L’accertamento della situazione economico-patrimoniale delle parti nel rito unico delle persone, dei minorenni e delle famiglie

27 Dicembre 2023

Le nuove norme introdotte dal d.lgs. n. 149/2022 da un lato hanno recepito le conclusioni della elaborazione giurisprudenziale e le prassi che si erano consolidate prima della loro entrata in vigore e, dall'altro lato, hanno rafforzato gli strumenti processuali utili ad accertare le condizioni reddituali delle parti.

Lo status quo ante riforma

La parte del d.lgs. n. 149/2022 che disciplina il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie contiene anche alcune specifiche previsioni finalizzate a favorire l'accertamento delle condizioni reddituali e patrimoniali delle parti in causa, sul presupposto, incontestabile, che la ricostruzione di esse sia spesso, se non sempre, fondamentale per poter determinare an e quantum dei contributi economici in favore della parte economicamente svantaggiata.

Prima di esaminare tali norme, e valutare se esse costituiscano o meno una reale novità, è opportuno ricostruire quale fosse l'assetto normativo prima della riforma e l'interpretazione data ad esso dalla giurisprudenza.

In tale prospettiva occorre aver riguardo, innanzitutto, all'art. 706, comma 3, c.p.c. in materia di procedimento di separazione, e all'art. 4, comma 6, l. n. 898/1970, in materia di divorzio, i quali prevedevano, in deroga alla disciplina ordinaria dell'onere della prova, che sia al ricorso dell'attore che alla memoria difensiva del convenuto dovessero essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate senza peraltro ricollegare espressamente nessuna conseguenza, preclusiva o sanzionatoria, alla inosservanza di tali prescrizioni.

Tali norme richiedevano quindi, alle parti, come è stato efficacemente osservato (Cass. civ. 19 luglio 2022, n. 22616): “un comportamento di lealtà processuale particolarmente pregnante, che si manifesta con l'offerta degli elementi probatori utili a ricostruire le effettive condizioni economiche delle parti e giunge fino a richiedere a ciascuna di esse di fornire al giudice elementi di prova contrari al proprio personale interesse, giustificati dalla particolarità della materia del contendere, legata ad interessi aventi rilievo costituzionale (art. 2,29 e 30 Cost.)”.

L'art. 5, comma 9, l. n. 898/1970 disponeva poi che i coniugi dovessero “presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune”.

Si noti che la Corte di Cassazione aveva più volte ritenuto che la norma appena citata fosse applicabile in via analogica anche ai procedimenti di separazione personale, stante l'identità di ratio tra assegno in favore del coniuge separato e assegno divorzile, ricondotta alla funzione eminentemente assistenziale di entrambi (si vedano in particolare Cass. civ. 17 giugno 2009, n. 19081; Cass. civ. 17 maggio 2005, n. 10344) e tale soluzione era stata ribadita anche a seguito della nota pronuncia a Sezioni Unite n. 18287 dell'11 luglio 2018, che aveva riconosciuto all'assegno divorzile la funzione perequativo-compensativa accanto a quella assistenziale la quale, pertanto, ancora giustificava quella applicazione analogica.

Secondo il succitato assetto normativo l'effettiva compiuta disclosure delle condizioni reddituali e patrimoniali delle parti, era quindi differita all'udienza presidenziale ed era funzionale a consentire  l'indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni degli ex coniugi (così le Sezioni Unite nella sentenza 11 luglio 2018, n.18287) e, nell'immediato, l'adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti di carattere economico, nella consapevolezza che la produzione della dichiarazione dei redditi, relativa peraltro, stando almeno al tenore della norma, all'ultimo anno (l'uso del plurale nell'art. 706, comma 3, c.p.c. e nell'art. 4, comma 6, l. n. 898/1970 si spiega perché riferito ad entrambe le parti), fosse del tutto insufficiente allo scopo.

Del resto sul punto la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare, in relazione ad un giudizio di separazione, il principio, estensibile anche al giudizio divorzile, secondo cui: "Le dichiarazioni dei redditi dell'obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia, relativa a rapporti estranei al sistema tributario, concernente l'attribuzione o la quantificazione dell'assegno di mantenimento, valore vincolante per il giudice della separazione personale tra coniugi, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie"(cfr. Cass. n. 13592/2006)

La norma succitata prevedeva anche che, in caso di contestazioni, il tribunale disponesse “indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria".

