Azione di responsabilità dei creditori sociali contro gli amministratori: da quando decorre il termine?

30 Novembre 2023

In tema di azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore ex art. 146 l. fall. (nel testo vigente prima del d.lgs. n. 5/2006), la Corte chiarisce che la prescrizione (quinquennale) decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti.

Massima

L'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. (nel testo vigente prima della riforma avvenuta con il d.lgs. n. 5/2006) è soggetta a prescrizione che decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 l. fall., derivante, in primis, dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.

Il caso

La Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame interposto avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Quest'ultimo Giudice, in accoglimento dell'azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una s.p.a., aveva condannato il presidente del consiglio di amministrazione e un membro del collegio amministrativo al risarcimento dei danni in favore della curatela, per atti di mala gestio consistiti in condotte distrattive di liquidità dalle casse sociali avvenute a mezzo di registrazione di operazioni di trasferimento di fondi dal conto “cassa” al conto “partite impegnate” e, per l'anno 1995, al conto “crediti in verifica”, effettuate alla fine di ogni anno e poi seguite da operazioni di segno contrario, nel corso dell'esercizio successivo.

Per quanto di interesse in questa sede, i giudici napoletani avevano rilevato:

  • che, secondo la consolidata giurisprudenza, la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta, nonché le consulenze e gli elementi di prova raccolti nel procedimento penale, possono essere liberamente utilizzati quali elementi di prova in sede di giudizio civile;
  • che, ai fini del computo della prescrizione penale, ex art. 2947 c.c., occorre aver riguardo alla pena edittale prevista dal reato oggetto del capo di imputazione, non essendo rilevanti variazioni in corso del giudizio – quali applicazioni di circostanze ovvero mutamenti del titolo di reato – sicché, correttamente, il giudice di primo grado aveva parametrato il termine di prescrizione al delitto di bancarotta fraudolenta aggravata, originariamente contestata a tutti gli imputati, e non al reato derubricato accertato all'esito del giudizio nei confronti degli altri imputati che avevano preferito affrontare il dibattimento;
  • che l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli appellanti non era prescritta anche a voler retrodatare il dies a quo alla redazione del primo bilancio nel 1991, non essendo decorso, al momento della notifica dell'atto di citazione avvenuta il 29 dicembre 2003, il termine di quindici anni, corrispondente alla pena detentiva massima prevista per il reato di bancarotta aggravata, di cui al combinato disposto degli artt. 223,216,219 l. fall., e 2621, 2446 e 2630 c.c., contestato ai ricorrenti;
  • che neanche l'azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., ricompresa nell'azione ex art. 146 l. fall. proposta dalla curatela, poteva considerarsi attinta da prescrizione, in quanto la presunzione della decorrenza del termine prescrizionale con la data fallimento, quale momento in cui i creditori hanno la percezione dello stato di insolvenza, non può essere superata dall'ammissione della società alla procedura di amministrazione controllata, mentre, anche a voler retrodatare l'inizio del termine di prescrizione alla data di ammissione alla procedura di concordato preventivo del 13 giugno 1988, doveva ritenersi che il passaggio in giudicato della sentenza ex art. 444 c.p.p., emessa nel 2002, avesse fatto decorrere, ai sensi dell'art. 2947, comma 3 c.c., un nuovo termine prescrizionale di cinque anni, ancora in corso al momento della proposizione della domanda introduttiva del procedimento;
  • che nessuna incidenza potevano avere le statuizioni del giudice penale nel procedimento nei confronti dei corresponsabili, ben potendo il giudice civile procedere alla valutazione delle emergenze probatorie in piena autonomia.

Avverso la suddetta decisione gli appellanti frapponevano ricorso per Cassazione, affidandolo a tre differenti motivi.

Nessuna di tali censure superava il vaglio di ammissibilità della Corte, la quale rigettava il ricorso, con condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio in favore del fallimento.

A detta della Suprema Corte, l'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. (nel testo vigente prima della riforma avvenuta con il d.lgs. n. 5/2006) è soggetta a prescrizione, che decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 l. fall., derivante, in primis, dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito.

In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (v. Cass. 23659/2023 e Cass. 13378/2014).

La questione

La questione giuridica sottesa al caso in esame verte sullo stabilire se, in tema di azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. (nel testo vigente prima della riforma avvenuta con il d.lgs. n. 5/2006), la prescrizione (quinquennale) decorra dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti o dall'effettiva conoscenza di tale situazione.

La soluzione giuridica

A mente dell'art. 2394 c.c. (Responsabilità verso i creditori sociali), gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.

L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

Secondo la ricostruzione prevalente, a differenza della responsabilità verso la società - qualificabile come responsabilità contrattuale - alla responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali deve riconoscersi natura extra-contrattuale, stante l'assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti del quale possa configurarsi l'inadempimento (v. Cass. civ., sez. I, 5 settembre 2018, n. 21662).

Si tratterebbe, quindi, di responsabilità da fatto illecito riconducibile alla regola generale posta dall'art. 2043 c.c., della quale costituirebbe una specificazione.

