Domanda di ammissione di crediti simulati: quando si perfeziona il delitto?

Ciro Santoriello
12 Dicembre 2023

La pronuncia in commento, oltre a ribadire principi già affermati dalle poche decisioni intervenute in tema di domanda di ammissione al passivo di crediti simulati, chiarisce alcuni aspetti relativi al momento consumativo del delitto in parola.

Massima

Per integrare l'elemento oggettivo del delitto di domanda di ammissione di crediti simulati non è sufficiente la mera presentazione di un credito non spettante, ma occorre che tale domanda sia corredata di elementi o atti idonei a trarre in inganno la curatela, con la conseguenza che, laddove i documenti atti a rafforzare la credibilità della domanda di ammissione ideologicamente falsa siano presentati successivamente alla domanda stessa, il momento consumativo del reato va individuato nella produzione di tale documentazione e non nella formulazione della richiesta di ammissione al passivo.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per reati fallimentari, la Corte di appello di Milano condannava tre imputati, fra le diverse contestazioni, per il reato di domanda di ammissione al passivo di crediti simulati.

I tre imputati erano rispettivamente gli amministratori di due società creditrici della fallita ed un professionista avvocato che aveva curato la riscossione dei crediti e presentato la domanda di ammissione al passivo degli stessi.

Secondo la tesi accusatoria, in sintesi, la condotta contestata era consistita nell'insinuarsi al passivo del fallimento mediante il deposito di diversi assegni rilasciati a favore degli imputati dalla società fallita, nonostante i suddetti crediti fossero stati soddisfatti a mezzo di una procedura esecutiva e di una transazione conclusasi in Svizzera con satisfazione piena dei creditori grazie all'intervento del patrimonio personale dell'amministratore della fallita.

In sede di ricorso per cassazione, le difese, per quanto di interesse in questa sede, lamentavano la violazione dell'allora art. 232 r.d. n. 267/1942 avendo la sentenza considerato integrante il reato una condotta successiva alla presentazione della domanda di ammissione al passivo, tra l'altro consistente in un contegno omissivo, individuandosi il momento consumativo in quello del deposito degli assegni originali e non in quello – corretto – della proposizione delle due domande di insinuazione al passivo depositate nel marzo 2011 con la necessaria documentazione, come risultava dai decreti di ammissione del 18 aprile 2011, riservandosi solo sulla effettiva distribuzione della somma. Secondo le difese, nel 2011 il credito era sicuramente effettivo in quanto la procedura elvetica si concludeva nel 2014, così difettando la fraudolenza ed il reato contestato. A conferma di questa censura, si evidenziava come dalla stessa previsione della attenuante speciale di cui all'art. 232, comma 2, l. fall. – che valorizza il ritiro della domanda prima della verificazione dello stato passivo – risulta che la domanda rilevante ai sensi della stessa fattispecie incriminatrice deve intervenire prima della verificazione dello stato passivo, altrimenti non potendo operare l'attenuante. E, per l'appunto, al momento del deposito degli assegni da parte del ricorrente lo stato passivo era stato già da tempo verificato, così dovendosi escludere la configurabilità del delitto.

Inoltre, si contestava la correttezza della conclusione secondo cui la fraudolenza della condotta sarebbe consistita nell'aver taciuto l'estinzione del credito – necessitando invece la produzione di prove ingannevoli – e sulla base di una non spiegata equivocità della affermazione fatta dal ricorrente di non aver nulla riscosso dalla società fallita, essendo del tutto neutra l'attività di presentazione degli assegni.

La questione

Il delitto di domanda di ammissione di crediti simulati è punito dall'art. 338 d.lgs. n. 14/2019 (CCII), il quale sanziona – con previsione analoga a quella precedentemente richiamata dall'art. 232 r.d. n. 267/1942 – “chiunque fuori dei casi di concorso in bancarotta anche per interposta persona presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato”.

L'incriminazione mira alla protezione, da un lato, dei creditori insinuati portatori di effettive pretese, sia dello stesso fallito, una volta che la liquidazione dell'asse concorsuale possa serbargli un residuo attivo tutelando l'esigenza processuale di un corretto svolgimento della vicenda fallimentare.

