconosciuta». Quindi, ai sensi del CAD la copia ha lo stesso valore degli originali salvo il disconoscimento espresso, mentre la nuova norma impone comunque che ne sia attestata la conformità (peraltro, vi è il riconoscimento come pubblico ufficiale per tutte le categorie ammesse alla difesa tecnica nel processo tributario).

In questo senso lascia poi perplessi la previsione ipotizzata per il nuovo art. 25, co. 5-bis del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui «il giudice non tiene conto degli atti e dei documenti su supporto cartaceo dei quali non è depositata nel fascicolo telematico la copia informatica, anche per immagine, munita di attestazione di conformità all'originale»: in questo caso, infatti, l'attestazione di conformità diventa addirittura condizione affinché il giudice possa tenere conto di un documento prodotto in giudizio.

Impugnabilità del diniego e dell'ordinanza

Altra espressa attuazione della delega attiene alla prevista impugnabilità del diniego, espresso o tacito di autotutela obbligatoria, come sarà disciplinata da quello che dovrebbe diventare il nuovo art. 10-quater della L. n. 212/2000. A questo fine, viene prevista l'integrazione dell'art. 19, d.lgs. n. 546/1992 sull'elenco degli atti impugnabili, nonché dell'art. 21 sull'impugnazione del silenzio decorsi 90 giorni.

Sempre in attuazione della delega è stata poi introdotta l'impugnabilità dell'ordinanza pronunciata sulla sospensiva.

A parte i dubbi che si potevano porre sull'opportunità di una simile previsione, posto che la riproponibilità dell'istanza cautelare, modificate le situazioni sottostanti, non sembrava in discussione, la disciplina in concreto prevista suscita perplessità. Si prevede infatti che «l'ordinanza cautelare collegiale è impugnabile innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado entro il termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria. L'ordinanza cautelare del giudice monocratico è impugnabile solo con reclamo innanzi alla medesima Corte di giustizia tributaria di primo grado in composizione collegiale». Ebbene, non è chiaro come questo possa conciliarsi con quanto previsto nella legge delega, per cui uno dei criteri da seguire avrebbe dovuto essere quello di «accelerare lo svolgimento della fase cautelare anche nei gradi di giudizio successivi al primo».

È evidente, infatti, che nonostante la brevità del termine per impugnare l'ordinanza, il coinvolgimento di un diverso giudice non potrà che rallentare il giudizio: peraltro, non è chiaro cosa debba accadere nel caso in cui la diversa soluzione della Corte di secondo grado, rispetto a quella di primo grado, attenga al fumus e non al periculum. Qui, infatti, si avrebbe una sorta di parere autorevole circa la fondatezza o meno della pretesa, di cui non si capisce come il primo giudice possa liberamente discostarsi. Ad ogni modo, le ordinanze sospensive della Corte di giustizia tributaria di secondo grado non sono impugnabili (del resto, la delega prevedeva solo l'impugnabilità dell'ordinanza sulla sospensione dell'atto e non anche della sentenza).

Definizione del giudizio

Ma in verità, è un'altra previsione a preoccupare.

Nel previsto nuovo art. 47-ter si prevede la definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione, In altri termini, può accadere che il collegio (ma anche il giudice monocratico), «accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari di voler proporre motivi aggiunti ovvero regolamento di giurisdizione». Si consente, insomma, di accorpare la sospensiva con il merito; cosa questa quanto meno sorprendente, nella misura in cui si è invece previsto, espressamente per l'appello e per il giudizio di riassunzione, che «l'udienza di trattazione dell'istanza di sospensione non può in ogni caso coincidere con l'udienza di trattazione del merito della controversia». Non è chiaro, quindi, se la definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione valga solo per il primo grado.

Viene introdotta la conciliazione anche in pendenza del ricorso in Cassazione, con abbattimento delle sanzioni al 60%.

Il problema, che la norma non dice assolutamente nulla su come in concreto detta conciliazione debba operare. Si potrà naturalmente trattare solo di conciliazione fuori dal giudizio, ed in effetti è prevista la modifica dell'art. 48; il problema che la norma fa poi salvo un giudizio di compatibilità con il giudizio in Cassazione, che però è difficilmente concepibile, trattandosi di conciliazione fuori udienza. Soprattutto, non è chiarito come la conciliazione possa poi refluire nel giudizio in Cassazione; verosimilmente, si dovrà procedere con un'istanza contestuale di rinuncia (onde evitare la condanna alle spese) ex art. 391 c.p.c. alla Corte per intervenuta cessazione della materia del contendere. Questo però significa che i termini entro cui può essere fatta la conciliazione diventano quelli entro cui può essere operata la rinuncia: la relazione all'udienza, la data dell'adunanza camerale, la notifica delle conclusioni scritte del PM sulle istanze di regolamento di giurisdizione. La norma, sul punto, però tace.  