Ora, sebbene l'unica condizione alla quale la norma aveva condizionato l'esercizio di tale potere istruttorio ufficioso fosse stata la contestazione, la giurisprudenza di legittimità aveva introdotto una serie di limiti ad esso, avendo affermato che:

- non era imposto dalla “mera contestazione” delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche (cfr.  Cass. civ. 17 maggio 2005, n. 10344) né dalla istanza di parte, rientrando nella discrezionalità del giudice, purchè il diniego di esso fosse correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell'iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti (Cass. civ. 6 giugno 2013, n. 14336 e Cass. 28 marzo 2019, n.8744);

- non poteva essere attivato a fini meramente esplorativi, sicchè la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento dovevano basarsi su fatti specifici e circostanziati;

- l'istanza di attivazione del potere officioso e la contestazione dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge dovevano  basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. civ. 15 novembre 2016, n. 23263, relativa all'assegno divorzile) e non poteva sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, poichè valeva ad assumere, attraverso uno strumento non consentito alla parte, informazioni integrative del "bagaglio istruttorio" già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova (Cass. civ. 27 giugno 2022, n. 20587);

- l'onere di allegazione probante, che ne costituiva il necessario presupposto,   non doveva però arrivare “fino alla dimostrazione dell'effettiva maggiore entità delle consistenze reddituali della controparte e dell'incidenza delle stesse sul tenore di vita familiare o sulle condizioni economiche delle parti; ciò che rilevava era la deduzione di fatti concreti, risultanti dagli atti di causa, che inducessero a far ritenere che la parte detenesse sostanze economiche o patrimoniali ulteriori rispetto a quelle rappresentate in giudizio” (Cass. civ. 19 luglio 2022, n. 22616, relativa ad una ipotesi di sottrazione di sostanze  all'imposizione fiscale);

- l'esercizio del potere officioso era condizionato anche dal comportamento della parte, dal momento che non si poteva pretendere che il giudice disponesse d'ufficio approfondimenti tramite la polizia tributaria sulle condizioni economiche della controparte quando era la stessa parte interessata all'approfondimento a non avere adempiuto agli oneri di esibizione e di disclosure disposti dal giudicante (Cass. civ. 22 agosto 2023, n. 24995).

La giurisprudenza aveva anche individuato le conseguenze del comportamento delle parti a fronte dell'attivazione da parte del giudice di un altro strumento di indagine, ovvero l'ordine di esibizione della documentazione in possesso delle parti, affermando che: “In tema di prova in ordine alla capacità reddito-patrimoniale dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio, ove il giudice abbia chiesto ad entrambe le parti l'esibizione della documentazione relativa ai rapporti bancari da ciascuna intrattenuti, ed una sola di essi abbia ottemperato alla richiesta fornendo materia per gli accertamenti giudiziali, il giudice, che di essi abbia fatto uso, ha l'obbligo di motivare in ordine al significato del comportamento omissivo della parte inottemperante, costituendo l'asimmetria comportamentale ed informativa un comportamento da cui desumere argomenti di prova a norma dell'art. 116, comma secondo, c.p.c.. (Cass. civ. 11 gennaio 2016, n.225).

Il potere istruttorio d'ufficio del giudice fu poi rafforzato dall'art. 337-ter, comma 6, c.c., che stabilì che ove le informazioni di carattere economico date dai genitori “non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.

Fu così previsto per la prima volta che il giudice potesse disporre accertamenti anche su redditi e beni intestati a terzi, in tale espressione dovendosi intendere ricompresi anche i simulati acquirenti o gli intestatari fiduciari dei beni di uno dei coniugi.

Al contempo quel nuovo assetto normativo chiarì che, al fine di definire le condizioni di vita dei figli minori, ivi compresa quindi la determinazione del contributo economico dovuto per il loro mantenimento, il giudice era chiamato ad esercitare i poteri officiosi a prescindere dalla prova e dall'allegazione dei fatti da parte dei genitori, con una evidente deroga sia al principio della domanda (art. 99 c.p.c.) che al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

Ciò infatti poteva desumersi dal disposto dell'art. 337-ter, comma 2, quarto periodo, c.c., che prevedeva che il giudice “adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole”.

E non vi erano state sentenze di legittimità che avessero esteso i sopra citati limiti a questo specifico ambito di indagine.

Gli obblighi di disclosure nei giudizi contenziosi nel d.lgs. n. 149/2022

Le nuove norme, da un lato, hanno recepito le conclusioni della elaborazione giurisprudenziale e le prassi che si erano consolidate prima della loro entrata in vigore e, dall'altro lato, hanno rafforzato gli strumenti processuali utili ad accertare le condizioni reddituali delle parti.

Esaminiamo nel dettaglio le novità.

Innanzitutto, nel disciplinare la forma della domanda introduttiva di tutti i giudizi soggetti al rito unico delle persone, delle famiglie e dei minori, l'art. 473-bis.12, penultimo comma, prevede che, in caso di domande di contributo economico  o comunque in presenza di figli minori, al ricorso debbano essere allegati una serie di documenti significativi, tra i quali le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali, e anche gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni.

Analoga previsione è riferita alla costituzione del convenuto (artt. 473-bis.16 e 17 c.p.c.).

