Cessione di azienda tra (onere di) comunicazione del conduttore-cedente e (possibile) opposizione del locatore-ceduto

15 Gennaio 2024

L’art. 36 della l. n. 392/1978 prescrive che il conduttore debba comunicare al locatore la cessione dell’azienda con date formalità: la ratio di tale previsione va rinvenuta dall’esigenza di rendere edotta la notizia tramite un atto di data certa, che consenta, da un lato, al locatore di esercitare, ove ne sussistano i requisiti, la legittima opposizione e, dall’altro, di verificare il rispetto, da parte del medesimo locatore, del termine di trenta giorni per la manifestazione del suo dissenso. Ad ogni buon conto, l’onere che, ai sensi del citato art. 36, incombe sul conduttore non incide sulla validità della cessione, per il cui perfezionamento è sufficiente l’incontro delle volontà del cedente e del cessionario; il mancato rispetto di tale incombente comporta, per un verso, soltanto la “inopponibilità” al locatore della cessione fino al momento in cui la notizia della modificazione soggettiva del rapporto sia stata ricevuta adeguatamente da quest’ultimo, e determina, per altro verso, la conservazione, in capo al cedente, e rispetto al locatore-ceduto, della posizione contrattuale originaria.

Il quadro normativo

L'art. 36 della l. n. 392/1978 richiede che la cessione della locazione, realizzata unitamente al trasferimento dell'azienda, vengano comunicati al locatore.

Trattasi di un congegno utile ad alleggerire il rilievo della deroga al principio in forza del quale la cessione di una posizione contrattuale richiede l'adesione del contraente ceduto, secondo la regola generale stabilita dall'art. 1406 c.c.

La soluzione adottata dal legislatore è, in sostanza, modellata sulla previsione dettata dall'art. 1407 c.c., concernente la comunicazione nel caso di cessione del contratto preventivamente autorizzata, e si armonizza con quella contemplata in tema di cessione del credito ex art. 1264 c.c.

Al contempo, lo stesso art. 36 della l. n. 392/1978 stabilisce che “il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione”.

Siamo in presenza di un meccanismo già utilizzato dal legislatore, nel senso che anche la successione nei contratti dell'azienda ceduta si attua senza necessità dell'intervento di una preventiva adesione del ceduto all'atto traslativo della singola posizione contrattuale, e anche nella cessione di azienda è attribuito al ceduto il potere di reagire al trasferimento posto in essere.

Il soggetto tenuto a rendere edotta la notizia

Quanto alla comunicazione, occorre, innanzitutto, interrogarsi sulla relativa legittimazione, e cioè chiedersi se essa possa essere effettuata indifferentemente dal conduttore-cedente o dal cessionario.

La soluzione più ampia ha avuto sostenitori in dottrina, la quale ha evidenziato che, contemplando l'art. 36 un'ipotesi di successione del contratto che si correla al dato della cessione di azienda - l'unico atto di autonomia privata configurabile nella fattispecie programmata legalmente - legittimate alla comunicazione risulterebbero essere le parti di quest'ultimo negozio.

Altri hanno ammesso che la comunicazione possa provenire dal cessionario, purché corredata da atti che le conferiscano certezza (quest'ultima, però, non potrebbe essere desunta dalla mera indicazione degli estremi del contratto di affitto e della sua registrazione).

Anche la giurisprudenza di merito (Pret. Roma 9 maggio 1984) ha, talvolta, condiviso la soluzione che vede legittimati alla comunicazione entrambi i contraenti.

All'opposta soluzione è pervenuta la magistratura di vertice, la quale ha escluso che la comunicazione proveniente dal cessionario possa soddisfare la condizione prevista dalla norma: questa conclusione, già espressa nel vigore della l. n. 19/1963 (Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1976, n. 4025), è stata ribadita con particolare riferimento all'art. 36 della l. n. 392/1978, essenzialmente in base al dato letterale (Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2003, n. 5137; Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1990, n. 5699).

