Osservazioni
L’art. 1900 del Codice Civile del 1942, norma di carattere generale, ha ampliato il concetto di causa fortuita fino a ricomprendervi la colpa lieve dell’assicurato, escludendo solo il dolo e la colpa grave; l’art. 1927 c.c., derogando parzialmente per l’assicurazione vita alla detta disposizione di carattere generale, ha stabilito implicitamente che, salvo patto contrario, il suicidio dell’assicurato dopo che siano decorsi due anni dalla stipulazione del contratto rientri nella garanzia prestata con l’assicurazione vita.
Come accennato nell’ambito dell’assicurazione vita l’art. 450 Codice di Commercio del 1882 escludeva l’operatività della garanzia per il caso di “suicidio volontario”, definizione questa che era fonte di molte controversie in quanto la distinzione tra “suicidio volontario” e “suicidio involontario” si fondava sostanzialmente su basi psicologiche e filosofiche alquanto opinabili.
Gli assicuratori optarono per risolvere il problema sulla base di criteri più certi ed obbiettivi, assumendo nell’assicurazione vita il rischio del suicidio indistintamente (volontario o involontario) ma, per evitare il rischio che qualcuno si assicurasse proprio con l’intenzione di suicidarsi, inserendo nei contratti di assicurazione vita la c.d. clausola di “incontestabilità differita”, con la quale si stabiliva che per un tempo determinato dal momento della stipula del contratto (“periodo di carenza”) il suicidio era completamente escluso (generalmente due anni).
Si riteneva che l’intento suicida dopo un certo tempo sarebbe stato superato dall’istinto di sopravvivenza.
Tale clausola era già diffusa da decenni nei contratti di assicurazione vita, quando entrò in vigore il codice del 1942.
Quindi l’art. 1927 c.c. non ha introdotto un nuovo principio né ha ampliato la garanzia prestata e non ha fatto altro che recepire una clausola contrattuale, che già da decenni si stava diffondendo nei contratti di assicurazione vita esistenti sul mercato, mentre tale clausola non è mai stata apposta ai contratti di assicurazione infortuni, per i quali non si poneva il problema creato dall’art. 450 del Codice di Commercio.
In realtà l’art. 1927 c.c., recependo la c.d. clausola di “incontestabilità differita”, come detto, già diffusa da decenni nei contratti di assicurazione vita, e con ciò derogando parzialmente per tale assicurazione al disposto dell’art. 1900 c.c., ha reso legittima tale prassi contrattuale, che altrimenti avrebbe potuto essere ritenuta in contrasto con l’art.1900 c.c. nella sua parte inderogabile, che esclude dalla garanzia i sinistri causati da dolo.
La questione del suicidio dell’assicurato sin dalle origini si è posta esclusivamente per l’assicurazione vita, dal momento che questa è la sola assicurazione che copre il rischio naturalistico della morte dell’assicurato da qualunque causa determinata, e non si pone per gli altri tipi di assicurazione, che non coprono un tale rischio.
L’art. 1927 c.c. peraltro non solo è norma derogabile, in quanto non compresa tra quelle che a sensi dell’art. 1932 c.c. non possono essere derogate se non in senso più favorevole all’assicurato, ma è essa stessa che fa salvo il patto contrario, proprio perché recepiva una clausola conforme già diffusa nei contratti, ma lasciava libera la possibilità di una differente regolamentazione dell’assicurazione vita (è significativa la puntualizzazione espressa che fa salvo il patto contrario, di cui non c’era affatto necessità non trattandosi di norma inderogabile ex art. 1032 c.c., dovuta proprio al fatto che l’art. 1927 c.c. si limitava a “registrare” una clausola già da decenni molto diffusa nei contratti di assicurazione vita, ma senza imporla).
Quindi anche nell’assicurazione vita le polizze possono derogare totalmente al disposto normativo, riducendo o aumentando il termine del “periodo di carenza”, coprendo senza riserve il rischio suicidio o escludendolo del tutto.