L'art. 473-bis.12, penultimo comma, prevede l'obbligo per il ricorrente di depositare i documenti meglio precisati alle lett. da a) a c) “in caso di domande di contributo economico”,

L'art. 473-bis.48 c.p.c., in modo ridondante, ribadisce quelle prescrizioni per i procedimenti ai quali è dedicata la sezione II.

Stando alla relazione al d.lgs. n. 149/2022, tali previsioni sono dirette a “consentire al giudice di avere evidenza e cognizione quanto più completa della situazione economico-patrimoniale delle parti”.

La relazione chiarisce anche che, con l'espressione di contributo economico, si devono intendere tutte le possibili ipotesi di assegno ma si deve evidenziare come essa, oltre a risultare piuttosto circoscritta, non corrisponda a quella della legge delega (art. 1, comma 23, lett. f), che parla di domande “di natura economica” e non menziona l'ipotesi della presenza di figli minori.

Ebbene, tale discrasia è risolta proprio dall'art.473-bis.48 c.p.c., che estende gli oneri di produzione documentale a tutti i procedimenti di cui all'art. 473-bis.47 c.p.c., e quindi anche a tutti i procedimenti di modifica delle condizioni, indipendentemente dall'oggetto delle domande.

In prima battuta può sorprendere la scelta, compiuta dal legislatore delegato, di estendere l'indicazione della legge delega anche ai giudizi tra parti che avessero figli minori ma nei quali non fossero avanzate domande di contributo economico.

A ben vedere però essa si spiega considerando che in tali ipotesi il giudice potrebbe prevedere un obbligo di contribuzione economica anche in difetto di domanda, avvalendosi dei poteri ufficiosi che gli attribuisce l'art. 473-bis.19 c.p.c., cosicchè tale previsione è funzionale all'esercizio di tale iniziativa officiosa.

Deve anche ritenersi che il medesimo regime valga pure in presenza di figli maggiorenni portatori di grave disabilità, vista la parificazione di questi ai minorenni operata dall'art. 473-bis.9 c.p.c.

Le previsioni in esame recepiscono anche delle prassi radicatesi in numerosi uffici giudiziari, sulla base di protocolli che avevano ampliato la tipologia della documentazione da allegare agli atti introduttivi o il periodo di riferimento di essa o entrambi.

Peraltro nei giudizi in cui si controverta di diritti disponibili tali produzioni devono necessariamente avvenire con gli atti introduttivi, essendo previste a pena di decadenza, per quanto è dato desumere sempre dall'art. 473-bis.19 c.p.c.

Sul punto è opportuno evidenziare che nella legge delega (comma 23, lett. f) era stato stabilito che il ricorso contenesse “l'indicazione, a pena di decadenza per le sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente intenda avvalersi”

Analoga previsione si rinviene nella lett. comma 23, lett. h), con riguardo al contenuto della comparsa di costituzione e risposta, sebbene qui si parli di proposizione di mezzi di prova e di documenti mentre il comma 23, lett. f, utilizza il vocabolo indicazione.

Ora, la quanto mai ambigua previsione di cui all'art. 473-bis.19 c.p.c., che fa rinvio alle decadenze di cui agli artt. 473-bis.14 e 473-bis.17 c.p.c., va necessariamente riferita anche alle richieste di prova e alle produzioni documentali, ovviamente solo se relative a diritti disponibili, perché, in caso contrario, essa violerebbe le indicazioni della legge delega.

E' opportuno precisare che tale lettura vale anche, in caso di richiesta di provvedimenti indifferibili di carattere economico, ben possibile nei casi in cui la parte ricorrente versi in situazione di indigenza, dovendo essi essere proposti in corso di causa e quindi contestualmente al deposito del ricorso, sempre purchè si controverta di diritti disponibili. 

Non pare invece estensibile in via analogica ai provvedimenti indifferibili quanto è previsto, in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, dall'art. 473-bis.71, comma 2, c.p.c., che, riproponendo la previgente previsione dell'art. 736-bis, comma 2, c.p.c., attribuisce al giudice, in relazione alle richieste di ordine di protezione ante causam, ampi poteri istruttori, quasi esplorativi, ivi inclusa l'acquisizione, per mezzo della polizia tributaria, di informazioni “sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti”.

Del resto il tempo di svolgimento di una simile indagine risulta anche incompatibile con l'urgenza dell'adozione di un provvedimento indifferibile.

 Il limite preclusivo non sussiste, invece, per le domande relative a diritti, anche non economici, di figli minori o maggiorenni portatori di grave disabilità.

Infatti, il secondo comma della norma suddetta prevede che le parti possano “sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova (sia costituiti quindi che costituendi) relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli minori”.

Tale regime va poi coordinato con il disposto dell'artt.  473-bis.2, che stabilisce che, “con riferimento alle domande di contributo economico (sott. relativi ai predetti soggetti deboli), il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria.”

