La responsabilità degli amministratori privi di deleghe di società per azioni bancarie

09 Gennaio 2024

La Cassazione torna ad occuparsi dei profili di responsabilità degli amministratori privi di deleghe, nell’ambito dei doveri di vigilanza in capo a tutti i componenti del consiglio di amministrazione, specie per quanto riguarda le società bancarie.

Massima

Gli amministratori privi di deleghe nelle società per azioni hanno l'obbligo, dettato dall'art. 2381 c.c., di agire in modo informato e, quindi, da un lato devono informarsi, esercitando i loro poteri di vigilanza senza rimettersi alle sole segnalazioni degli amministratori delegati, dall'altro, laddove vengano a conoscenza - o siano tenuti a conoscere - condotte irregolari degli amministratori delegati, devono attivarsi per prevenirne o limitarne le conseguenze. Questi obblighi sono tanto più pregnanti nel settore bancario, attesa la responsabilità non solo sociale-contrattuale degli amministratori, ma anche pubblicistica nei confronti dell'Autorità di vigilanza e la necessaria adeguata conoscenza del business bancario che deve sussistere anche in capo agli amministratori non delegati. Qualora sia fatta valere la responsabilità omissiva degli amministratori privi di deleghe (solidale con quella di chi abbia agito, ai sensi dell'art. 2932, comma 2, c.c.) per inerzia e mancato esercizio dei doveri di vigilanza a fronte di diffuse irregolarità, sussiste una presunzione di colpa e sono gli stessi amministratori-trasgressori, pertanto, ad essere gravati dell'onere di provare di avere agito in assenza di colpevolezza.

Il caso

Un consigliere non delegato di una Banca ricorreva in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Firenze di rigetto dell'opposizione avverso le sanzioni inflitte al ricorrente dalla Consob in relazione a plurime fattispecie previste nel TUF (D.Lgs n.58/1998) e nel Regolamento Congiunto Banca d'Italia-Consob per aver omesso di identificare e gestire correttamente conflitti di interesse nell'ambito del collocamento di titoli, per omissioni in ambito di controllo di adeguatezza delle operazioni disposte dalla clientela e di profilatura nonché per irregolarità nelle modalità di pricing di prodotti bancari emessi da BMPS. La sentenza della Corte territoriale riconduceva la responsabilità del consigliere opponente all'obbligo sussistente in capo agli amministratori privi di deleghe e sancito dagli artt. 2381 e 2392 c.c. di agire informati, chiedendo informazioni agli amministratori delegati sul loro operato e attivandosi per impedire il compimento di fatti pregiudizievoli. Nel caso in esame, la Corte d'appello ha ritenuto sussistenti gli estremi per la responsabilità omissiva dell'amministratore non delegato, che non avrebbe superato con idonei elementi probatori la presunzione di colpa operante in caso di contestazione di omissione e inerzia.

Il consigliere, nel ricorrere per cassazione, lamentava che la sentenza d'appello avrebbe errato nel ritenere sussistente in capo agli amministratori non delegati un potere di vigilanza su ogni atto di gestione, anche laddove questi non abbiano ricevuto tempestiva informazione da parte degli organi delegati e da quelli di controllo, oltre alla nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, per avere omesso ed errato la valutazione delle risultanze istruttorie e della condotta del ricorrente e irrogato una sanzione sproporzionata.

Le questioni

Il provvedimento in commento precisa i profili della responsabilità degli amministratori privi di deleghe, in termini di dovere di assumere adeguate informazioni e di attivazione per prevenire o eliminare situazioni critiche provocate da atti di gestione compiuti dagli amministratori delegati.

La Corte di cassazione ripercorre lo statuto legislativo della responsabilità degli amministratori privi di deleghe, soffermandosi sulla peculiare connotazione che assumono gli obblighi di vigilanza dei componenti dei C.d.A. di società bancarie.

Osservazioni

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso e confermare la decisione d'Appello, analizza taluni aspetti della responsabilità degli amministratori privi di deleghe con una pronuncia che si inserisce in un filone giurisprudenziale che può dirsi ormai consolidato.

