Effetti del contratto di locazione di un immobile pignorato in assenza dell'autorizzazione del g.e.

28 Dicembre 2023

La questione sulla quale la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi attiene agli effetti derivanti dalla dichiarazione di nullità di un contratto di locazione stipulato dal debitore esecutato in assenza dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione avente ad oggetto un immobile sottoposto a procedura esecutiva immobiliare.

Massima

Il divieto al debitore di locare l’immobile pignorato senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ove sia violato, comporta che il contratto locativo vada considerato nullo per violazione di norma imperativa. […] Ciò che il (preteso) conduttore ha pagato deve considerarsi come corrisposto non come canone, bensì per una occupazione sine titulo, e pertanto la procedura esecutiva ne può chiedere conto, non – come sostenuto nel motivo – al conduttore, ma al debitore, che ha stipulato – illegittimamente – il contratto di locazione nonostante il pignoramento.

Il caso

Il debitore esecutato, pur in assenza dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, stipulava con un soggetto terzo un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile sottoposto a procedura esecutiva immobiliare.

Il custode di quest’ultima depositava ricorso presso il tribunale di competenza chiedendo venisse dichiarata la nullità o l’inefficacia del predetto contratto, con conseguente condanna del conduttore al risarcimento del danno derivante dall’occupazione senza titolo dell’immobile locato.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso e condannava il conduttore al pagamento di una somma di denaro nei confronti della procedura esecutiva quale indennità per occupazione senza titolo.

Il conduttore adiva, così, la Corte di Appello che, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda del custode giudiziario condannandolo anche al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso tale sentenza, la parte soccombente proponeva ricorso per cassazione.

La questione

La questione sulla quale la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi attiene agli effetti derivanti dalla dichiarazione di nullità di un contratto di locazione stipulato dal debitore esecutato in assenza dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione avente ad oggetto un immobile sottoposto a procedura esecutiva immobiliare.

In particolare, il ricorso del custode giudiziario si fondava su due motivi.

Con il primo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 65 e 560 c.p.c. nonché degli artt. 820,1189 e 2912 c.c.. La parte sosteneva, invero, che l'errore in cui era incorsa la Corte d'Appello risiedeva nell'aver considerato inopponibile il pignoramento dell'immobile al conduttore, richiamando a tal riguardo precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ.  n. 924/2013). Deduceva, quindi, che la stessa Corte aveva erroneamente applicato l'art. 1189 c.c. che, a suo parere, invece, avrebbe trovato applicazione soltanto nel caso in cui l'apparenza risultasse giustificata da circostanze tali da far sorgere nel debitore un ragionevole affidamento circa la sussistenza della facoltà apparente dell'accipiens di ricevere il pagamento. Solo in tale ipotesi, pertanto, il creditore avrebbe avuto l'onere di provare che il debitore fosse a conoscenza della reale situazione.

Con il secondo motivo, relativo all'art. 360, comma1, n. 5, c.p.c., il custode deduceva l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 1189 c.c. poiché la Corte d'Appello aveva deciso in deroga al generale principio dell'inefficacia del pagamento al non legittimato, affermando che al terzo – che risulta essere liberato a seguito del pagamento del legittimato apparente – non può chiedersi una diligenza superiore a quella ordinaria.

Le soluzioni giuridiche 

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

I giudici di legittimità hanno dapprima affermato che il godimento da parte del conduttore di un immobile pignorato e oggetto di un contratto di locazione stipulato dal debitore in assenza dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione deve considerarsi sine titulo e non iure locationis poiché il contratto stesso risulta essere nullo per violazione di norma imperativa (il riferimento è all'art. 560, comma 2, c.p.c.).

Pertanto, le somme corrisposte dal soggetto individuato impropriamente quale conduttore devono essere considerate, non alla stregua del canone previsto dal contratto di locazione, quanto piuttosto quali pagamenti per una occupazione senza titolo. Conseguentemente, la procedura esecutiva non può chiedere la restituzione delle stesse al conduttore, dovendosi, invece, rivolgere al debitore-locatore che ha agito in assenza dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione stipulando illegittimamente il contratto di locazione. E ciò sulla base della circostanza che nei confronti del conduttore trova applicazione il principio di cui all'art. 1189 cod. civ.

Ritenendo di aderire ad alcuni precedenti giurisprudenziali (Cass. civ. n. 9758/2018, Cass. civ. n. 17044/2017), infatti, il Collegio ha ribadito che l'effetto liberatorio derivante dall'applicazione della richiamata disposizione normativa consegue alla presenza di due presupposti: da un lato, quello soggettivo individuato nella buona fede del preteso conduttore e, dall'altro, quello oggettivo relativo alla situazione di legittimazione apparente del soggetto ricevente.

Ciò posto, l'effetto liberatorio del pagamento in buona fede eseguito nei confronti del legittimato apparente si giustifica considerando che la verifica della stessa legittimazione del ricevente va effettuata utilizzando la normale diligenza. Diversamente, invero, si determinerebbe il paradossale effetto di far gravare sul debitore il rischio dell'errore di un inadempimento nei confronti di un soggetto non legittimato a ricevere il pagamento anche nel caso in cui vi sia stata un'ordinaria verifica circa la legittimazione stessa. Si richiederebbe, dunque, un controllo ulteriore estraneo alla stessa pratica degli affari.

