Liberazione dell’immobile occupato da soggetto agli arresti domiciliari o in regime di detenzione domiciliare

05 Dicembre 2023

Secondo la tesi sostenuta dai giudici di merito, la presenza di un soggetto ristretto in detenzione domiciliare, presso l’immobile oggetto di rilascio, non può costituire una circostanza ostativa all’esecuzione del titolo esecutivo. Nella fattispecie, il conflitto deve essere risolto mediante l’adozione da parte del giudice dell’esecuzione dei provvedimenti temporanei, disponendo che l’ufficiale giudiziario investa della questione il Pubblico Ministero, affinché questi formuli istanza al Tribunale di Sorveglianza per la revoca o la modifica della detenzione domiciliare.

Il quadro normativo

L'esecuzione per il rilascio riguarda la procedura successiva all'ottenimento del titolo che ordina la restituzione dell'immobile sino alla sua liberazione a mezzo d' intervento dell'ufficiale giudiziario. Si tratta di un tipico esempio di processo esecutivo che, partendo dal titolo passa attraverso le fasi della notifica del precetto, del preavviso di sloggio e dell'accesso da parte dell'ufficiale giudiziario che è l'organo incaricato ad eseguire i provvedimenti giurisdizionali. Difatti, l'esecuzione inizia con la notifica del preavviso di rilascio di cui all'art. 608 c.p.c.: l'atto in questione ha lo scopo di avvertire la parte dell'esecutata del giorno e dell'ora in cui l'ufficiale giudiziario si recherà presso l'immobile per immettere nel possesso dello stesso l'avente diritto, munito di titolo esecutivo. Invero, l'esecuzione inizia con la notifica dell'avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il giorno e l'ora in cui procederà. Nel giorno e nell'ora stabiliti, l'ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, si reca sul luogo dell'esecuzione e, facendo uso, quando occorre, dei poteri a lui consentiti dall'art. 513 c.p.c., immette la parte istante o una persona da lei designata nel possesso dell'immobile, del quale le consegna le chiavi, ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore.

Come sottolineato dai giudici, in tema di procedura esecutiva per consegna o rilascio, il preavviso prescritto dall'art. 608 c.p.c. esaurisce, con la notifica, il suo scopo di preavvertire l'esecutato del prossimo inizio dell'azione esecutiva, al fine di consentirgli l'adempimento spontaneo e di essere, comunque, presente all'immissione in possesso del creditore procedente, sicché non sussiste un obbligo di nuovo avviso in caso di sospensione dell'esecuzione già iniziata con un primo accesso e successivamente ripresa (Cass. civ., sez. III, 2 luglio 2019, n. 17674). Ove la parte tenuta al rilascio sia presente e non opponga alcuna resistenza, l'accesso da parte dell'ufficiale giudiziario si svolge senza alcuna difficoltà. Attenzione: l'obbligazione di restituzione dell'immobile locato, ai sensi dell'art. 1590 c.c., deve considerarsi inadempiuta qualora il locatore non ne riacquisti la completa disponibilità, così da poterne fare uso secondo la sua destinazione; pertanto, la mora e gli effetti dell'art. 1591 c.c. si producono anche se egli torni formalmente in possesso del bene ancora occupato da beni del conduttore, a nulla rilevando che il rilascio sia avvenuto coattivamente ex art. 608 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2018, n. 20146). Quindi, la formale chiusura del processo esecutivo non determina l'automatica cessazione degli effetti sostanziali collegati al rapporto di locazione (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8675). Normalmente il rilascio del bene avverrà tramite la consegna delle chiavi dell'immobile all'avente diritto (o al suo difensore). Alla consegna si accompagna l'ingiunzione rivolta dall'ufficiale giudiziario all'esecutato di riconoscere il nuovo stato di fatto. Tuttavia, in alcuni casi, possono sorgere difficoltà materiali in sede di rilascio: presenza di un soggetto in gravi condizioni di salute; presenza di minori o di altri soggetti in condizione di deficit psichico ed ancora nell'ipotesi in cui nell'immobile da rilasciare si rinvenga un soggetto in danno del quale sono stati disposti gli arresti domiciliari (con obbligo di domicilio nell'immobile oggetto dell'esecuzione). In quest'ultimo caso sorge un problema pratico di coordinamento tra il provvedimento civile con quello penale”.