Per rispondere alla domanda se l’art. 1927 c.c. sia applicabile all’assicurazione infortuni è necessario quindi tener presente che:
- nell’assicurazione vita caso morte l’evento assicurato è la morte come fatto naturalistico, da qualunque causa determinata (salve le specifiche esclusioni previste nel contratto);
- nell’assicurazione infortuni caso morte l’evento assicurato non è la morte ma l’infortunio e cioè “l’evento dovuto a causa fortuita … che produca lesioni corporali obbiettivamente constatabili, le quali abbiano quale conseguenza la morte”.
Si è detto infatti che la definizione tipica di infortunio riportata nei contratti è “evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna che produca lesioni corporali obbiettivamente constatabili, le quali abbiano quale conseguenza la morte od una invalidità permanente, od una inabilità temporanea”.
Felicemente in dottrina l’infortunio è stato definito una fattispecie complessa, in cui ricorrono i seguenti elementi:
- la causa fortuita, violenta ed esterna,
- le lesioni corporali obbiettivamente constatabili;
- la morte od una invalidità permanente od una inabilità temporanea.
Quindi perché vi sia un infortunio è necessario il concorso di tutti i suddetti elementi, tanto che ove la fattispecie non si sia ancora completata non sorge il diritto all’indennizzo e non inizia a decorrere la prescrizione dello stesso (ad esempio il diritto all’indennizzo per la I.P. sorge e la prescrizione decorre non dalla data dell’infortunio ma dalla successiva cessazione dell’invalidità temporanea), così come la sola morte non dovuta ad infortunio non fa sorgere alcun diritto (“Nel contratto di assicurazione privata contro gli infortuni da cui sia derivato un evento produttivo di lesioni corporali che abbiano determinato ricoveri ospedalieri, invalidità temporanea totale o parziale, postumi invalidanti di carattere permanente o la morte dell'infortunato, la fattispecie costitutiva del diritto all'indennizzo si perfeziona solo nel momento in cui l'evento lesivo o morboso si traduca o si evidenzi in uno dei fatti coperti dalla garanzia assicurativa con la conseguenza che è da questo momento, piuttosto che da quello dell'infortunio, che decorre la prescrizione annuale del diritto dell'assicurato, ai sensi dell'art. 2952 c.c.” Cass. N. 4735/1992; conformi: Cass. Civ. sez. VI, 15/05/2020, n. 8973; Cass. Civ. sez. III, 13/02/2018, n. 3417; Cass. Civ. sez. III, 15/07/2016, n. 14420; Cass. Civ. sez. III, 18/09/2014, n. 19660; Cass. Civ. sez. III, 29/07/2004, n. 14487; Cass. Civ. sez. III, 10/01/2003, n. 194.
Ciò rende evidenti le differenze con l’assicurazione vita, in quanto per quest’ultima il sinistro si realizza con la semplice morte, senza la necessità del concorso dei primi due elementi, mentre nell’assicurazione infortuni la semplice morte non fa sorgere alcun diritto all’indennizzo, se essa non è stata causata da “causa fortuita, violenta ed esterna”, che abbia causato “lesioni corporali obbiettivamente constatabili”, da cui sia derivata la morte.
Quindi elemento essenziale perché possa ritenersi verificato l’infortunio assicurato non è la semplice morte ma “l’evento dovuto a causa fortuita … che …”.
La morte che non sia stata causata dal “l’evento dovuto a causa fortuita … che …” non costituisce infortunio indennizzabile a termini di polizza infortuni.
Sulla base della definizione di infortunio, riportata nei contratti, la “causa fortuita” è “da intendersi, alla stregua della dottrina in materia, come “tutto ciò che non sia imputabile all’assicurato stesso ovvero dovuto a suo dolo o colpa grave”” (Cass. Civ., Sez. III, 09/04/2013, n. 8600).