Secondo il Collegio, dunque, in ogni caso risultano necessarie sia la buona fede del terzo, sia la ragionevolezza dell'affidamento. Non appare possibile, infatti, invocare il principio di cui all'art. 1189 c.c. da parte di colui che per colpa non ha accertato la sussistenza della legittimazione del ricevente basandosi sulla mera apparenza. D'altronde, ha proseguito la Suprema Corte, al verificarsi di elementi tali da giustificare una situazione di apparenza giuridica, l'onere di provare che il terzo fosse a conoscenza della situazione reale ovvero che lo stesso gravasse in errore colposo spetta a colui che contesta l'efficacia a suo danno della situazione stessa.

Da ultimo, il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile per violazione dell'art. 366 c.p.c. poiché il ricorrente, pur sostenendo che il resistente non ha provato la propria buona fede ed il pagamento del canone al soggetto che appariva legittimato a riceverlo, non ha specificato se e quando la questione dell'inesistenza della prova era stata effettivamente sollevata, diventando oggetto di contraddittorio e determinativa di onere di contestazione.

Osservazioni

Con il provvedimento in commento, la Suprema Corte ha affrontato il tema delle conseguenze derivanti dalla stipula - da parte del debitore - di un contratto di locazione di un immobile pignorato, senza la richiesta autorizzazione del g. e.

In primo luogo, rispetto al contratto in sé considerato, a parere di chi scrive risulta pienamente condivisibile l'orientamento in base al quale lo stesso sia da considerare nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 560 c.p.c. Né, d'altronde, sembrerebbe possibile optare per una diversa prospettazione considerando che è la stessa disposizione normativa, rubricata del modo della custodia, a disporre che, salva l'intervenuta autorizzazione del giudice dell'esecuzione, è fatto divieto al debitore ed al custode giudiziario dare in locazione l'immobile sottoposto a procedura esecutiva immobiliare.

Sul punto vi è da segnalare che la formulazione originaria della norma sanciva, al settimo comma, l'applicabilità del predetto divieto soltanto a carico del debitore. Il testo novellato a seguito della modifica intervenuta ad opera del d.l. n. 135/2018, conv. con mod. in l. n. 12/2019 non solo ha richiamato tale previsione non più al settimo ma al secondo comma ma, soprattutto, ha ampliato l'ambito soggettivo della sua portata poiché il divieto di locazione è oggi gravante, oltre che sul debitore esecutato, anche sul custode giudiziario della procedura esecutiva.

Ciò posto, le posizioni giuridiche soggettive che assumono rilevanza nel caso di specie sono, da un lato, quella del debitore esecutato-locatore che, appunto, concede in locazione l'immobile pignorato e, dall'altro, quella del conduttore che gode dell'immobile a fronte del pagamento di una somma di denaro al locatore.

Ebbene, la posizione di quest'ultimo viene coerentemente regolata dal disposto di cui all'art. 1189 c.c. che, allo scopo di fornire una maggiore tutela dell'affidamento del (conduttore) debitore, disciplina una particolare ipotesi di pagamento soggettivamente inesatto. In virtù della norma richiamata, invero, chi esegue il pagamento al legittimato a riceverlo, in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede.

In questo senso, appare corretto ritenere che il principio dell'apparenza del diritto si applica nel caso in cui sussista sia uno stato di fatto non corrispondente alla situazione di diritto sia il convincimento del terzo, derivante da errore scusabile, che tale stato rispecchi la realtà giuridica (in tal senso, Cass. civ. n. 20906/2015). È in questo senso, dunque, che lo stesso Collegio richiede, quali presupposti necessari e sufficienti per l'applicazione dell'effetto liberatorio, la buona fede del conduttore e l'apparente legittimazione del locatore (Cass. civ. n. 9758/2018, Cass. civ. n. 17044/2017). Inoltre, rispetto alla effettiva apparenza del diritto, si è concordi nel ritenere necessario compiere un'indagine caso per caso circa la stessa ragionevolezza dell'affidamento (si veda, da ultimo, Cass. civ. n. 5847/2023).

Appare chiaro, dunque, che nel caso di specie il conduttore abbia agito in presenza dei richiamati presupposti di cui all'art. 1189 c.c. relativi alla buona fede del soggetto agente e alla legittimazione apparente del soggetto ricevente basata su una valutazione compiuta secondo l'ordinaria diligenza del buon padre di famiglia di cui all'art. 1176 c.c.

Costituisce logica conseguenza, allora, che sia il debitore esecutato, in qualità di locatore, a dover corrispondere quanto dovuto nei confronti della procedura esecutiva poiché è lo stesso ad aver agito in modo illegittimo, in mancanza dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, violando la previsione di cui all'art. 560 c.p.c.

Riferimenti

V. Baroncini, Le novità in materia di espropriazione forzata immobiliare nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in Giustizia civile, 2023, 2, 437;

P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, in Responsabilità civile e previdenza, 2023, 1;

L. Caradonna, Custodia (nell’espropriazione forzata), in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 25 marzo 2019;

R. Giordano, Note in punta di penna sul nuovo art. 560 c.p.c., in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 15 febbraio 2019.

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