I requisiti di forma e di contenuto della comunicazione

L'art. 36 della l. n. 392/1978 prescrive espressamente che la comunicazione - alla quale comunemente si riconosce la natura di semplice atto partecipativo, non avente natura negoziale - debba essere data tramite “lettera raccomandata con avviso di ricevimento”.

La dottrina consente, però, l'uso di mezzi equipollenti, o che offrano maggiore garanzia in ordine all'effettiva ricezione dell'atto e alla certezza della data in cui essa abbia avuto luogo, come, ad esempio, la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario; questa soluzione non è, però, pacifica, osservando che la norma, determinando le condizioni della consegna della dichiarazione e qualificando l'evento della conoscibilità, abbia inteso escludere l'autonoma rilevanza di una comunicazione compiuta in altra forma, in quanto ad una determinata situazione di conoscibilità non potrebbe surrogarsene un'altra.

Dal canto suo, la giurisprudenza - v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2003, n. 2311; Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2002, n. 741; Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10124; Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5102; Cass. civ., sez. III, 15 luglio 1987, n. 6237 - ammette che la comunicazione possa avvenire in forme diverse da quella prevista dall'art. 36: infatti, la cessione del contratto di locazione di immobile destinato ad attività di impresa, che avvenga con la cessione contestuale dell'azienda del conduttore, non ha bisogno del consenso del locatore, ma deve essergli comunicata con lettera raccomandata con avviso di ritorno, o con modalità diverse, “purché idonee a consentire la conoscenza della modificazione soggettiva del rapporto”; tale comunicazione, se non costituisce requisito di validità della cessione nel rapporto tra conduttore-cedente e terzo-cessionario, condiziona l'efficacia della cessione stessa nei confronti del contraente ceduto, nel senso che essa non è opponibile al locatore sino a quando la comunicazione non avvenga, sicché la conoscenza aliunde della cessione da parte del locatore non rileva (v., più di recente, Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2018, n. 17545).

Quanto al contenuto, si conviene che la comunicazione del conduttore ex art. 36 della l. n. 392/1978 debba avere ad oggetto gli elementi essenziali della vicenda traslativa, in modo tale da mettere il locatore in grado di poter esercitare il suo diritto di opposizione (qualora ricorrano i gravi motivi), non essendo certamente onere del locatore, qualora tale comunicazione sia imprecisa o ingeneri equivoci, chiedere chiarimenti in ordine alla cessione.

La dottrina ha, in tal senso, affermato che il conduttore deve comunicare al locatore gli elementi essenziali di individuazione sia dell'atto di disposizione dell'azienda, sia del contratto di cessione della locazione dell'immobile, nonché tutti gli altri elementi che possano mettere il locatore in condizione di valutare l'opportunità di proporre opposizione, e così, in particolare, la durata del contratto di cessione o affitto di azienda, la durata del contratto o cessione della locazione dell'immobile, l'esatta indicazione del cessionario.

Sostanzialmente sullo stesso piano si pone l'orientamento della giurisprudenza, che, però, circoscrive il numero delle informazioni da dare, ritenendo sufficiente che la comunicazione contenga gli elementi essenziali per l'individuazione dei contratti posti in essere, insieme alle altre notizie sulla persona del terzo subentrante, tali da mettere il locatore in grado di esercitare il suo diritto di opposizione per gravi motivi.

In questa prospettiva, occorre che la comunicazione consenta quantomeno di identificare il cessionario (come sottolineano Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1993, n. 11685, e Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1989, n. 3730).

Alcuni autori ammettono anche che la comunicazione possa sostanziarsi nella trasmissione del documento negoziale o di una copia autentica di esso; non vi sarebbe, però, l'obbligo per il conduttore di allegare anche copia del contratto di cessione, in quanto l'obbligatorietà della forma scritta ad probationem riguarda solo i rapporti tra cedente e cessionario, essendo comunque necessario che il locatore, mediante comunicazione scritta, sia messo in grado di conoscere tutti i dati rilevanti dell'affare, come le complete generalità del cessionario ed il contenuto dell'atto di cessione che potrebbe essere provato con ogni mezzo.