Per muovere la contestazione in discorso occorre non sussista un'ipotesi di concorso nella bancarotta con riferimento all'adozione di condotte di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti.

Presupposto del reato è l'esistenza di una già avviata procedura concorsuale, che non deve essere necessariamente rappresentata dalla liquidazione giudiziale posto che la previsione incriminatrice opera anche in caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria, nonché nel caso di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 63, comma 2-bis CCII.

Il reato in discorso è un delitto comune, potendo essere commesso da chiunque, in assenza di qualsiasi qualifica giuridica - salvo, evidentemente, i soggetti che possono rispondere quali intranei dei delitti di bancarotta sub specie di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, quali l'imprenditore, l'amministratore, il sindaco, il liquidatore o il direttore generali di società, nonché, come già detto, quanti abbiano avuto con il fallito una previa intesa diretta a sottrarre beni dalla massa fallimentare - il che si verifica, ad esempio, laddove il fallito, previo accordo, taccia di fronte all'altrui condotta simulatrice.

Quanto alla possibile responsabilità del curatore, essendo lo stesso un pubblico ufficiale, nel caso in cui questi concordi fraudolentemente con il creditore, dietro dazione o promessa di denaro o altra utilità, la presentazione di un credito simulato, si è sicuramente in presenza, da un lato, di una fattispecie di corruzione, e, dall'altro, di un reato di peculato.

La norma prevede la punibilità anche di chi, “per interposta persona, presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato”. Il riferimento è al soggetto che – provvedendo alla presentazione della domanda di ammissione al passivo – si frappone fra il singolo che simula la sua posizione creditoria e la procedura fallimentare: giustamente si ritiene che una ipotesi di interposizione penalmente rilevante possa verificarsi – non solo nel caso in cui un soggetto diverso provvede all'operazione materiale di avanzare alla procedura la pretesa fraudolentemente simulata, ma anche – quando la presentazione della domanda consegua, mediante un accordo simulatorio, ad una intestazione fittizia a terzi del credito; l'eventuale responsabilità del soggetto interposto andrà valutata alla luce della sua consapevolezza circa la fraudolenta simulazione del credito, potendo lo stesso – sia pure in situazioni limite e difficilmente verificabili – ignorare l'inesistenza del credito.

La condotta sanzionata consiste in un reato formale e di pericolo: è sufficiente a perfezionare l'illecito la presentazione del ricorso per l'ammissione al passivo, ai sensi dell'art. 93, di un credito fittizio, fraudolentemente simulato. La tutela degli interessi patrimoniali dei creditori gode di una protezione assai avanzata, giacché ad integrare il reato è sufficiente la mera presentazione dell'istanza di credito inesistente, mentre non occorre l'induzione in errore degli organi concorsuali e meno ancora l'effettivo risultato di uno squilibrio nella verifica dello stato passivo.

Il credito di cui si chiede l'ammissione deve essere simulato, secondo quanto dispone l'art. 1414 c.c., sia in relazione all'ipotesi di simulazione assoluta, sia in relazione alla simulazione relativa, laddove, cioè, l'accordo simulatorio copre non già l'assenza del negozio giuridico quanto un rapporto diverso da quello che appare.

In dottrina, si sostiene che la mendace rappresentazione deve riguardare aspetti essenziali dell'obbligazione, che rendono la stessa radicalmente inesistente e comunque assolutamente non azionabile in giudizio; di conseguenza, mentre non ha alcun rilievo una richiesta di ammissione al passivo che modifichi profili irrilevanti del rapporto creditizio o comunque aspetti dell'obbligazione tipicamente risolubili con i normali mezzi di contenzioso processuale civilistico – come l'eventuale intervenuta prescrizione del credito, l'annullabilità del negozio fonte dell'obbligazione, ecc. – di contro il reato in discorso sussiste se la falsa prospettazione attiene ad una pretesa affetta da patologia radicale e soggetta alla categoria della nullità o inesistenza - si pensi, ad esempio, alle obbligazioni sorte per cause o motivi illeciti o ad obbligazioni naturali ecc. (SANDRELLI, I reati fallimentari diversi dalla bancarotta, Milano 1990, 147).