Dottrina e Giurisprudenza sono concordi e costanti nell’affermare che dal concetto di “causa fortuita” vada escluso ciò che sia riconducibile alla volontà dell’assicurato e così:
- secondo Marco Rossetti “la causa dell’infortunio deve essere fortuita, e cioè non voluta dall’assicurato (o, nell’assicurazione infortuni mortali, dalla persona portatrice del rischio)” (Il Diritto Delle Assicurazioni, CEDAM 2012);
- secondo Aldo Durante “è fortuito qualcosa di imprevedibile, da cui sia aliena la volontà del soggetto” (L’assicurazione privata contro gli infortuni, Giuffrè Editore 1916);
- secondo Corte d’ Appello di Bari “la causa fortuita è data da quell’infortunio che non dipende dalla volontà del soggetto che lo ha subito, ma è accidentale, imprevisto ed imprevedibile, indipendente dalla volontà del soggetto stesso … Nel concetto di fortuità rientrano fenomeni connotati da eccezionalità, straordinarietà, anormalità e imprevedibilità dell’evento …” (Corte d’ Appello di Bari, sez. II, 30/09/2021, n. 1691);
- secondo Tribunale di Bari: “In merito alla fortuità, ciò che provoca l'infortunio deve essere totalmente indipendente dalla volontà della persona che lo subisce anche se quest'ultima per distrazione o negligenza, può aver contribuito al verificarsi dell'evento” (Tribunale di Bari, sez. II, 29/12/2022, n. 4844);
- secondo Tribunale di Bolzano: “La causa fortuita sarebbe data quando l'infortunio non dipende dalla volontà del soggetto che lo ha subito, ma è accidentale, imprevisto ed imprevedibile, indipendente dalla volontà del soggetto stesso. Nel concetto di fortuità rientrerebbero fenomeni connotati da eccezionalità, straordinarietà, anormalità e imprevedibilità dell'evento” (Tribunale sez. I - Bolzano, 27/05/2020, n. 429).
Il suicidio come atto riconducibile alla volontà dell’assicurato non integra l’evento assicurato con la polizza infortuni e cioè “l’evento dovuto a causa fortuita … che produca lesioni corporali obbiettivamente constatabili, le quali abbiano quale conseguenza la morte”.
Ne discende quindi l’inapplicabilità dell’art. 1927 c.c., peraltro norma derogabile, all’assicurazione infortuni, essendo il suicidio escluso in radice dalla definizione contrattuale dell’evento assicurato, rispetto al quale il suicidio è evento diverso.
E’ appena il caso di osservare che il problema dell’applicabilità o meno dell’art. 1927 c.c. all’assicurazione infortuni si pone indipendentemente dal fatto che la norma sia dichiarata espressamente derogabile.
La derogabilità della disposizione codicistica può infatti indurre nell’equivoco che la stessa possa non applicarsi all’assicurazione infortuni solo perché derogabile e quindi indurre l’interprete ad imboccare subito quella strada, che potrebbe apparire come la scorciatoia più semplice da percorrere, ricercando senza particolare sforzo interpretativo una qualche clausola contrattuale, che deroghi espressamente a tale norma.
In realtà il modo corretto di procedere è:
- indagare “le ragioni giustificatrici” della normativa che si vorrebbe applicare all’assicurazione infortuni e quindi valutare la “compatibilità e coerenza” della stessa con tale assicurazione (come indicato da Cass. S.U. n. 5119 del 10/04/2002);
- se la valutazione sarà negativa, la norma non sarà applicabile e ciò a prescindere dalla derogabilità o meno della norma;
- solo nel caso si ritenga la norma applicabile, assumerà rilievo la derogabilità o meno della norma e l’eventuale sussistenza di una clausola derogativa.
Infatti, una norma inderogabile è tale solo nell’ambito in cui è destinata ad operare e quindi il problema, che va risolto prima, è l’applicabilità o meno della norma dettata per l’assicurazione vita all’assicurazione infortuni.
Si deve pertanto prima determinare l’ambito di applicazione della norma e poi trarne le conseguenze dalla sua derogabilità o meno e non procedere in modo inverso.