La norma attua il principio di cui all'art. 1, comma 23, lett. t) della legge delega, che riconosce all'organo giudicante “poteri officiosi di indagine patrimoniale” e, secondo la relazione al d.lgs. n. 149/2022, è “applicabile a tutti i provvedimenti che dispongono contributi periodici di somme di denaro, e in particolare a tutte le diverse forme di assegno previste nell'ordinamento.”

E' evidente che, con essa, il legislatore delegato ha generalizzato il potere già riconosciuto nei giudizi di separazione, divorzio e nell'articolo 337-ter del codice civile, attribuendolo al giudice istruttore, in tutti i procedimenti ai quali si applica il nuovo rito.

Avvalendosi di esso il giudice, nei giudizi in cui sono coinvolti diritti dei soggetti deboli, può ovviare di fatto alle preclusioni in cui fossero incorse le parti (per una prima applicazione della previsione si veda: Trib. Verona 26 ottobre 2023) e, a fortiori, non può respingere la domanda di contributo economico, per carenza di prova, senza l'esercizio del potere d'ufficio.

A questo punto è opportuno, per maggior chiarezza, riepilogare i diversi regimi di decadenza da applicarsi a seconda dell'oggetto del giudizio:

- nel giudizio in cui si controverta dell'an o del quantum del contributo al mantenimento dell'ex coniuge o dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente o dell'assegno divorzile viene in rilievo il disposto dell'art. 473-bis.19, primo comma e secondo comma, secondo periodo;

- nel giudizio in cui si controverta dell'an o del quantum del contributo al mantenimento di un figlio minorenne o affetto da grave disabilità trova applicazione il combinato disposto degli artt.  473-bis.2 e 473-bis.19, comma 2, primo periodo, c.p.c.

- nel giudizio in cui vengano svolte domande di condanna diverse da quelle di contributo economico (es. domanda di risarcimento danni o di attribuzione di quota di pensione di reversibilità) trova applicazione l'art. 473-bis.19, primo comma, c.p.c.

L'indagine ufficiosa del giudice

Come si è anticipato nel precedente paragrafo è disciplinata dall'art. 473-bis.2, secondo comma, c.p.c. ed è espressamente ricollegata alle domande di contributo economico, da chiunque esse provengano, potendo quindi dubitarsi che venga in rilievo in altri casi come ad esempio quello delle domande di modifica di precedenti condizioni economiche.

Deve ritenersi che essa possa essere messa in atto, anche in presenza di figli minori o gravemente disabili, per le ragioni già dette nel paragrato precedente.

Rispetto al regime previgente riveste un indubbio carattere di novità l'attribuzione al giudice del potere ufficioso di emettere l'ordine di esibizione anche nei confronti di terzi risultando infatti evidente la deroga al disposto dell'articolo 210 del codice di procedura civile, che subordina una simile iniziativa alla richiesta della parte.

E' dubbio però che l'inosservanza di esso giustifichi l'applicazione delle sanzioni di cui al quarto e quinto comma della norma sopra citata, come modificati dall'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022, in difetto di un richiamo ad essi e data l'esistenza di una specifica previsione, di cui subito si dirà, diretta a sanzionare il comportamento renitente delle sole parti nei giudizi sottoposti al rito unitario delle persone, delle famiglie e dei minorenni.

Deve peraltro evidenziarsi come l'esercizio in concreto di tale potere officioso di indagine, che, si noti, potrà avvenire anche al momento dell'espletamento di una ctu di carattere bancario-contabile, non possa essere esplorativo e presupponga, quindi, la dimostrazione, da parte della parte interessata, delle circostanze che ne costituiscono il presupposto (sulla inutilizzabilità dell'ordine di esibizione avente finalità esplorative si veda, ex multis,Cass. civ. 16 novembre 2010, n. 23120).

Così, ad esempio:

- l'adozione dell'ordine di esibizione di documentazione reddituale nei confronti del convivente di una delle parti, nei giudizi in cui occorra accertare la situazione economica di queste, postula la preventiva dimostrazione della convivenza;

- l'adozione dell'ordine di esibizione nei confronti del figlio maggiorenne, che si assuma esercitare una attività lavorativa dalla quale ricavi un reddito che lo rende economicamente autosufficiente, presuppone la dimostrazione dello svolgimento da parte dello stesso dell'attività lavorativa;

- l'adozione dell'ordine di esibizione nei confronti di istituti bancari, al fine di acquisire documentazione di una delle parti dagli stessi detenuta, richiede la preventiva simostrazione dell'esistenza presso i medesimi di rapporti bancari o finanziari intestati ad una delle parti.

Lo stesso dicasi per gli ordini di esibizione nei confronti della pubblica amministrazione, sebbene in alcuni casi le circostanze presupposte siano implicitamente ammesse da entrambe le parti. Si pensi ad esempio all'ordine di esibizione nei confronti dell'INPS ai fini dell'acquisizione dell'ISEE presentato per ottenere l'assegno unico e universale.