La giurisprudenza (Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2018, n. 27165) ritiene che debba ritenersi simulato ogni preteso diritto di credito, oggetto della domanda di ammissione al passivo da parte del soggetto attivo del reato, non corrispondente alla realtà giuridica da esso formalmente rappresentata e, quindi, in quanto tale, idoneo ad incidere negativamente sul regolare soddisfacimento delle ragioni del ceto creditorio in sede di riconoscimento dei rispettivi diritti di credito e di ripartizione dell'attivo fallimentare. Non rientrano comunque nella sfera di applicabilità della norma la circostanza in cui la simulazione del credito attiene non all'an dell'obbligazione, quanto all'esistenza di una causa di prelazione che viene invece vantata falsamente dal creditore e l'ipotesi in cui si chieda l'ammissione al passivo sulla base del possesso di un titolo di credito emesso in assenza di una reale causa economica sottostante e nella consapevolezza del fatto che il titolo stesso è stato emesso senza alcuna valida ragione economica.

Il credito di cui si chiede l'ammissione al passivo deve essere “fraudolentemente simulato”. La valenza del carattere fraudolento della simulazione va intesa in un duplice senso. Da un lato, con tale avverbio il legislatore intende richiamare le modalità con cui deve avvenire la rappresentazione del rapporto obbligatorio agli organi della procedura, nel senso che, per l'integrazione della fattispecie, non basta la mera richiesta di insinuazione di un credito in realtà insussistente, ma occorre anche che tale istanza sia accompagnata dalla “predisposizione di prove atte ad ingannare gli organi fallimentari”; in secondo luogo, l'espressione in esame riveste una valenza soggettiva, nel senso che con tale formula linguistica il legislatore evidenzia come il soggetto agente debba agire con l'intento di ingannare la procedura circa l'esistenza di un proprio diritto nei confronti della massa fallimentare (Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2018, n. 27165).

Quanto al momento consumativo del reato, la lettera della legge pare far riferimento al momento del deposito dell'istanza in discorso presso la cancelleria del tribunale, essendo irrilevante che la domanda sia respinta o che la frode sia scoperta, ma alcune decisioni (Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2018, n. 27165) hanno sostenuto che, allorquando si tratti di crediti incorporati in titoli di credito, il delitto non può ritenersi consumato con la presentazione della mera domanda di ammissione, nel caso in cui non siano stati prodotti gli originali dei titoli, posto che in questo occorrerebbe che la domanda di insinuazione al passivo venga presentata regolarmente e compiutamente, corredata dalla indispensabile, ai fini della stessa proponibilità, produzione dei titoli incorporanti i crediti di cui si intende chiedere l'insinuazione. Si ritiene possibile il tentativo.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, è richiesto il solo dolo generico (consapevolezza della fraudolenta simulazione del credito). Nel caso del ritiro della domanda prima della verificazione dello stato passivo è prevista una circostanza attenuante ad effetto speciale con la riduzione della metà della pena inflitta.

La soluzione giuridica

Il ricorso – nel caso di specie -  è stato giudicato manifestamente infondato.

Richiamando un proprio precedente (Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2018, n. 27165), la Cassazione ribadisce che, ai fini della consumazione del delitto di cui all'art. 232, comma 1, l. fall., è necessaria la presentazione di una domanda di ammissione al passivo fallimentare che abbia i requisiti di ammissibilità previsti e che sia altresì corredata dalla documentazione giustificativa del credito vantato, idonea a perfezionare l'inganno, mentre rimane penalmente irrilevante la mera presentazione di una domanda di insinuazione contenente una semplice "dichiarazione", sprovvista di qualsivoglia documentazione del credito preteso. Infatti, la presenza nella disposizione incriminatrice della clausola di esclusione "fuori dei casi di concorso in bancarotta" evidenzia come la fattispecie di cui all'art. 232, comma 1, l. fall., risponda all'esigenza di apprestare un'efficace tutela penale contro le condotte fraudolente poste in essere da soggetti diversi dall'imprenditore fallito ovvero da chi rivesta una delle qualità indicate nell'art. 223, comma 1, r.d. n. 267 del 1942, in pregiudizio della par condicio creditorum; per l'integrazione di tale fattispecie di reato è, dunque, necessario presentare una domanda di ammissione al passivo fallimentare per un credito "fraudolentemente simulato".