Nel caso dell’art. 1927 c.c. la questione da risolvere è la sua applicabilità o meno all’assicurazione infortuni. Se si parte dalla sua derogabilità e si cerca nella polizza infortuni una espressa deroga alla sua applicazione, in realtà si dà per scontata la sua applicabilità e ci si limita a verificare se la stessa sia o meno contrattualmente derogata.
Così procedendo però si dà per scontata, si ripete, l’applicabilità della norma, che è invece la questione da risolvere.
Gli artt. 1924 e 1925 c.c., anche esse norme derogabili, non sono state dalla Suprema Corte ritenute inapplicabili all’assicurazione infortuni per tale loro caratteristica, in forza di qualche clausola contrattuale che ne disponesse espressamente la deroga, ma perché le stesse sono state ritenute incompatibili con tale assicurazione, per le peculiarità che la caratterizzano rispetto all’assicurazione vita (a cui sopra si è fatto cenno).
A conferma di ciò Cass. civ. n. 6205/1979 ha dichiarato l’inapplicabilità dell’art. 1926 c.c. (norma inderogabile per l’assicurazione vita) all’assicurazione infortuni, qualora questa sia stipulata per una specifica attività professionale (“L'assimilazione in via analogica tra l'assicurazione volontaria contro gli infortuni e l'assicurazione sulla vita non può essere totale e assoluta, in quanto il rischio coperto dalla prima forma di assicurazione, per la sua peculiarità, può riguardare soltanto l'espletamento di una specifica attività professionale e non qualunque evento generico che incida sulla vita dell'assicurato; ne consegue che l'art. 1926 c.c., che disciplina l'aggravamento del rischio nell'assicurazione sulla vita derivante dal cambiamento di professione dell'assicurato, non può trovare applicazione nell'assicurazione volontaria contro gli infortuni tutte le volte che il rischio coperto non riguardi una qualunque generica attività lavorativa e professionale, bensì quella specifica, espletata dall'assicurato all'atto della sottoscrizione della polizza, poiché in tal caso, se l'infortunio si realizza a causa di una diversa attività lavorativa, non si tratta di una mera variazione quantitativa del rischio assicurato, che possa legittimare l'eventuale recesso dell'assicuratore dal rapporto assicurativo per aggravamento del rischio, ma della realizzazione di un rischio ontologicamente diverso rispetto a quello assicurato. Nell'assicurazione volontaria contro gli infortuni la clausola secondo cui sono irrilevanti i cambiamenti di mansioni lavorative che non determinino aggravamento del rischio assicurato rispetto all'attività professionale o lavorativa espletata all'atto della
sottoscrizione della polizza, non può essere estesa fino a comprendere l'ipotesi in cui il
cambiamento delle mansioni comporti un rischio diverso, in quanto il termine
«mansioni» attiene esclusivamente alle variazioni quantitative della medesima attività
professionale o lavorativa”).
La ricerca della scorciatoia può essere fonte di equivoci e di errori.
Inoltre, affermare che la tradizionale e secolare definizione contrattuale di infortunio (cioè il rischio coperto con l’assicurazione infortuni) deroga all’art. 1927 c.c. appare una contraddizione in termini.
Una tale affermazione, infatti, presuppone che l’art. 1927 c.c. sarebbe astrattamente applicabile all’assicurazione infortuni, ma la sua applicazione sarebbe allo stesso tempo derogata/esclusa dal rischio coperto con tale assicurazione.
Altra cosa sarebbe se la norma codicistica fosse compatibile con la definizione di infortunio e la deroga alla sua applicazione derivasse da una qualche specifica clausola contrattuale. Invece la inapplicabilità dell’art. 1927 c.c. deriva proprio dalla definizione del rischio assicurato (infortunio), che non può al tempo stesso renderlo prima astrattamente compatibile e poi escluderne l’applicazione perché il suicidio è privo della “causa fortuita”, elemento essenziale costitutivo dell’infortunio.