A ben vedere però, anche nei giudizi in cui siano coinvolti interessi del minore, l'esercizio del potere di intervento d'indagine patrimoniale del giudice civile è comunque subordinato ad uno specifico onere di allegazione della parte che lo invochi, avendo avanzato la domanda di contributo economico.

La Cassazione, infatti, con riguardo ad una causa vertente sulla determinazione del contributo al mantenimento dei figli, ha escluso che esso (nel caso esaminato si tratta del poter di indagine tramine Guardia di Finanza) possa essere attivato a fini esplorativi, “non configurandosi …, secondo la voluntas legis, quale mezzo d'investigazione della generica condizione patrimoniale del coniuge tenuto alla corresponsione dell'assegno di mantenimento. La relativa istanza, che non può essere, al pari della contestazione, ne' generica ne' sfornita di ragionevolezza, necessita pertanto del corredo di fatti specifici e circostanziati, della cui puntuale e dettagliata allegazione è onerata la parte che la formula, che resta esonerata solo dalla relativa dimostrazione, data l'impossibilità di attingere a tal fine agli ordinari canali d'informazione da essa disponibili” (Cass. civ. 28 gennaio 2011, n. 2098, relativa alla generica allegazione dello svolgimento di una seconda attività lavorativa del destinatario dell'istanza di indagine patrimoniale).

L'attribuzione al giudice del potere officioso di indagine, ora riconosciuta in via generale dalla norma in esame, non consente di discostarsi da tale arresto.

L'officiosità della iniziativa, infatti, postula comunque che essa non abbia  carattere esplorativo.

L'esercizio dei poteri, anche officiosi, di indagine del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia dovrebbe ritenersi subordinato anche ai presupposti individuati dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella nota sentenza del 25 settembre 2020 n. 19, che, risolvendo un contrasto della giurisprudenza amministrativa, ha affermato che l'accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell'anagrafe tributaria, ivi compreso l'archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall'esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis c.p.c., nonché, più in generale, dalla previsione e dall'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia.

In tale pronuncia è stato infatti chiarito che, nei succitati giudizi, l'esercizio da parte del giudice dei poteri, anche officiosi, di indagine a lui attribuiti  presuppone “da un lato, che la parte abbia fatto tutto quanto è in suo potere per offrire la prova dei fatti che è interessata a dimostrare, non essendo i poteri d'ufficio esercitabili per supplire eventuali carenze probatorie addebitabili alla parte che ne solleciti l'esercizio, e, dall'altro, che la stessa fornisca elementi di fatto specifici e circostanziati, idonei a rendere la contestazione della documentazione prodotta dalla controparte sufficientemente specifica da imporre un approfondimento istruttorio. L'attribuzione al giudice della crisi familiare di ampliati poteri d'ufficio, in ispecie di acquisizione dei dati dell'anagrafe tributaria ivi inclusi i dati dell'archivio dei rapporti finanziari, non fa pertanto venir meno l'esigenza della parte interessata di acquisire i documenti al di fuori del giudizio per il tramite dello strumento dell'accesso difensivo, proprio al fine di corroborare istanze sollecitatorie di eventuali (ulteriori) indagini d'ufficio sulla base di elementi specifici e circostanziati di cui la stessa abbia acquisito conoscenza all'esito dell'accesso ed in cui assenza il potere istruttorio ufficioso le potrebbe essere negato.”

A ben vedere però l'accesso all'anagrafe tributaria, utile in particolare per acquisire copia di eventuali contratti di locazione a terzi di immobili di proprietà e/o comproprietà del coniuge nonché delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all'anagrafe tributaria e conservate nella sezione archivio dei rapporti finanziari, relative alle operazioni finanziarie riferibili allo stesso coniuge, risulta possibile solo grazie alla disciplina del procedimento amministrativo poichè il combinato disposto degli artt. 492-bis e 155-sexies disp. att. c.p.c., diversamente da quanto ritiene il Consiglio di Stato, può trovare applicazione solo nei casi in cui l'istante sia in possesso di un titolo esecutivo.

Se si condivide tale rilievo allora, nell'ambito del giudizio di merito, l'acquisizione di quei documenti potrà realizzarsi mediante una istanza di ordine di esibizione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 213 c.p.c., utile, ad esempio, per conoscere i dati presenti nel cassetto fiscale della controparte. 

Occorre peraltro rammentare che il potere istruttorio del giudice disciplinato dall'art. 213 c.p.c. può essere attivato soltanto quando, in relazione a fatti specifici già allegati, sia necessario acquisire  informazioni  relative  ad  atti  o  documenti  della  pubblica  amministrazione  che  la  parte  sia  impossibilitata  a  fornire  e  dei  quali  solo l'amministrazione sia in possesso proprio in relazione all'attività da essa svolta (si vedano sul punto Cass. civ., sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6218; Cass. civ. 10 gennaio 2005, n. 287; Cass. civ., sez. lav., 8 agosto 2006, n. 17948).