L'esistenza di un'abitazione effettiva e disponibile

Come sostenuto in giurisprudenza, qualora il giudice, a fronte di richiesta del pubblico ministero volta all'applicazione della custodia cautelare in carcere, disponga invece gli arresti domiciliari sotto condizione che venga accertata l'esistenza di un luogo idoneo all'esecuzione di tale misura e tale accertamento dia esito negativo, deve ritenersi legittimo il provvedimento con il quale, senza apprezzabile soluzione di continuità cronologica, lo stesso giudice, pure senza acquisizione del parere del pubblico ministero, revochi la suddetta misura e disponga quella, originariamente richiesta, della custodia in carcere (Cass. pen., sez. IV, 23 settembre 2004, n. 37565). Quindi, è legittima l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che la pericolosità del soggetto da sottoporre a cautela possa essere neutralizzata attraverso l'applicazione degli arresti domiciliari, ma il predetto soggetto non disponga di un domicilio all'uopo idoneo (Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3429). Dunque, secondo i citati orientamenti, l'adozione in concreto di tale misura presuppone l'esistenza di una abitazione effettiva e quindi disponibile: l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari è costituita dalla sua concreta eseguibilità, intesa come disponibilità di un domicilio presso il quale trasferire l'indagato o l'imputato. Difatti, agli effetti dell'art. 385 c.p., deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, i quali devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà (App. Palermo pen. 18 maggio 2022, n. 144); nonostante ciò, è consentito al giudice di "circoscrivere" la nozione di abitazione inibendo l'accesso alle pertinenze, altrimenti fruibili, qualora la stessa, genericamente intesa, non sia idonea, per le caratteristiche logistiche, a salvaguardare le esigenze cautelari del caso concreto (Cass. pen., sez. VI, 19 luglio 2019, n. 3237). Gli arresti domiciliari sono fruibili in un luogo di privata dimora, appartenente all'indagato o a un soggetto terzo, presso il quale non è necessario che vi soggiornino altre persone, appartenenti o meno alla cerchia familiare dell'indagato, potendo il giudice, ai sensi dell'art. 284, comma 3, c.p.p. autorizzare chi trovasi sottoposto a tale misura ad allontanarsi dal luogo degli arresti per provvedere alle indispensabili esigenze di vita o per fronteggiare situazioni di assoluta indigenza (Cass. pen., sez. I, 2020, n. 31769). Pertanto, l'indagato che chiede la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari ha l'onere di indicare un indirizzo del luogo di detenzione che consenta l'individuazione del soggetto - proprietario, conduttore, comodatario - che può esprimere il consenso alla fruizione della misura presso l'abitazione offerta, e la valutazione dell'adeguatezza della misura a garantire le esigenze di cautela (Cass. pen. sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 6908).

Immobile locato occupato da soggetto agli arresti domiciliari o in “detenzione domiciliare”

Accade spesso che, durante la fase di rilascio forzato di un immobile, l'ufficiale giudiziario si veda opporre, da parte di uno degli occupanti l'appartamento oggetto di sfratto, l'impossibilità di uscire poiché autorizzato dal giudice penale a scontare gli arresti domiciliari proprio in quell'alloggio. In tal caso, occorre considerare due disposizioni:

