Furto in abitazione: la cantina rientra nella nozione di privata dimora
03 Gennaio 2024
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 51596 del 29 dicembre 2023, ha rigettato un ricorso, condannando il ricorrente alle spese processuali. I fatti traggono origine da una sentenza della Corte di appello di Milano, confermativa della pronuncia emessa dal Tribunale di Lodi nei confronti del ricorrente in relazione al delitto di cui agli artt. 624-bis, 625 n. 2 c.p. per essersi impossessato di una pianola e di un set fotografico del valore di circa 500 euro, riposti all'interno della cantina di pertinenza dell'appartamento della parte offesa dopo aver danneggiato la serratura della porta della cantina con oggetti atti allo scasso, poi rinvenuti in suo possesso. La sentenza della Suprema Corte è di particolare interesse perché si interroga ancora sul termine «privata dimora»; una espressione vaga, elastica, idonea, cioè, ad abbracciare, in modo onnicomprensivo, situazioni di fatto diverse che siano riconducibili al concetto generico utilizzato. L'espressione utilizzata con frequenza nel lessico del legislatore penale, impone, pertanto all'interprete il compito di definirne il significato (per un approfondimento sul tema v. in dottrina, ex multis in Aprile-D'Arcangelo, sub art. 624 bis c.p., in Codice penale Rassegna di Giurisprudenza e di Dottrina, a cura di Lattanzi - Lupo, 956 ss, 2022). Si tratta, in particolare, di definire il contenuto offensivo tipico dell'ipotesi delittuosa onde comprendere se la condotta contestata presenti un disvalore sufficiente a giustificarne la collocazione entro la fattispecie disciplinata con maggior rigore, giustifichi la maggiore gravita del fatto e l'incremento della sanzione che ne deriva. La Corte volgendo lo sguardo alla sentenza delle Sezioni Unite Sciuscio del 2013 chiarisce come il principio di offensività che deve guidare l'interprete nell'individuazione del fatto tipico sanzionato dal legislatore penale, regola altresì l'interpretazione di elementi connotanti il fatto in termini di maggior allarme sociale, cosicché si possa «cogliere nel lessico legale una portata che esprima fenomenologie significative, che giustifichino l'accresciuta severità sanzionatoria». Invero, l'art. 624-bis c.p., introdotto dall'art. 2 legge 26 marzo 2001, n.128, innovando rispetto alla previsione contenuta nell'art. 625 n. I c.p., che indicava quale aggravante del furto la condotta realizzatasi attraverso la introduzione o l'intrattenersi in un edificio destinate ad altrui «abitazione», prevede - configurandola quale fattispecie autonoma di reato, al fine di sottrarla al giudizio di bilanciamento, e sanzionandola con pena più severa - la condotta dell'impossessamento mediante introduzione in un luogo destinate a «privata dimora» ovvero nelle sue pertinenze. La locuzione utilizzata ha recepito in parte i risultati della precedente elaborazione giurisprudenziale sulla nozione di «abitazione», già presente nel soppresso n. 1, dell'art. 625 c.p. e tuttora ripreso nella rubrica della nuova norma. Della questione dei limiti applicativi della norma in esame sono state investite le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 31345 del 2017, D'Amico, per quanto concerne lo specifico profilo che qui rileva, hanno messo in evidenza il requisito della stabilità della presenza personale, escludendosi la qualifica di privata dimora in relazione a quei luoghi in cui il soggetto si trovi occasionalmente e transitoriamente. Ma se la spiegazione appare semplice l'applicazione in concreto trova delle difficolta. Ed ecco che la questione centrale posta dal ricorso col primo motivo ruota tutta intorno al significato dell'espressione «privata dimora». La difesa aveva dedotto che la cantina nella quale si era consumato il furto non potesse considerarsi pertinenza dell'abitazione in ragione della assenza del requisito delta contiguità rispetto all'abitazione. La S.C. ha ritenuto integrato il reato ex art. 624-bis. c.p. e le doglianze non fondate. Sul primo motivo, la Corte ha osservato come correttamente la Corte di appello è pervenuta ai punti della decisione ritenendo che il locale, benché disabitato, fosse da considerare pertinenza nel senso attribuito al termine dalla pronuncia delle Sezioni Unite D'Amico, in quanto adibita a deposito di effetti personali, dunque allo svolgimento di un atto della vita privata, non aperto al pubblico e non accessibile a terzi senza il consenso del titolare. Osserva la Suprema Corte dopo un puntuale excursus, delle decisioni della giurisprudenza di legittimità sul tema, che la stessa giurisprudenza è costante nel ritenere che, per potersi integrare l'ipotesi delittuosa ex art. 624-bis. c.p., devono concorrere indefettibilmente tre elementi:
Alla luce di tali considerazioni, e applicando tali principi al caso concreto, la pronuncia impugnata è risultata esente dalle censure denunciate. Il Collegio nell'approdo della sua conclusione, ritiene infatti dirimente il riferimento in entrambe le pronunce di merito alla identificazione di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa, correttamente qualificando in termini di privata dimora la cantina in quanto adibita a deposito di effetti personali (tanto è vero che erano stati oggetto di furto una pianola e materiale fotografico) e con accesso precluso a terzi da una serratura, nell'occasione tagliata. Fonte: dirittoegiustizia.it |