A fortiori le parti non possono invocare l'esercizio dei poteri ufficiosi di indagine del giudice per ovviare al mancato assolvimento degli oneri probatori su di loro gravanti in ordine alle spese e agli oneri economici (ad esempio per canone di locazione, finanziamenti, spese varie) che assumano di sostenere. 

Tale onere infatti, sebbene non sia stato esplicitato, a differenza di quanto prevede l'art. 473-bis.51 c.p.c., per i procedimenti a domanda congiunta, costituisce il pendant di quello espressamente previsto dall'art. 473-bis.12 c.p.c. in relazione alle loro risorse economiche ed è evidente peraltro che è interesse della parte dimostrare simili circostanze.

E' opportuno evidenziare infine che, nel pronunciare l'ordine di esibizione nei confronti di terzi, il giudice dovrà adottare le misure utili a salvaguardare il diritto alla loro privacy, con riguardo ai dati personali che fossero presenti nella documentazione acquisita, alla luce di quanto ha recentemente affermato la Corte di Giustizia Ue nella sentenza emessa il 2 marzo 2023 nella causa C‑268/21).

Infatti in tale occasione la Corte di Giustizia Ue ha affermato che il giudice nazionale è tenuto a stabilire, in applicazione dell'articolo 5, paragrafo 1, del RGPD, e in particolare del principio della «minimizzazione dei dati» di cui alla lettera c) di tale disposizione, se la divulgazione dei dati personali sia adeguata e pertinente al fine di salvaguardare l'obiettivo perseguito dalle disposizioni applicabili del diritto nazionale.

Nel caso in cui la produzione del documento contenente dati personali risulti giustificata, da detto principio discende inoltre che, qualora solo una parte di tali dati appaia necessaria a fini probatori, il giudice nazionale deve prendere in considerazione l'adozione di misure supplementari in materia di protezione dei dati, quali la pseudonimizzazione, definita all'articolo 4, punto 5, del RGPD, dei nomi degli interessati o qualsiasi altra misura destinata a ridurre al minimo l'ostacolo al diritto alla protezione dei dati personali costituito dalla produzione di un tale documento. Siffatte misure possono comprendere, in particolare, la limitazione dell'accesso del pubblico al fascicolo o l'ordine alle parti a cui i documenti contenenti dati personali sono stati comunicati di non utilizzare tali dati per finalità diverse da quella della produzione della prova durante il procedimento giurisdizionale di cui trattasi.

Il regime sanzionatorio del d.lgs. n. 149/2022

Nel quadro delle novità normative presenti nel d.lgs. n. 149/2022 all'imposizione alle parti di stringenti obblighi di disclosure fa da pendant la disciplina di carattere sanzionatorio dell'art. 473-bis.18 c.p.c.

La relazione al d.lgs. n. 149/2022 spiega che con tale previsione “si è inteso sottolineare il dovere di leale collaborazione che le parti sono tenute a rispettare, in una prospettiva di correttezza e trasparenza che costituisce un tratto caratteristico del rito unico, prevedendo che il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete” possa essere valutato sia ai fini della decisione, come argomento di prova ai sensi del secondo comma dell'art. 116 c.p.c., sia in relazione alla finale attribuzione delle spese di lite, secondo quanto disposto dal primo comma dell'articolo 92 e dall'articolo 96 c.p.c.”.

Al fine di responsabilizzare al massimo le parti, ed indurle ad assumere un atteggiamento collaborativo, è stato quindi esplicitato che la loro renitenza sulle loro condizioni economiche (non quindi quelle dei loro conviventi) può rilevare ai fini della regolamentazione delle spese processuali e può anche assurgere ad argomento di prova, conclusione alla quale, come si è visto nel primo paragrafo, la giurisprudenza era già giunta con la previgente disciplina, sia pure con riguardo all'ipotesi dell'inosservanza dell'ordine di esibizione.

Va peraltro segnalato che la norma è in contrasto con i principi della legge delega di cui all'art. 1, comma 23, lett. f), sotto tre distinti profili.

Da un lato, infatti, la legge 206/2021 aveva disposto che fosse prevista l'applicazione di sanzioni per il mancato o incompleto deposito della documentazione, da allegare agli atti introduttivi, e non anche a fronte di informazioni (si tratta evidentemente di quelle rese dalle parti al giudice in sede di interrogatorio libero) aventi i medesimi difetti.

L'art. 473-bis.18 c.p.c. ha quindi posto a carico delle parti una sorte di inedito obbligo di verità con riguardo alle loro condizioni economiche, che peraltro è inesigibile, al pari dell'obbligo di produzione documentale, dalla parte che rimanga contumace.

A ritenere il contrario infatti si giungerebbe a fondare la decisione sfavorevole al contumace sulla sua sola condizione processuale.