L'inottemperanza all'onere previsto dalla legge

Rinviandosi ogni effetto della cessione nei confronti del locatore al momento del compimento della comunicazione, il conduttore-cedente rimane, fino a tale data, attivamente e passivamente legittimato in ordine alle azioni nascenti dal contratto di locazione.

Ne consegue che, in mancanza di comunicazione, non decorre il termine per l'opposizione (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1994, n. 8031; Cass. civ., sez. III, 24 novembre 1986, n. 6902), ed il contratto di cessione non è efficace nei confronti del locatore e non può essergli opposto (Cass. civ., sez. III, 3 luglio 1982, n. 3985).

In altri termini, la cessione si perfeziona con l'incontro delle volontà del cedente e del terzo, indipendentemente dal consenso del locatore, ma solo la comunicazione produce l'effetto di rendere opponibile il contratto a quest'ultimo (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1984, n. 4357).

L'inopponibilità della cessione non comunicata al locatore rende irrilevante la comunicazione intervenuta successivamente alla cessazione del rapporto locatizio: infatti, non ha più senso, a tal punto, comunicare al locatore la cessione del contratto ad un terzo-cessionario, stante l'impossibilità logica, prima ancora che giuridica, del verificarsi del fenomeno del subingresso del cessionario al cedente nella posizione di conduttore nell'àmbito di un rapporto locatizio ormai esaurito e non più esistente (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1991, n. 1269).

Per contro, se il rapporto locatizio è in corso, la comunicazione sana ogni eventuale situazione irregolare a partire dal momento in cui è effettuata, dal quale decorre, altresì, il termine di trenta giorni entro il quale il locatore può opporsi alla cessione, qualora ricorrano gravi motivi.

Non produce effetti, invece, la comunicazione incompleta o mendace, non consentendo al locatore di valutare la sussistenza di eventuali ragioni per proporre opposizione.

In tal senso, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2001, n. 5817), per un verso, ha giudicato corretta la decisione di merito, con la quale era stato affermato che la comunicazione incompleta - mancante, cioè, dell'indicazione degli elementi essenziali per l'individuazione dei contratti posti in essere, insieme alle altre notizie sulla persona del subentrante - non era idonea a far decorrere il termine di decadenza per proporre l'opposizione, e, per altro verso, ha escluso la validità della comunicazione in cui si indicava al locatore un cessionario diverso da quello effettivo.

La mancanza di un'efficace comunicazione non costituisce, poi, inadempimento tale da giustificare la risoluzione contrattuale: in buona sostanza, la comunicazione viene configurata - non come un obbligo gravante sul conduttore-cedente, bensì - come un onere.

Nello stesso senso, si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato l'inesistenza di un obbligo, da parte del conduttore, di eseguire la comunicazione prima della cessione (Cass. civ., sez. III, 7 marzo 1991, n. 2386), come pure nel periodo successivo all'attuata cessione (Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1985, n. 2028).

In definitiva, la magistratura di vertice ritiene che la mancata comunicazione non integri mai inadempimento, sicché, a fronte della mancata comunicazione, il locatore, lungi dal potersi dolere dell'inadempimento del conduttore, può solo notificargli la sua opposizione.

Si è concordi, inoltre, nel ritenere che la mancanza della comunicazione possa essere supplita dall'adesione alla cessione da parte del locatore.

La mancata comunicazione al locatore dell'avvenuta cessione dell'azienda ai sensi dell'art. 36 è, quindi, giudicata improduttiva di effetti a carico del conduttore allorché il locatore abbia comunque accettato, secondo la regola generale di cui all'art. 1407 c.c., la cessione, la quale, dal momento dell'accettazione, diviene a lui opponibile anche in difetto della prescritta comunicazione (Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2003, n. 2311; Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2002, n. 741; Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5102; Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1998, n. 2675; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 1996, n. 189; Cass. civ., sez. III, 8 aprile 1988, n. 2770).

L'accettazione, oltreché espressa, può essere manifestata anche in forma tacita, o per facta concludentia, come quando il locatore, venuto a conoscenza della cessione, abbia consentito il godimento della cosa locata da parte del cessionario ed abbia accettato gli effetti della cessione, ricevendo da quest'ultimo il canone locativo (Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1991, n. 6055).