  • Arresti domiciliari. In tema, l'art. 284 c.p.p. prevede che con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta. In tal caso:
  • il giudice dispone il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare comunque le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato;
  • la misura cautelare degli arresti domiciliari non può essere eseguita presso un immobile occupato abusivamente.
  • Provvedimenti temporanei. Il Legislatore, con la disposizione ex  art. 610 c.p.c., ha previsto che se nel corso dell'esecuzione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti. Ad esempio, il giudice - in presenza di minore nell'immobile oggetto di sfratto - può disporre che i servizi sociali comunali assicurino la presenza di un operatore per eventuali interventi a favore del minore medesimo, nonché - ove l'assistente sociale non sia presente al momento dell'accesso e non risulti alcuna prospettiva di una sistemazione idonea - l'ufficiale giudiziario provveda, ai sensi dell'art. 403 c.c., a segnalare - direttamente o tramite la forza pubblica - la necessità di intervento urgente dei servizi sociali (Trib. Milano 17 maggio 2013).

Contemperamento tra esigenze contrapposte

Dunque, può accadere che nel corso di un procedimento di esecuzione per rilascio, l'ufficiale giudiziario formula al giudice dell'esecuzione un'istanza - ricondotta nell'alveo dell'art. 610 c.p.c. - per risolvere il problema relativo al rinvenimento presso l'immobile oggetto di esecuzione (ad esempio) di un soggetto, coniuge del conduttore, in stato di detenzione domiciliare. In questo caso, secondo alcuni giudici, l'elezione del luogo di detenzione domiciliare presso l'immobile oggetto di rilascio non può costituire una circostanza ostativa all'esecuzione del titolo esecutivo. Difatti, secondo questo ragionamento, in tal caso si manifesta un conflitto tra soggetti portatori di interessi giuridicamente rilevanti e meritevoli di tutela, ovvero:

  • da un lato, l'interesse privatistico del proprietario a riacquistare la disponibilità dell'immobile in forza di un provvedimento giudiziale che ha già accertato il suo diritto;
  • dall'altro, l'interesse pubblicistico dello Stato a garantire l'espiazione della pena attraverso l'applicazione di misure alternative rispetto alla detenzione carceraria, in conformità alla più ampia esigenza di favorire la risocializzazione e rieducazione del condannato.

Come sostenuto in dottrina, in tal caso, si è in presenza di un'antinomia fra norme, posto che da un lato vi è un provvedimento del giudice civile da eseguire (l'ordinanza di convalida di sfratto o l'ordine di liberazione dell'immobile pignorato), e dall'altro lato vi è la misura cautelare degli arresti domiciliari o la “detenzione domiciliare” emessa in sede di giurisdizione penale contro il soggetto che occupa l'immobile.

Trattasi comunque di un conflitto “particolare”, atteso che il permanere, della misura cautelare degli arresti domiciliari ha come presupposto essenziale l'esistenza di un domicilio disponibile da parte del soggetto colpito dalla misura.

Soluzione del conflitto

Dinanzi a “tale conflitto”, occorre pervenire ad una soluzione che contemperi gli interessi antagonistici, in quanto da un lato non può aprioristicamente sostenersi che l'interesse privato debba cedere rispetto a quello pubblico, e dall'altro non si può incorrere nel rischio di strumentalizzazioni del sistema a danno dei diritti del singolo. A questo proposito, secondo il Tribunale di Napoli, “sarebbe contraddittorio consentire che l'esecuzione per rilascio sia portata a compimento nei confronti di soggetti appartenenti ad una fascia sociale debole, ovvero minori, invalidi, anziani, ed invece paralizzare l'esecuzione, quando l'immobile sia occupato da un indagato, ovvero, da una persona nei cui confronti sussistano gravi indizi di colpevolezza ed a maggior ragione da un detenuto, ovvero da un soggetto che è stato riconosciuto in via definitiva colpevole di fatti criminosi. Inoltre, è incontrovertibile che l'applicazione della detenzione domiciliare, quale pena alternativa alla restrizione in carcere (ma considerazioni analoghe valgono per la misura cautelare degli arresti domiciliari), presupponga la disponibilità diretta da parte del condannato, ovvero indiretta da parte dei familiari di un immobile ove possa legittimamente alloggiare” (Trib. Napoli, sez. XIV, 30 marzo 2018: osservano i giudici che l'applicazione della detenzione domiciliare, quale misura alternativa alla detenzione in carcere presuppone la disponibilità diretta da parte del condannato, ovvero indiretta da parte dei familiari, di un immobile ove esso possa legittimamente alloggiare; per l'effetto, allorché tale presupposto venga a mancare, in forza dell'ordinanza di sfratto per morosità o per finita locazione, la misura diviene in concreto ineseguibile, dovendo pertanto procedersi ad individuare un altro immobile oppure, ove ciò non sia possibile, alla revoca o alla modifica della misura alternativa alla detenzione o della misura cautelare).