La legge delega aveva anche previsto che l'irrogazione delle sanzioni fosse possibile solo in assenza di un giustificato motivo, ma la menzione di tale scusante è scomparsa nella norma del d.lgs. (si noti che l'assenza di un giustificato motivo costituisce il presupposto indispensabile anche per l'adozione delle sanzioni previste dal quarto e quinto comma dell'art. 210 c.p.c.).

Infine anche la rilevanza delle predette evenienze ai sensi dell'art. 116 c.p.c., sancita nel d.lgs., è qualcosa di diverso e di più grave di quanto era stabilito nella legge delega giacchè può addirittura sorreggere la decisione, sia pure, si deve ritenere, con riguardo alle sole domande di contributo economico, come individuate nel secondo paragrafo, e non quindi, ad esempio, rispetto ad una domanda di affidamento esclusivo di un figlio minore, purchè relative a diritti disponibili, atteso che, come si è visto, nelle controversie relative a diritti indisponibili, all'inerzia della parte può e deve supplire l'iniziativa officiosa del giudice.

E' evidente peraltro che tale regola di giudizio viene in rilievo, a fortiori, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti.

Può peraltro dubitarsi dell'effettiva utilità di tale previsione, ai fini della precisa determinazione delle condizioni reddituali o patrimoniali, nei casi, non infrequenti, di totale inottemperanza da parte di una parte costituita in giudizio, agli obblighi di disclosure su di lei gravanti, ipotesi che, sebbene non espressamente prevista, essendo più grave di quelle contemplate, deve ritenersi ricompresa nella norma, a meno di non ritenere che una simile condotta possa giustificare il recepimento del quantum richiesto dalla parte ottemperante.

Al contempo, nei casi in cui il giudice non ritenesse necessario determinare con una certa esattezza le predette condizioni, la possibilità di trarre argomenti di prova dall'inadempimento della parte agli obblighi di disclosure, che sono anche quelli di cui agli artt. 473-bis. 12 e bis.16 c.p.c., e può di fatto rendere superflui il ricorso all'ordine di esibizione. 

A ben vedere, però, il criterio dato dalla legge delega, e attuato nella norma in esame, risulta piuttosto iniquo perché ricollega le conseguenze sanzionatorie a qualsiasi inesattezza o incompletezza, anche minima.

Per ovviare a tale sperequazione, può però ritenersi che il giudice possa modulare l'esercizio del potere, eminentemente discrezionale, attribuitogli, dando rilievo solo alle omissioni più gravi (ad esempio l'omessa produzione di estratti di conto corrente riguardanti un significativo arco di tempo o di estratti di conto corrente relativi a solo uno o ad alcuni rapporti bancari di cui una parte fosse titolare o, ancora, l'omessa produzione di un rendiconto di un deposito titoli pur a fronte della produzioni degli estratti di conto corrente).

Peraltro alla previsione può attribuirsi anche una portata più ampia di quella che ha in apparenza.

Innanzitutto esso viene in rilievo anche nei giudizi in cui il giudice può utilizzare i poteri di indagine officiosa poiché anche il ritardo nell'acquisizione della documentazione utile per definire le condizioni reddituali di una parte può essere pregiudizievole per l'altra.

A ben vedere però è anche possibile differenziare, in via interpretativa, il regime sanzionatorio in esame, che la norma fissa in modo indistinto, in base alla differente gravità della condotta inadempiente della parte.

Si può quindi, ritenere in particolare, che l'acquisizione tardiva della documentazione giustifichi la condanna alle spese della parte che non l'ha prodotta spontaneamente, a prescindere ovviamente dalla soccombenza, mentre in caso di totale omissione o grave incompletezza della produzione vada applicato il criterio di cui all'art. 116 c.p.c.

Inoltre la mancata (integrale o quasi integrale) produzione della documentazione richiesta dall'art. 473-bis.12 c.p.c. dovrebbe poter rilevare anche quale indice presuntivo di insussistenza originaria delle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, quantomeno per la parte, ammessa a tale beneficio, che risulti svolgere una attività lavorativa.

Sarebbe infatti alquanto contraddittorio che tale omissione possa fondare, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., la decisione del giudizio di merito ma risultare irrilevante ai fini della valutazione ex art. 136 t.u.s.g.

Le produzioni documentali nei procedimenti a seguito di domanda congiunta

Il d.lgs. n. 149/2022 dedica una disciplina ad hoc alle produzioni documentali in tale tipo di procedimenti.

Sul tema occorre innanzitutto segnalare una palese discrepanza tra le indicazioni contenute nella legge delega e la disciplina attuativa del decreto legislativo.

Infatti l'art. 1, comma 23, lett. hh) aveva stabilito espressamente che nei procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, dovesse essere contenuta “l'indicazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e degli oneri a carico delle parti” senza distinguere a seconda che l'udienza si fosse svolta in presenza o con lo scambio di note scritte.