Le modalità prescritte per l'opposizione da parte del locatore

Mentre l'art. 2558 c.c. consente, a tal fine, il recesso per giusta causa dal contratto oggetto di cessione, il citato art. 36 fa salva l'opposizione per gravi motivi che - come si vedrà - prelude ad una vera e propria risoluzione per inadempimento del contratto di locazione.

L'opposizione del locatore - secondo l'opinione comunemente accolta - non soggiace a modalità particolari di dichiarazione e comunicazione, il che non esclude, ovviamente, il suggerimento a trasmettere il dissenso con mezzi idonei (come la raccomandata con ricevuta di riferimento o tramite posta elettronica certificata).

In tal senso, in primo luogo, vi è il dato testuale: la norma dell'art. 36 non richiede alcuna forma scritta per l'opposizione del locatore e, anzi, la circostanza che la medesima norma prescriva per la comunicazione del cedente una particolare forma (“lettera raccomandata con ricevuta di ricevimento”) sta a significare che, per l'opposizione da parte del locatore, tale forma non è richiesta.

In secondo luogo, la necessità della forma scritta per la comunicazione del cedente - e non per l'opposizione del ceduto - si spiega qualora si abbia presente che tale forma è strumentale soltanto rispetto all'inizio del decorso del termine decadenziale di trenta giorni, entro il quale vi deve essere l'opposizione.

Da ultimo, e su un piano più generale, non deve trascurarsi che, nel nostro ordinamento, vige il principio della libertà delle forme e che, quindi, non può invocarsi il rispetto di una forma non richiesta da precise indicazioni della legge.

È, dunque, da escludere che, nel termine di trenta giorni, debba essere iniziata l'azione di accertamento giudiziale della sussistenza di validi motivi di opposizione, stante che l'opposizione può essere operata anche a mezzo di un atto stragiudiziale.

Trattasi indubbiamente di atto recettizio, sicchè la forma di trasmissione, quale che sia, deve essere, comunque, idonea ad assicurare che la dichiarazione pervenga nella sfera giuridica del destinatario.

I gravi motivi fondanti la reazione alla vicenda traslativa

Sul piano contenutistico, è stato affermato che i “gravi motivi”, di cui all'art. 36 della l. n. 392/1978, fondanti l'opposizione debbano essere esplicitati nell'atto di opposizione.

In senso analogo, appare orientata la giurisprudenza, la quale asserisce che, nel notificare l'opposizione, il locatore debba comunque specificare i gravi motivi che la giustificano.

In linea generale, i gravi motivi posti a base dell'opposizione alla cessione della locazione - che, comunque, non possono risolversi in un mero dissenso - devono riguardare la persona del cessionario della locazione oppure, altresì, il complesso dell'operazione progettata (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5468; Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1993, n. 5235; Cass. civ., sez. III, 8 aprile 1988, n. 2770; Cass. civ., sez. III, 15 luglio 1987, n. 6327; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 1984, n. 3728).

È escluso, pertanto, che il locatore possa opporsi alla cessione o alla sublocazione facendo valere proprie esigenze, potendo queste ultime, al più, qualora attengano la sua posizione in via immediata e diretta, legittimare il recesso dal rapporto nei casi previsti dalla legge.

Si è ritenuto che non siano validamente opponibili i motivi che, pur se attinenti al rapporto, possono essere fatti valere anche nei confronti del cessionario, come la ricorrenza di una ragione di diniego di rinnovazione alla prima scadenza della locazione; in quest'ottica, è stato negato che un motivo di opposizione possa consistere nel proposito del locatore di adibire l'immobile all'esercizio di una propria attività commerciale (Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 1990, n. 11767).

In particolare, riguardo ai motivi di carattere soggettivo, cioè relativi alla persona del cessionario, è pacifico che essi possano essere di natura economica, e debbano concernere il soggetto che si sia reso cessionario della locazione: si pensi alla notoria insolvenza, al fallimento, allo sfratto per morosità da altri locali, all'incompatibilità tra l'attività che si svolge nell'azienda ceduta o affittata e quella che il nuovo locatario continua ad esercitare altrove, con conseguente timore di depauperamento dell'azienda e perdita di valore dell'immobile, in ragione della praticata concorrenza.