Posto, dunque, che la circostanza che l'immobile sia il luogo di detenzione domiciliare del familiare del conduttore, ciò non costituisca un ostacolo insuperabile all'esecuzione dell'ordinanza di rilascio; sicché, in tal caso, occorre individuare i provvedimenti da adottare al fine di consentire all'ufficiale giudiziario di proseguire efficacemente nelle operazioni di liberazione. A parere del giudice napoletano deve senz'altro escludersi la possibilità di eseguire l'ordinanza di sfratto, sic et simpliciter, in quanto:

  • se il detenuto fuoriesce dall'abitazione dove è ristretto, ai fini del rilascio immediato dell'immobile, ciò integra a tutti gli effetti il reato di evasione (ex art. 385 c.p.). Invero, si configura il reato di evasione dagli arresti domiciliari ogni volta in cui il soggetto attivo del reato si allontana dal luogo di domicilio stabilito dal giudice per recarsi in altri luoghi, salvo il caso in cui si provi che l'allontanamento è stato reso necessario da cause di forza maggiore o comunque da cause non imputabili al reo. Dunque, anche il semplice allontanamento estemporaneo e per qualche minuto, giustifica l'applicazione dell'art. 385 c.p. integrandone il reato, poiché qualsiasi azione anche la più insignificante non deve porre alcun ostacolo al controllo della polizia giudiziaria, essendo una condizione indispensabile per la fruizione di una misura cautelare meno afflittiva (Trib. Bologna pen. 17 aprile 2023, n. 1619);
  • non può equipararsi la procedura di rilascio coattivo ex art. 608 c.p.c. alla forza maggiore o al fatto del terzo tale da escludere il nesso psichico necessario per perfezionamento del reato di evasione ex art. 385 c.p. Difatti, l'allontanamento, senza autorizzazione, dall'abitazione da parte della persona in stato di arresto integra il reato di cui all'art. 385 c.p., quale che sia la ragione che l'ha determinato, essendo del tutto irrilevanti i motivi che hanno indotto il soggetto a porre in essere la condotta salvo che questi ultimi assurgano a dignità di esimente (Trib. Frosinone pen. 24 agosto 2023, n. 1274).

Nonostante tale premessa, ai fini della soluzione del conflitto di norme, in tale situazione, in sede di esecuzione di un'ordinanza di convalida di sfratto per morosità, la presenza di un soggetto ristretto in detenzione domiciliare presso l'immobile oggetto di rilascio non può costituire una circostanza ostativa all'esecuzione del titolo esecutivo: il giudice, da una parete deve ordinare all'ufficiale giudiziario di dare esecuzione all'ordinanza di convalida; dall'altra parte, però, con il medesimo provvedimento, deve trasmettere il provvedimento all'Ufficio del Procura della Repubblica, affinché provveda con sollecitudine a formulare istanza al Tribunale di Sorveglianza o ad altro giudice competente di revoca o modifica della detenzione domiciliare. In tale contesto, non spetta al conduttore avvisare la competente autorità giudiziaria dell'imminente esecuzione dello sfratto affinché lo prenda in custodia all'atto dello sloggio, ma è necessario che sia l'ufficiale giudiziario ad investire della questione il Pubblico Ministero, quale organo deputato a vigilare sull'esecuzione delle misure penali restrittive della libertà personale, al quale compete, una volta reso edotto della vicenda, proporre al giudice penale competente istanza di revoca e/o modifica della misura della detenzione domiciliare, stante l'impossibilità sopravvenuta di fruire del domicilio inizialmente indicato (soluzione adottata dal citato orientamento di Napoli in contrapposizione alla diversa soluzione di incombenza del conduttore adottata dalla Pretura di Monza del 30 luglio 1987).