Nessuna specifica indicazione era stata invece data per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione, alla revisione delle condizioni di divorzio e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati, dovendosi però quindi ritenere che il sopra menzionato principio direttivo valesse anche per questi casi.

Si noti, peraltro, che tali indicazioni, stranamente, dovevano valere a prescindere dall'oggetto della domanda congiunta e quindi anche se essa non fosse stata di contributo economico.

Ebbene, il decreto legislativo, pur prevedendo una disciplina unitaria per tutti i procedimenti a domanda congiunta, ha invece differenziato il contenuto dell'obbligo di disclosureposto a carico delle parti a seconda delle modalità del contraddittorio: se questo si realizza in udienza il ricorso deve contenere anche “le indicazioni relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali relative all'ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti”; qualora le parti intendessero invece avvalersi del deposito di note scritte devono depositare i documenti di cui all'art. 473-bis.12 (la norma menziona erroneamente l'art. 473-bis.13).

Evidentemente tale scelta muove dal presupposto che, se le parti compaiono personalmente, il giudice ha la possibilità di chiedere chiarimenti in ordine alle loro condizioni reddituali e patrimoniali.

La relazione al decreto delegato conferma tale lettura poichè, a commento della predetta previsione, afferma che: “Al ricorso non dovrà essere allegata la documentazione economica, prevista per il procedimento contenzioso, che viene sostituita dalle indicazioni delle parti circa le rispettive disponibilità reddituali e patrimoniali degli ultimi tre anni e degli oneri a loro carico.”

Una simile disciplina però si espone ad almeno due rilievi di incostituzionalità.

Infatti, oltre ad essere in contrasto con la legge delega, nella parte in cui impone la produzione documentale, qualora le parti non compaiono di persona, confligge con il parametro dell'art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza perchè ricollega la differenza di trattamento alle modalità di svolgimento dell'udienza, laddove le dichiarazioni rese dalle parti sono meno attendibili dell'esame della documentazione da loro prodotta.

Sotto il profilo pratico-applicativo la norma in esame poi induce le parti non solo a non essere trasparenti ma anche a privilegiare la comparizione personale proprio per sottrarsi all'onere di discovery.

Esse infatti potrebbero evitare anche la produzione della documentazione reddituale con la conseguenza che la valutazione del collegio sul contenuto del loro accordo avverrebbe “al buio”.

Ed allora è possibile fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della norma secondo la quale, laddove essa menziona le “indicazioni relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali”, intende riferirsi alle medesime produzioni documentali previste dall'art. 473-bis.12 perché, non avendo le parti l'obbligo di verità e laddove si verta in tema di diritti indisponibili o parzialmente disponibili, solo l'esame di tale documentazione consente al tribunale di verificare la rispondenza del contenuto dell'accordo agli interessi delle parti e dei figli minori.

Essa consente al giudice di chiedere alle parti che non vi abbiano provveduto di provvedere alla integrazione delle produzioni documentali utilizzando il disposto dell'art. 473-bis.2 che, rientrando tra le disposizioni generali, è applicabile anche ai procedimenti su domanda congiunta.

Nel caso poi in cui le parti non dovessero aderire a tale invito la conseguenza potrà essere quella del rigetto della domanda per mancata dimostrazione della corrispondenza dell'intesa raggiunta all'interesse di almeno una di loro.

Si noti infine che a giustificare la mancata produzione anche degli estratti di conto corrente non può valere la deduzione della parte dell'impossibilità di sostenere i relativi costi data la esiguità degli stessi.

Infatti la giurisprudenza dell'ABF  (si veda Collegio di Milano, 6 ottobre 2021, n. 20985) ha chiarito che “in relazione agli estratti conto di un conto corrente, è da considerarsi un “unico documento” l'estratto conto annuale, e non quello mensile, di tale conto corrente, anche in aderenza al tenore letterale dell'art. 119, comma 2, TUB che prevede: “Per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile” (nel caso esaminato è stato ritenuto congruo l'importo di € 2,50 per ogni estratto conto annuale x 7 anni = € 17,50 x n. 2 rapporti intrattenuti).

L'Abf milanese ha anche affermato che l'intermediario, salvi casi manifesti di abuso nell'esercizio del diritto, non può subordinare la consegna di copia dei documenti al previo rimborso dei costi di produzione perché il cliente ha un diritto pieno all'informazione bancaria, con la conseguenza che i documenti devono essere rilasciati previa la sola richiesta da parte dell'interessato.

Riferimenti

R. Lombardi, L'obbligo di disclosure nei procedimenti di separazione e divorzio riformati: un ridimensionamento del principio del nemo tenetur edere contra se?, in www.judicium.it.

N. Merola, Determinazione dell'assegno di mantenimento: è necessario accertare anche i redditi occultati al fisco ?, in IUS Famiglie (ius.giuffref.it).

A. Russo, Assegni: lettura e dichiarazione dei redditi, in IUS Famiglie (ius.giuffrefl.it). 

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