Né tali conclusioni sono utilmente contrastate dal rilievo che il locatore rimane garantito dalla responsabilità patrimoniale del conduttore-cedente che egli non abbia liberato: infatti, l'interesse del locatore all'esatto adempimento va valutato non solo nell'aspetto della garanzia del credito, ma anche nell'ordinato svolgimento del rapporto contrattuale, con riferimento, per esempio, al puntuale pagamento del canone; del resto, la garanzia che il cedente è obbligato a offrire è un rimedio cui il locatore ceduto non è tenuto a ricorrere.

Motivi di carattere soggettivo sono anche quelli di natura morale, della cui rilevanza non può dubitarsi, se solo si abbia presente che la norma generale dell'art. 1174 c.c. stabilisce che la prestazione oggetto dell'obbligazione, oltre a dover essere suscettibile di valutazione economica, deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale (e, quindi, morale), del creditore.

Trattasi di motivi fondati sulla negativa reputazione del cessionario, che potrebbe così recare discredito all'immobile e, in definitiva, provocarne la svalutazione (come nel caso dell'esercente di albergo già condannato per reati di sfruttamento della prostituzione, del commerciante reo di frodi alimentari, dell'imprenditore che si sia reso responsabile di scandali di vasta risonanza).

Secondo un magistrato meneghino (Trib. Milano 22 settembre 1988), per “gravi motivi”, tali da legittimare l'opposizione del locatore, con conseguente inefficacia della cessione del contratto nei confronti dello stesso, devono intendersi “ragioni di ordine economico o morale”, in relazione all'interesse del locatore al corretto svolgimento del rapporto contrattuale e, quindi, all'adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto, per cui deve senz'altro ritenersi la sussistenza dei motivi de quibus in caso di mancato pagamento del canone - alla data della comunicazione della cessione di azienda e dell'opposizione della proprietà alla stessa - sia da parte del conduttore cedente che da parte del conduttore ceduto.

Le conseguenze rispetto al contratto già stipulato

Quanto agli effetti dell'opposizione di cui all'art. 36 della l. n. 392/1978, occorre distinguere in base al momento in cui essa si colloca.

L'opposizione svolta sùbito dopo la comunicazione di voler cedere il contratto, e prima ancora che la cessione abbia avuto luogo, è stata qualificata come opposizione preventiva, perché posta in essere prima ancora del negozio giuridico che essa mira a contrastare.

Si è, tuttavia, negato che il locatore, mancando la cessione, sia tenuto a proporre opposizione nel termine perentorio di trenta giorni dall'avvenuta comunicazione, essendo la fattispecie indicata estranea alla previsione della norma.

Qualora il conduttore proceda egualmente alla stipula, il locatore può agire in giudizio per avere il conduttore concluso il negozio di cessione o di sublocazione nonostante il suo diniego.

Di regola, succede, però, che l'opposizione segua la comunicazione di una cessione già realizzata: si tratterà, quindi, di un'opposizione successiva rispetto ai contratti stipulati dal conduttore con il cessionario, opposizione generalmente diretta a far valere una domanda di risoluzione, la quale comporta l'accertamento dell'esistenza dei “gravi motivi”.

Particolare rilievo assume, al riguardo, la questione se l'opposizione spiegata dal locatore abbia effetti sospensivi, e cioè impedisca che la cessione o sublocazione divenga opponibile al locatore (ciò rileva sia riguardo al momento traslativo della posizione contrattuale appartenente all'originario conduttore-cedente, sia in ordine alla conseguente ripartizione della legittimazione processuale tra cedente e cessionario).

In dottrina, si è sostenuto che l'opposizione produrrebbe un immediato effetto sospensivo, effetto però transitorio, poiché, considerata l'avvenuta conclusione dei contratti di cessione, il locatore potrebbe ottenere tutela solo attraverso la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione.