Lettura del dispositivo e nuove preclusioni sulla produzione di nuovi documenti

Altra novità, questa da accogliere favorevolmente (ma già prevista dalla delega) è quella per cui si dovrà dare lettura del dispositivo al termine dell'udienza o, comunque, entro i sette giorni successivi con comunicazione ai difensori. Rispetto alla delega, però, non si è previsto che in questo caso si debba altresì procedere al deposito della sentenza entro trenta giorni dal deposito del dispositivo.

Un'altra novità prevista dalla delega attiene alle nuove preclusioni sulla produzione di nuovi documenti in appello. Si prevede, infatti, che «non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile». Questa, a ben vedere, può rappresentare un'autentica rivoluzione, non necessariamente a danno dei contribuenti, peraltro pienamente giustificata dalla previsione di termini perentori, in primo grado, per la produzione in giudizio di nuovi documenti.

Le maggiori criticità, tuttavia, si determinano con riferimento alle molte previsioni, contenute nella bozza, che non trovano riscontro nella delega. Una prima considerazione va fatta sulla proposta di modifica dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 in materia di spese. Qui, infatti, le modifiche ipotizzate appaiono quanto meno discutibili ed in parte contraddittorie. Espressamente si prevede che non trovi applicazione la regola della soccombenza, secondo cui le spese di lite vanno accollate alla parte sconfitta in giudizio, nel caso in cui «oggetto del giudizio è un atto impositivo per il quale il contribuente è stato ritualmente ammesso al contraddittorio e la decisione si basa, in tutto o in parte, su elementi forniti per la prima volta dal contribuente solo in sede di giudizio». Qui, sembrerebbe, la produzione dei documenti solo in sede di giudizio sarebbe sanzionata solamente se ed in quanto il contribuente sia stato ritualmente convocato in un contraddittorio preventivo, quasi a voler declinare il principio di soccombenza con quello di buona fede.

Peccato, che sia previsto solo a carico del contribuente e non pure per l'Agenzia, che certamente potrebbe produrre prove solo in giudizio.

Sennonché, il nuovo comma 2 dell'art. 15 arriva poi a prevedere che «le spese del giudizio sono compensate, in tutto o in parte… quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio». Qui, però, non è previsto che il contribuente sia stato previamente convenuto in contraddittorio. Inoltre, non si considera che l'esigenza di produrre documenti può emergere anche solo in ragione di come è stata concretamente formalizzata la pretesa nell'atto che si intende impugnare. Ecco perché la sanzione qui in esame non appare convincente (oltre a non trovare riscontro nella delega).  

Previsione della sentenza in forma semplificata

Altra novità, che non trova copertura nella delega, è la previsione espressa per cui «gli atti del processo, i verbali e i provvedimenti giurisdizionali sono redatti in modo chiaro e sintetico» (nuovo art. 17-ter). Pur in mancanza di indicazioni sul punto, diversamente da quanto accade nel processo civile (anche in ordine a cosa si deve intendere per chiarezza e sinteticità), si deve ritenere che eventuali violazioni non possano comportare inammissibilità ma solamente incidere sulla liquidazione delle spese di lite (come del resto previsto da quello che dovrebbe diventare il nuovo co. 2-nonies dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992).

La novità però sicuramente di maggiore criticità, che non trova riscontro nella delega, è la previsione della sentenza in forma semplificata. Il nuovo art. 34-bis del d.lgs. n. 546/1992 prevederà, salvo modifiche in corso di approvazione, la possibilità per il giudice di pronunciare una sentenza in forma semplificata. Una sentenza in cui la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, a un precedente conforme. Qui, le perplessità sono molte. Innanzitutto, per i casi in cui ciò è consentito, ossia quando si ravvisa la manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso. Non si comprende, infatti, perché non sia prevista una previa interlocuzione con le parti, che possano contraddire su questo punto. Ma poi, la previsione di una motivazione tanto rarefatta solleva perplessità, perché non è poi chiaro come potrà essere mai impugnata. Soprattutto in Cassazione, dove già ora il vizio di motivazione della sentenza incontra molteplici limitazioni. 

Soppressione del reclamo e mediazione

Infine, anche in questo caso senza che vi sia alcuna copertura nella legge di delega, è prevista la soppressione del reclamo e mediazione di cui all'art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992. La cosa, certo sorprende, visto il chiasso e l'entusiasmo che aveva accompagnato l'introduzione dell'istituto. Più volte e da più parti si era scritto che sarebbe stato opportuno rivedere l'istituto, soprattutto per assicurare la terzietà del soggetto incaricato di gestire il reclamo e la mediazione, ma mai si era giunti ad ipotizzarne l'abrogazione. Peraltro, questa soppressione sembra andare contro tutte le volontà, espresse in più sedi, di riduzione e ridimensionamento del contenzioso.

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