In definitiva, per evitare una tale contraddizione, l’unica conclusione possibile è che l’art. 1927 c.c. sia incompatibile con l’assicurazione infortuni.
Ad ogni modo la Dottrina e la Giurisprudenza sia di legittimità che di merito sono sostanzialmente concordi nel ritenere non applicabile l’art. 1927 c.c. all’assicurazione infortuni ed escluso dalla garanzia assicurativa il suicidio in forza della definizione contrattuale di infortunio, in quanto il porre fine volontariamente alla propria vita è appunto un atto volontario e quindi privo della “causa fortuita”.
A ben vedere sono le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 5119 del 10/04/2002 a non ritenere applicabile l’art. 1927 c.c. all’assicurazione infortuni laddove affermano che: “E d’altra parte, nel caso di assicurazioni plurime che includano tra i rischi anche l’infortunio mortale, qualora il contraente giunga a porre fine volontariamente alla sua vita, ed il beneficiario richieda a tutti l’indennizzo, ciascun assicuratore avrà adeguata tutela nell’art. 1900, compreso tra le disposizioni generali in materia di assicurazione, secondo il quale l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo dell’assicurato”.
Infatti, per poter invocare l’art. 1900 c.c. per escludere l’operatività della garanzia infortuni in caso di suicidio dell’assicurato, necessariamente l’art. 1927 c.c., che deroga appunto l’art. 1900 c.c. in materia di assicurazione vita, deve non essere applicabile all’assicurazione infortuni.
Già Cass. Civ., Sez. I, 23/02/1993, n. 2215 (caso Calvi) escludeva l’applicazione dell’art 1927 c.c. all’assicurazione infortuni e l’operatività della garanzia in caso di suicidio.
Anche Cass. Civ., sez. III, 09/03/2006, n. 5101 non ritiene applicabile l’art. 1927 c.c. all’assicurazione infortuni.
Più recentemente Cass. Civ. Sez. 6, Ord. N. 38218 del 3/12/2021, Rel. Marco Rossetti, ha escluso ancora l’applicazione dell’art 1927 c.c. all’assicurazione infortuni e l’operatività della garanzia in caso di suicidio.
La giurisprudenza di merito è sostanzialmente conforme (Tribunale di Latina, 09/10/2020, n. 1813; Tribunale di Milano, sesta civile, 27/05/2020, n. 3021; Tribunale di Torino, quarta sezione civile, 05/06/2015, n. 4076; la prima e la terza applicano l’art. 1900 invece dell’art. 1927, che lo deroga in materia di assicurazione vita).
Per la verità lo scrivente ha rinvenuto solo due pronunce di merito, che hanno ritenuto applicabile l’art. 1927 c.c. all’assicurazione infortuni: Corte d’Appello di Venezia, sez. IV civ., 24/11/2020 n. 3440 e Tribunale di Trani, AREA 3, 07/07/2021, n. 1321.
Entrambe le pronunce in questione incorrono però nei medesimi evidenti vizi nella loro argomentazione e cioè ignorano totalmente quale sia il rischio assicurato con la polizza infortuni, così come descritto nella definizione di infortunio (cioè la causa fortuita), operano come se l’assicurazione infortuni non differisse minimamente dall’assicurazione vita ed il rischio assicurato fosse la morte (da qualunque causa determinata) e non invece l’infortunio, come contrattualmente definito. Passano poi a ricercare nelle esclusioni una particolare clausola, che escluda specificamente il suicidio dalla garanzia prestata, cercando cioè una specifica clausola di esclusione di ciò che invece è già escluso in radice dall’oggetto dell’assicurazione e, non trovandola, concludono per l’operatività della garanzia, a sensi dell’art. 1927 c.c.
Sembra però evidente l’errore in cui sono incorse entrambe le pronunce, che in un’assicurazione a copertura degli infortuni, ignorando peraltro l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione sulla questione, invece di verificare che ricorressero tutti i tre elementi sopra ricordati, che costituiscono l’infortunio (ed in particolare la causa fortuita), hanno cercato una clausola che escludesse specificatamente ciò che non integrava un infortunio e cioè il suicidio (con questo sistema si sarebbe potuto concludere che anche la malattia, non essendo espressamente esclusa, fosse coperta dall’assicurazione infortuni).