Secondo una tesi minoritaria, il contratto di locazione sarebbe sopposto alla condizione risolutiva della clausola di gradimento da parte del locatore; si è, però, replicato che non avrebbe senso riferire il ruolo del locatore - il quale non è, comunque, parte necessaria della cessione, bensì terzo - alla titolarità di una facoltà di recesso unilaterale, per giunta retroattivo, imponendosi, altrimenti, l'affermazione della partecipazione contrattuale del contraente ceduto, essendo, meglio, pur concordando sul suo effetto sospensivo, mantenere l'opposizione del locatore all'esterno dell'assetto strutturale della cessione, quale dichiarazione di volontà costitutiva della fattispecie, e non del negozio.

Sul versante giurisprudenziale, secondo un primo orientamento (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 1996, n. 5305), nell'opposizione per gravi motivi non si ravvisa un atto idoneo ad impedire il perfezionamento di un contratto, che potrebbe risultare già concluso, bensì una mera “contestazione di inadempimento”, rivolta al conduttore, che abbia ceduto il contratto quantunque sussistessero gravi motivi in contrario e preordinata ad una successiva ed eventuale pronuncia di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., anche nei confronti del cessionario: fino a quanto non intervenga la sentenza di risoluzione, legittimato passivo nelle varie azioni contrattuali, concernenti l'esistenza e la durata della locazione, sarebbe il cessionario e non il cedente.

Altro orientamento (Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 2002, n. 201) ritiene, invece, che l'opposizione produca l'effetto immediato di “sospendere l'efficacia della cessione”, nei confronti del locatore ceduto, fino a quando il conduttore non abbia comprovato, in sede giudiziale, l'assenza dei gravi motivi dedotti, motivi in presenza dei quali gli effetti della cessione non si produrrebbero affatto; in altri termini, trattasi di “opposizione specifica di tipo invalidante”, poiché rivolta contro un'altrui attività negoziale allo scopo di impedirne la propagazione degli effetti verso l'opponente, segnatamente sospendendo l'efficacia della vicenda traslativa nei confronti di quest'ultima.

In tal senso, è stato affermato (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2007, n. 9486) che, rispetto all'ordinaria cessione di contratto, la cessione del contratto di locazione, nella fattispecie considerata, non contempla, tra i propri elementi costitutivi, il consenso del ceduto, mentre l'eventuale dissenso del locatore fondato su gravi motivi integra un elemento estraneo al negozio, siccome funzionale alla sospensione temporanea della cessione e - per il caso di accertamento giudiziale o di riconoscimento spontaneo da parte del cedente della fondatezza dell'opposizione - al venir meno degli effetti della medesima cessione ed eventualmente alla risoluzione del rapporto di locazione.

In conclusione

Resta inteso che la mera proposizione dell’opposizione da parte del locatore, o anche la pendenza dello spatium deliberandi di trenta giorni dalla comunicazione di cessione (al pari della mancata comunicazione), producano la sospensione della vicenda di trasferimento dal conduttore-cedente al terzo-cessionario, sospensione perdurante fino alla pronuncia giudiziale di insussistenza dei gravi motivi; ne consegue, nello stesso intervallo temporale, la permanente legittimazione processuale dell’originario conduttore-cedente, evitando pure che l’eventuale sentenza di risoluzione della locazione travolga una cessione medio tempore già compiuta.

Comunque, una volta che l'opposizione alla cessione della locazione sia stata accolta, occorre interrogarsi sulle ricadute che l'accoglimento determina sul contratto avente ad oggetto il trasferimento dell'azienda: tale accoglimento fa sì che il trasferimento della locazione rimanga estraneo alla cessione dell'azienda, onde la mancata prosecuzione del rapporto di locazione non incide sulla validità del trasferimento dell'azienda, il quale può produrre i suoi effetti con un altro immobile, a meno che, dal contratto, non si evinca un collegamento tra i due negozi, tale da impegnare il cedente ad una condotta positiva necessaria a conseguire anche il trasferimento della locazione.

Riferimenti

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