L'azione dei creditori sociali, inoltre, ha natura diretta ed autonoma rispetto all'azione spettante alla società ai sensi degli artt. 2393 e 2393-bis c.c. (v. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2023, n. 10488 e Trib. Milano, 2 ottobre 2006).

L'esercizio dell'azione accordata dall'articolo in esame ai creditori delle società di capitali è subordinato alla sussistenza di un duplice presupposto:

  • l'inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi che la legge prescrive loro in ordine alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale;
  • la conseguente insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le ragioni dei creditori.

Il primo requisito abbraccia ogni ipotesi di perdite provocate dalla violazione dei doveri di sorveglianza, di attività e di revisione facenti capo agli amministratori e si ricollega alla disciplina degli artt. 2343,2423 ss., 2446,2447 e 2449 c.c..

Il secondo presupposto implica, invece, che il patrimonio sociale sia stato inutilmente aggredito dai creditori.

Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito, da un lato, che la responsabilità prevista dall'art. 2394 c.c. sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c.; dall'altro, che il diritto riconosciuto ai creditori è quello di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l'equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado di adempiere o quanto meno di adempiere integralmente e correttamente (v. Cass. 10488/1998).

Ai fini della esperibilità dell'azione di cui all'art. 2394 c.c. è necessario che la condotta illegittima risulti fonte di pregiudizio patrimoniale per il ceto creditorio inteso nella sua generalità - tale da determinare l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le relative ragioni di credito - con dimostrazione della sussistenza di un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotte illecite o inadempimenti ascritti, dovendosi commisurare l'entità del danno prospettato alla corrispondente riduzione della massa attiva di patrimonio (v. Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2019, n. 28613 e Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2000, n. 15487).

Non è necessaria la preventiva escussione del patrimonio sociale e non è sufficiente la dimostrazione del mancato pagamento del credito al creditore sociale che agisce, ma occorre provare la perdita della garanzia generica, rappresentata dal patrimonio sociale, subita dai creditori sociali per fatto imputabile agli amministratori e collegato all'inadempimento delle obbligazioni su di essi gravanti in ragione del rapporto che li lega alla società.

La legge prevede per l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte dei creditori sociali un termine quinquennale (art. 2949, comma 2, c.c.), il quale inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), e quindi, nel caso di specie, dal momento in cui si è prodotto il danno sul patrimonio sociale.

Al riguardo è peraltro orientamento pacifico che il termine inizi a decorrere, non dalla data di commissione dei fatti gestori lesivi, bensì dal momento della percepibilità del danno ad essi conseguente: e in particolare, per i creditori sociali, dalla data in cui risulta l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti (v. Cass., sez. un., 6 ottobre 1981, n. 5241, Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 2015, n. 25178; App. Firenze 10 ottobre 2022, Trib. Torino, 23 aprile 2001, Trib. Catania, 1° settembre 2000 e Trib. Padova 16 luglio 1999).

Tornando al caso in esame, le condotte di mala gestio contestate dal curatore agli amministratori corrispondevano alle condotte di bancarotta aggravata per le quali i ricorrenti avevano subito una condanna a seguito di applicazione su richiesta della pena.

Applicando il comma 3 dell'art. 2947 c.c., a mente del quale se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica all'azione civile, correttamente i giudici di merito avevano ritenuto applicabile, in luogo del termine prescrizionale di cinque anni previsto dall'art. 2949 c.c., il più lungo termine di prescrizione stabilito per la fattispecie delittuosa della bancarotta aggravata (quindici anni) per la quale era stata promossa l'azione penale nei confronti dei ricorrenti, i quali avevano richiesto in sede di udienza preliminare la sentenza di applicazione della pena su richiesta exartt. 444 c.p.p.

Passando all'individuazione del dies a quo , va premesso che, come insegna il consolidato orientamento giurisprudenziale, le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell'ente confluiscono nell'unica azione di responsabilità, esercitabile da parte del curatore ai sensi dell'art. 146 l. fall., la quale, assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime – attesa la ratio ad essa sottostante, identificabile nella destinazione, impressa all'azione, di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale, unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali – implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne immuta i presupposti (v. Cass. civ., sez. I, 3 agosto 2023, n. 23659).

A tal riguardo, l'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. (nel testo vigente prima della riforma avvenuta con il d.lgs. n. 5/2006, applicabile ratione temporis) è soggetta a prescrizione, che decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 l. fall., derivante, “in primis”, dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (v. Cass. 23659/2023).

Ne consegue, che i fatti addotti a fondamento della domanda identificano l'azione in concreto esercitata dal curatore, e, in particolare, la disciplina in materia di prova e di prescrizione, quest'ultima in ogni caso quinquennale, ma, se fondata sulle circostanze idonee ad attivare l'azione sociale, con decorrenza non dal momento in cui l'insufficienza patrimoniale si è manifestata come rilevante per l'azione esperibile dai creditori, bensì dalla data del fatto dannoso e con applicazione della sospensione prevista dall'art. 2941, n. 7, c.c., in ragione del rapporto fiduciario intercorrente tra l'ente ed il suo organo gestorio (v. Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2012, n.10378).

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