Senza l’unanimità dei consensi il criterio di riparto delle spese condominiali è quello proporzionale
22 Dicembre 2023
Il caso . Nel Condominio, infatti, era sita una piscina e da molti anni i condomini corrispondevano le relative spese mediante il pagamento di quote di eguale importo per ciascuno. I ricorrenti, tuttavia, nuovi acquirenti di un immobile in condominio, contestavano tale modalità di riporto per svariati motivi. In primo luogo, essi affermavano come la piscina non fosse un bene condominiale, ma tutt'al più un bene in comunione dei condomini dato che di questo non si faceva menzione nel regolamento condominiale. I proprietari, poi, contestavano il criterio di riparto adottato dato che non era presente nel regolamento condominiale e tale regolamento non era neanche stato menzionato nel loro atto d'acquisto. Si costituiva in giudizio il Condominio, contestando le argomentazioni dei ricorrenti. Secondo lo stabile, infatti, la piscina era da considerarsi a tutti gli effetti bene condominiale. Essa non era ricompresa nel regolamento per la semplice ragione che era stata costruita in un'epoca successiva al condominio. A seguito della costruzione, poi, i condomini avrebbero all'unanimità approvato una delibera con la decisione di derogare al normale criterio millesimale di riparto delle spese e di invece ripartire le stesse in parti uguali per ciascuna proprietà immobiliare. Il Tribunale di Brescia accoglie la domanda e sottolinea le modalità di deroga del criterio legale delle spese condominiali. Con la sentenza del 6 novembre 2023 il Tribunale di Brescia decideva la questione sostanzialmente accogliendo le ragioni dei proprietari attori. A cosa si doveva tale decisione? In primo luogo, il Giudice, accogliendo l'argomentazione del Condominio, definiva come condominiale la piscina oggetto di causa. Poco importava, infatti, che tale bene non fosse menzionato nel regolamento di condominio e che non fosse espressamente previsto nei beni condomini ai sensi dell'art. 1117 c.c., dato che nel caso in questione sussisteva una presunzione di condominialità. Il bene, infatti, fino a prova contraria risultava asservito al Condominio e ai suoi abitanti, senza che fosse possibile per gli stessi alienare la propria quota o chiedere lo scioglimento della comunione. Non esisteva, poi, alcuna assemblea ad hoc per la piscina e le questioni inerenti a tale bene erano discusse nelle assemblee condominiali. Tutto ciò premesso, però, secondo il giudice il criterio di riparto adottato dal condominio non sarebbe stato corretto. L'art. 1123 c.c. riporta infatti la regola con la quale ripartire le spese condominiali affermando che «le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne». Tale regola può essere modificata dall'assemblea dei condomini, ma solo all'unanimità. La stessa Cassazione con la decisione n. 4844/2017, analizzando un caso analogo, aveva specificato che ogni deroga al criterio legale di riparto può provenire solamente dall'assemblea all'unanimità o dal regolamento contrattuale di condominio (anch'esso quindi approvato dall'unanimità degli aventi diritto). Nel caso in questione, tuttavia, le assemblee alle quali faceva riferimento il Condominio avevano visto il criterio in deroga approvato a maggioranza, ma non dall'unanimità dei condomini, avendo alcuni addirittura dichiarato di non voler pagare dato che non sarebbero stati intenzionati ad utilizzare la piscina. Tale assemblea, quindi, non aveva la possibilità di modificare il criterio legale di riparto delle spese, specialmente per condomini che, al momento della stessa, non avevano ancora acquistato il proprio immobile e non avevano potuto quindi partecipare all'assemblea stessa. Aggiungeva, infine, il Giudice, che la nullità delle precedenti delibere autorizzava qualsiasi condomino ad agire in ogni tempo per ottenere il rimborso dell'indebito pagato a causa dell'applicazione dell'errato criterio di riparto delle spese (così anche in Cass. 6714/2010). In conclusione, quindi, il Giudice accoglieva l'impugnazione dei condomini, annullava le delibere impugnate e condannava il condominio a sostenere le spese di lite. Fonte: dirittoegiustizia.it |