In definitiva, come sottolineato in dottrina, l'emissione del provvedimento del giudice civile costituisce il presupposto per poter chiedere al giudice penale la revoca o la modifica della misura per sopravvenuta carenza delle condizioni applicative previste dalle legge, con la conseguenza che il sopraggiungere dell'indisponibilità dell'alloggio legittimerebbe il Pubblico Ministero a richiedere al giudice penale competente una modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari o della detenzione domiciliare. Ciò porta a ritenere che la presenza all'interno dell'immobile oggetto di rilascio di un soggetto sottoposto agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare non è idonea a precludere la prosecuzione dell'esecuzione per rilascio.

Soluzioni operative degli ufficiali giudiziari

Come riportato dall'AUGE (Associazione Ufficiali Giudiziari Europa), in tale contesto, ci si trova di fronte a due provvedimenti emessi da due giudici con competenze distinte: il giudice civile ha emesso la convalida di sfratto mentre il giudice penale ha concesso gli arresti domiciliari e ha autorizzato il conduttore a scontarli nell'appartamento oggetto del provvedimento di rilascio. Pertanto, sul piano pratico-operativo, per risolvere il problema del conflitto tra titolo civile e titolo penale, potranno verificarsi le seguenti alternative:

  • se il proprietario viene a conoscenza che nell'immobile da liberare vi sia una persona agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare dovrà, tramite il proprio avvocato, fare istanza al giudice penale che ha la disponibilità del processo, ossia al giudice che ha concesso gli arresti domiciliari, affinché modifichi o revochi il provvedimento disponendo il trasferimento dell'inquilino-detenuto presso un altro luogo ove scontare gli arresti, luogo che sarà indicato dall'inquilino successivamente interpellato dal giudice; ovvero, in caso di mancata indicazione di altro luogo da parte dell'inquilino ne disponga il trasferimento in carcere o in altra struttura. L'istanza per la modifica del luogo di detenzione potrà essere presentata anche dall'inquilino agli arresti domiciliari mediante il proprio legale. (Secondo la tesi in esame, questa soluzione sarebbe auspicabile e vantaggiosa anche per il detenuto, il quale consentirebbe al giudice di valutare in tempo utile la richiesta di modifica del luogo ove scontare gli arresti domiciliari che potrebbe giungere prima ancora dell'arrivo dell'ufficiale giudiziario).
  • se l'ufficiale giudiziario viene a conoscenza della presenza di persona sottoposta agli arresti domiciliari nel giorno in cui si reca presso l'immobile per eseguire lo sfratto, dovrà necessariamente rinviare la procedura e rivolgere istanza al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 610 c.p.c. affinché disponga in merito;
  • se l'ufficiale giudiziario viene informato prima dell'accesso presso l'immobile da rilasciare, potrà inoltrare richiesta di assistenza alla forza pubblica informandola della data in cui intende eseguire lo sfratto e contestualmente richiedere alla stazione dei carabinieri o al commissariato di polizia competente il loro intervento presso il giudice penale che ha disposto il provvedimento, affinché autorizzi il trasferimento del detenuto presso altro luogo ove scontare gli arresti domiciliari, ovvero in mancanza, presso una struttura carceraria. In questo caso sarà cura del detenuto indicare ai carabinieri o alla polizia il luogo in cui intenderebbe scontare gli arresti domiciliari al fine di richiedere l'autorizzazione del giudice penale (a parere dell'AUGE, questa soluzione può essere quella che più delle altre potrebbe ottenere una risposta immediata da parte del giudice).