La nozione di "credito simulato" viene ricostruita dai giudici di legittimità, tenuto conto della ratio della disposizione in esame, nel senso che deve ritenersi simulato ogni preteso diritto di credito, oggetto della domanda di ammissione al passivo da parte del soggetto attivo del reato, non corrispondente alla realtà giuridica da esso formalmente rappresentata e, quindi, in quanto tale, idoneo ad incidere negativamente sul regolare soddisfacimento delle ragioni del ceto creditorio in sede di riconoscimento dei rispettivi diritti di credito e di ripartizione dell'attivo fallimentare. Rientrano, pertanto, in tale categoria, non solo tutti i casi di c.d. "simulazione assoluta", in cui manchi del tutto il diritto di credito, ma anche i casi di c.d. "simulazione relativa", in cui la falsa rappresentazione della realtà giuridica rappresentata dal diritto di credito vantato è solo parziale, ma decisiva per creare le condizioni (apparenti) per consentirne l'ammissione al passivo fallimentare.

Come esemplificato in dottrina, sono questi i casi: 1) del credito effettivamente esistente, ma di cui non è titolare il soggetto attivo del reato, che, nel presentare la domanda di ammissione, si sostituisce al creditore effettivo, il quale ha, invece, rinunciato ad insinuare il proprio credito, senza cederlo; 2) della domanda di ammissione al passivo di un credito ordinario, che viene fatto apparire falsamente come privilegiato; 3) del credito che viene insinuato per un'entità quantitativamente superiore a quella effettiva; 4) della domanda di ammissione al passivo di un credito estinto, che venga presentato come ancora esigibile (Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 2016, n. 7620).

Il credito non deve essere semplicemente simulato, ma occorre che sia "fraudolentemente simulato". Secondo la Cassazione, questa formula linguistica indica come sia necessario, per integrare l'elemento oggettivo del delitto in esame, un quid pluris rispetto alla semplice simulazione, che si traduce ontologicamente nella presentazione di una domanda di ammissione ideologicamente falsa nella misura in cui si fonda su di una pretesa creditoria non corrispondente alla realtà, vale a dire una condotta (come, ad esempio, la produzione di documentazione relativa al diritto di credito), che sia idonea a perfezionare l'inganno. Per questa ragione, è corretta la conclusione dei giudici di merito di individuare, nel caso di specie, il momento consumativo nella produzione (nel 2017) dei titoli di credito in originale in uno alla mendace dichiarazione di attualità dei crediti in essi rappresentati, non rilevando l'interpretazione dei decreti di ammissione dei crediti riguardo alla riserva ivi espressa rispetto al canone legale che presiede alla ammissione del credito e, in ogni caso, tenuto conto della concludente richiesta da parte della curatela di produzione degli assegni in originale per procedere alla relativa liquidazione.

Osservazioni

La sentenza in commento non presenta profili di particolare novità rispetto alle poche pronunce intervenute in tema di domanda di ammissione al passivo di crediti simulati. Consolidata è la tesi secondo cui il delitto di cui all'art. 338 d.lgs. n. 14/2019, così come non rappresenta un'affermazione innovativa quella secondo cui si è in presenza di un credito simulato tanto in caso di c.d. "simulazione assoluta", in cui manca del tutto il diritto di credito, come anche in caso di c.d. "simulazione relativa", in cui la falsa rappresentazione della realtà giuridica rappresentata dal diritto di credito vantato è solo parziale, ma decisiva per creare le condizioni (apparenti) per consentirne l'ammissione al passivo fallimentare.

L'unico profilo degno di sottolineatura attiene all'indicazione del momento consumativo del delitto in parola. Infatti, riprendendo considerazioni sviluppate in una precedente pronuncia (Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2018, n. 27165), la decisione in esame sostiene che – nonostante la lettera della legge faccia riferimento al momento del deposito dell'istanza in discorso presso la cancelleria del tribunale – posto che per la sussistenza del delitto non è sufficiente la sola presentazione della domanda di ammissione di crediti simulati, ma anche che la stessa sia accompagnata dalla produzione di documenti mendaci idonei a rafforzare la (infondata) pretesa creditoria, il delitto si consuma quando la domanda di insinuazione al passivo venga corredata da tale indispensabile documentazione ingannatoria.

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