Si è trattato della ricerca della “scorciatoia”, a cui si è accennato poc’anzi.
È evidente invece che non c’è alcuna necessità di “escludere” ciò che già non rientra nell’oggetto della garanzia prestata.
Il fatto naturalistico della morte integra il rischio assunto con l’assicurazione vita, ma non quello assunto con l’assicurazione infortuni, nella quale rileva non la morte in se stessa ma l’evento, che l’ha causata, che deve integrare la causa fortuita, violenta ed esterna.
Quindi il suicidio non è coperto dalla garanzia prestata con l’assicurazione infortuni, in quanto atto volontario e perciò privo del requisito della causa fortuita (Corte d’Appello di Milano, 03/01/1989 in DeJure; Tribunale di Bolzano, 19/02/2018, n. 222 in DeJure; Tribunale di Roma, 21/02/2017, Ord. Ex art. 702 bis c.p.c.; Tribunale di Bolzano, 19/02/2018, n. 222; Tribunale di Bolzano, 22/07/2016, n. 999; Tribunale di Tivoli, 06/06/2007 in DeJure).
Più che un rischio escluso dall’assicurazione infortuni il suicidio è un rischio diverso da quello che l’assicuratore assume con tale polizza.
Per altro va osservato che, essendo l’assicurazione infortuni un “contratto socialmente tipico”, che presenta la stessa tipica descrizione del rischio da oltre un secolo, ed essendosi già pronunciata la Suprema corte sulla compatibilità o meno con la stessa di pressoché tutte le norme dell’assicurazione vita (sono stati ritenuti compatibili gli artt. 1919, 1920, 1921 - per questa norma si è espressa la dottrina, ma non la giurisprudenza - e 1923, sono stati invece ritenuti incompatibili gli artt. 1924, 1925, 1926 e 1927) e dipendendo l’esito della valutazione non da specifiche clausole contrattuali ma dalla natura del rischio e dalla descrizione dello stesso, come si diceva pressoché invariata da oltre un secolo, l’indagine presenta per l’interprete ben pochi margini di novità.
Va poi ancora osservato che, secondo il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. all’assicurato compete dare la prova del “fatto costitutivo” della propria pretesa e all’assicuratore del “fatto impeditivo”, per cui:
- mentre nell’assicurazione vita, essendo la morte (da qualunque causa determinata) l’evento coperto dalla garanzia assicurativa, all’assicurato basterà fornire la prova della morte, mentre l’assicuratore dovrà dimostrare il suicidio per invocare l’inoperatività della garanzia (ove tale evento sia escluso dalla stessa);
- nell’assicurazione infortuni, a fronte della contestazione dell’assicuratore che trattasi di suicidio, sarà sull’assicurato che graverà l’onere di dimostrare il fatto costitutivo e quindi, stante la definizione di polizza di infortunio, “l’evento dovuto a causa fortuita … che produca lesioni corporali obbiettivamente constatabili, le quali abbiano quale conseguenza la morte” e quindi di fatto che non si tratti di suicidio.
Cass. Civ., sez. III, 02/04/2021, n. 9205; Cass. Civ., sez. III, 08/05/2009, n. 10616 e Cass. Civ., sez. III, 09/03/2006, n. 5101 confermano tale distribuzione degli oneri probatori (in senso conforme la giurisprudenza di merito: Tribunale di Milano, sesta civile, 01/10/2020, n. 5861; Tribunale di Bergamo, quarta civile, 22/02/2019, n. 487; Tribunale di Torino, quarta civile, 05/06/2015, n. 4076; Tribunale di Fermo, 09/10/2014, n. 760; Tribunale di Vicenza, 25/03/2010, in Resp. Civ. e prev. 2010, 10, 2122; Tribunale di Tivoli, 06/06/2007 in DeJure).