Le soluzioni operative, secondo l'AUGE, si estendono anche al caso in cui la misura detentiva non sia quella degli arresti domiciliari, bensì la detenzione domiciliare o l'obbligo di dimora, così come non vi è distinzione se la persona agli arresti domiciliari, o sottoposta ad altra misura cautelare o detentiva, sia il firmatario del contratto di locazione o un suo familiare.

In tema, inoltre, come sottolineato da alcuni autori, ferma restando l'esigenza di garantire che la presenza all'interno dell'immobile oggetto di rilascio di persona sottoposta ad arresti domiciliari (o misure equivalenti) non comporti significative compressioni o ritardi nella procedura di rilascio, può ben avvenire che il giudice dell'esecuzione disponga, ad esempio in sede di assunzione dei provvedimenti relativi ad incidente di esecuzione (art. 610 c.p.c.) sollevato dall'ufficiale giudiziario o dalla parte interessata, misure idonee a consentire la comunicazione all'autorità giudiziaria penale dell'attività esecutiva di rilascio in essere, in vista dell'assunzione, da parte di tale giudice, dei provvedimenti finalizzati alla modifica o revoca della disposta misura cautelare; similmente, può ben avvenire che una tale comunicazione venga effettuata dallo stesso ufficiale giudiziario, una volta preso atto della presenza, all'interno dell'immobile oggetto di rilascio, di persona sottoposta agli arresti domiciliari.

Immobile pignorato e occupato da soggetto agli arresti domiciliari o in “detenzione domiciliare”

L'applicazione al debitore esecutato della misura cautelare degli arresti domiciliari nell'immobile costituisce fattispecie peculiare, in merito a cui si impongono una serie di considerazioni, con conseguenti puntuali istruzioni all'ausiliario, in nome del regolare svolgimento della procedura nel rispetto di tutti gli interessi, anche penali. La generale salvaguardia dell'efficienza del sistema delle vendite giudiziarie (di pari natura pubblicistica) è tutt'altro che subvalente rispetto alle individuali esigenze di cautela penale; invero, l'applicazione degli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere non costituisce affatto un diritto del detenuto, ma presuppone, tra l'altro, la concreta eseguibilità della misura. In dettaglio, l'art. 284, comma 2, c.p.p. prescrive che: “Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono”.

Trattasi di una prescrizione limitativa della libertà dell'indagato, non di terzi, in quanto tale inidonea a impedire l'esercizio dei diritti altrui; nella specie, in tema di debitore esecutato, la previsione non può impedire l'esercizio di funzioni pubblicistiche imposte dalla legge per ragioni di giustizia e dunque l'accesso del delegato/custode e dei potenziali offerenti in visita. Né si può ritenere che l'indagato, nel momento in cui l'ausiliario esegua l'accesso (anche unitamente agli offerenti), vìoli la misura: egli, infatti, in quel momento non vìola un eventuale divieto di comunicare, ma ne “subisce” semplicemente la visita.

In tema di pignoramento immobiliare, la misura degli arresti domiciliari presuppone la disponibilità (non giuridica ma materiale) di un luogo idoneo all'esecuzione della misura; di talché, nella fattispecie potrebbe finanche sostenersi che già il solo fatto che l'immobile, pignorato e posto in vendita, rappresenti motivo di inidoneità del luogo, soprattutto in considerazione dell'imminenza dell'asta, della necessità di assicurare il diritto di visita ai potenziali offerenti e del rischio allo stato di inappetibilità del plesso (e dunque, per non scoraggiare il mercato; nella vicenda, le ristrette tempistiche comunque non consentono di procedere con immediatezza alla liberazione dell'immobile). Dunque, in questi casi, come per la locazione, nel momento in cui la misura cautelare diviene impraticabile per indisponibilità del domicilio, spetta all'autorità penale competente chiedere la modifica della stessa, ma certamente il fatto che nell'immobile vi sia una persona sottoposta agli arresti domiciliari non è, di per sé, ostativo né all'accesso, né alla liberazione dell'immobile.

Secondo i giudici di merito, in tal caso, è opportuno rappresentare direttamente la questione all'autorità giudiziaria penale competente, in tempo utile agli adempimenti del caso (Trib. Bari 17 febbraio 2022: nella specie, a seguito di ricorso ex  art. 591-ter c.p.c. depositato dal delegato/custode, era emerso che nel cespite staggito era presente il figlio maggiorenne della parte esecutata e ivi domiciliato, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari sulla scorta del provvedimento emesso dalla Corte d'Appello, con correlato ordine di non allontanarsi dall'abitazione senza la preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria e di non avere contatti con persone diverse dai conviventi). Premesso ciò, in tal contesto, a parere del giudice barese:

  • non è necessaria alcuna autorizzazione all'accesso del custode da parte dell'autorità penale. Conseguentemente, il delegato/custode è da ritenersi autorizzato ex lege all'accesso al cespite pignorato per l'adempimento dell'incarico conferitogli, dovendo comunque, per ragioni di opportunità, leale cooperazione istituzionale e, in generale, per neutralizzare qualsivoglia rischio di equivoco anche funzionale, notiziare degli accessi (e del presente provvedimento) i C.C. di pertinenza, individuati nell'ordinanza cautelare;
  • poiché né il G.E. né l'ausiliario hanno potestà di influire direttamente sull'applicazione delle misure cautelari penali, il delegato/custode è onerato di relazionare con immediatezza all'autorità giudiziaria penale circa le esposte circostanze, anche per le correlate valutazioni di modifica della misura (allegando il presente provvedimento);
  • una volta verificatisi i presupposti per addivenire all'emissione dell'ordine di liberazione (sulla base dell'art. 560 c.p.c. nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie esaminata dal giudice barese, oggi modificata dalla riforma Cartabia), l'ausiliario dovrà tempestivamente comunicare all'autorità giudiziaria penale competente e ai carabinieri di pertinenza la data di attuazione dell'ordine di liberazione - e dunque l'imminente indisponibilità del locus -, da attuarsi verosimilmente con l'ausilio della forza pubblica.

In definitiva, secondo il provvedimento in commento, il delegato/custode, è autorizzato ad accedere al complesso staggito senza limitazioni, al fine di adempiere all'incarico conferitogli da questo G.E. e, pertanto, unitamente a eventuali visitatori che l'ausiliario provvederà a identificare, predisponendo un elenco che sarà comunicato, in tempo congruo, agli organi competenti (inclusi i C.C.). Per queste ragioni, il giudicante barese ha onerato il delegato/custode di procedere con immediatezza alla comunicazione del presente provvedimento all'autorità giudiziaria penale competente e ai C.C. di pertinenza e di preavvertire questi ultimi dell'accesso programmato almeno tre giorni prima, dato atto dell'urgenza della situazione, per l'imminenza dell'asta. Infine, il medesimo Tribunale, ha autorizzato l'ausiliario, ravvisatane la necessità, ad accedere all'immobile per l'espletamento dell'incarico con l'ausilio della forza pubblica, onerandolo di riferire circa (ulteriori) comportamenti ostativi della parte esecutata.

In conclusione

Gli “arresti domiciliari” rappresentano una misura cautelare personale coercitiva che viene applicata agli indagati o agli imputati nel corso delle indagini preliminari e del procedimento penale. La sua durata massima dipende dalla gravità del reato contestato e dalla fase del procedimento come previsto dagli artt. 284 e 303 c.p.p. Gli arresti domiciliari, in quanto sono una misura cautelare, non vanno confusi con la “detenzione domiciliare”. Quest'ultima, consiste nell'esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza e, solo in caso di donne incinta o madri di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, di case famiglia protette. La detenzione domiciliare può essere ordinaria (art. 47-ter della l. n. 354/1975), speciale (art. 47-quinquies della l. n. 354/1975) o per soggetti affetti da Aids o grave deficienza immunitaria (art. 47-quater della l. n. 354/1975).

Ebbene, alla luce dei citati orientamenti giurisprudenziali di merito, l'occupazione dell'immobile da parte di un soggetto agli arresti domiciliari o in stato di “detenzione domiciliare” non appare circostanza di ostacolo alla liberazione del compendio oggetto di locazione o pignoramento e vendita. In questi casi, l'ufficiale giudiziario esecutore si trova in concreto tra le mani due provvedimenti di segno “opposto e contrario”: l'uno emesso in sede di esecuzione immobiliare civile e l'altro emesso in sede di giurisdizione penale. Il contrasto, tuttavia, appare solo in maniera apparente in quanto il permanere della misura penale ha come presupposto l'esistenza di un domicilio disponibile. In tale contesto, come suggerito dalla dottrina, l'emissione in sede civile dell'ordine di liberazione dell'immobile “costituisce il presupposto per poter chiedere la revoca o la modifica della misura per sopravvenuta carenza delle condizioni”. In altre parole, proprio l'emissione da parte del giudice dell'esecuzione immobiliare dell'ordine di liberazione andrebbe a mutare il presupposto in fatto necessario per la concessione della misura penale ovvero l'esistenza di un domicilio effettivamente disponibile. Il sopraggiungere dell'indisponibilità dell'alloggio legittimerebbe pertanto il pubblico ministero a richiedere al giudice penale competente una modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari.

In definitiva, in tema di arresti domiciliari, ove il soggetto attinto dalla misura cautelare penale subisca lo sfratto, la misura penale non può impedirne l'esecuzione: sarà il medesimo soggetto attinto che, ove non reperisca altro luogo da indicare per l'esecuzione della misura degli arresti domiciliari, rendendo impossibile l'applicazione della misura, tornerà in carcere sulla base del disposto di cui agli artt. 275 e 284 c.p.p. (la misura degli arresti domiciliari presuppone la disponibilità non giuridica, ma materiale di un luogo idoneo all'esecuzione della misura). Nell'altra ipotesi, già il solo fatto che l'immobile sia stato pignorato e posto in vendita rappresenti motivo di inidoneità del luogo, soprattutto in considerazione dell'imminenza dell'asta, della necessità di assicurare il diritto di visita ai potenziali offerenti e del rischio allo stato di inappetibilità del plesso; sicché, in tale ultima circostanza, nel momento in cui la misura cautelare diviene impraticabile per indisponibilità del domicilio, spetta all'autorità penale competente chiedere la modifica della stessa, ma certamente il fatto che nell'immobile vi sia una persona sottoposta agli arresti domiciliari non è, di per sé, ostativo né all'accesso, né alla liberazione.

Riferimenti

Messina, L'esecuzione per rilascio, in IUS - Processo civile, 8 settembre 2023;

Mereu, Il problema dell’esecuzione per rilascio di immobile occupato da soggetto agli arresti domiciliari o in “detenzione domiciliare”, un possibile contemperamento tra esigenze contrapposte, in Inexecutivis.it, 25 luglio 2022;

Marotta, Esecuzione per rilascio di immobile occupato da detenuto agli arresti domiciliari, in Auge.it, 26 gennaio 2018;

Lauropoli, È possibile dare corso allo sfratto nei confronti di un soggetto agli arresti domiciliari?, in IUS - Processo civile, 9 ottobre 2017;

Vasapollo, Immobile pignorato occupato da soggetto agli arresti domiciliari o in regime di detenzione domiciliare?, in Immob. & proprietà, 2014, fasc. 5, 319.

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