Il punto di partenza è l'ultimo comma dell'art. 2381 c.c. che sancisce un generalizzato dovere per gli amministratori di società per azioni di “agire in modo informato” e che espressamente pone in capo agli amministratori il potere di iniziativa cognitoria per cui ciascun consigliere può chiedere agli organi delegati che siano fomite informazioni relative alla gestione sociale. La Suprema Corte pone particolare accento sul potere informativo, che diventa un dovere di assumere informazioni finalizzato a prendere consapevolmente la decisione di agire o non agire. Di talché, anche l'inerzia diviene scelta imputabile al consigliere privo di delega, nella misura in cui si assume che lo stesso debba conoscere l'andamento gestorio della società.

In quest'ottica il consigliere non delegato risponde anche nel caso in cui non si sia attivato per prevenire o risolvere una situazione gestoria critica che doveva conoscere, quindi nel caso in cui la mancata conoscenza gli sia rimproverabile, avendo il dovere di compiere atti proattivi di indagine e non potendosi rimettersi alla sola segnalazione degli amministratori delegati con atteggiamento meramente passivo (O. Cagnasso, Il dovere di vigilanza degli amministratori e la delega di fatto tra norme vecchie e nuove, in Giur. It., 2004, 3, 557).

Un primo aspetto che emerge è quello dell'ampiezza e della generalità del dovere di vigilanza. Come noto, dopo la riforma del diritto societario, l'art. 2392 c.c. non fa più riferimento all'obbligo generale di vigilanza “sul generale andamento della gestione”, che è stato espunto, ma richiama il dovere di agire informati di cui al terzo comma dell'art. 2381 c.c. e fa riferimento alla conoscenza di singoli “fatti pregiudizievoli” (in dottrina non è mancato chi ha ritenuto immutato il generale dovere di vigilanza (P. Montalenti, Sub art. 2381 c.c., in Il nuovo diritto societario, in Trattato Cottino, Bologna, 2004, 679) . La Corte, ad avviso di chi scrive, insiste sulla pregnanza del dovere di vigilanza, ampliandolo rispetto ad altre precedenti pronunce che hanno tentato di ridimensionare un simile controllo generalizzato per scongiurare forme – più o meno surrettizie - di responsabilità oggettiva (Cass. 31 agosto 2016, n. 17441). Quello che grava sugli amministratori di banche – anche se non esecutivi – è un dovere di valutazione della “adeguatezza dell'assetto organizzativo e contabile” e del “generale andamento della gestione della società” che concerne i fatti (nel caso di specie le irregolarità procedurali commesse nell'ambito dei servizi di investimento) anche solo potenzialmente conoscibili. Non pare superfluo, a tal proposito, ricordare che la dimensione consiliare rimane comunque quella in cui il potere si controllo è destinato ad essere esercitato (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27365 e in dottrina G. Giannelli, Poteri di controllo degli amministratori non esecutivi, in L'attività gestoria nelle società di capitali, Bari, 2010, 218).

Un secondo rilevante aspetto concerne i parametri della misura di esigibilità della responsabilità sociale degli amministratori: l'art. 2932 c.c. impone a (tutti) gli amministratori di adempiere a loro doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Nel provvedimento in commento, la Suprema Corte, nel delineare i termini della responsabilità degli amministratori non esecutivi, dà risalto alla natura bancaria dell'attività societaria. Diviene, perciò, indispensabile, la “conoscenza del business bancario”, quale requisito teleologicamente collegato alla effettiva capacità di assumere informazioni e valutarle. Tanto che alla responsabilità sociale di natura contrattuale si affianca, secondo la Corte, nel caso di consiglieri di banche, quella pubblicistica verso l'Autorità di vigilanza. Ciò finisce per delineare in capo agli amministratori una responsabilità non solo specifica-concreta in relazione alla singola operazione, ma un dovere generale di idoneità del proprio background di conoscenze, che dev'essere idoneo a controllare e vigilare sulle decisioni strategiche e gestionali degli organi operativi e “assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca” (sul punto si segnalano Cass.29 ottobre 2018, n. 27365 e Cass. 12 dicembre 2018, n. 32135). Parrebbe, quindi, potersi affermare una prevalenza del canone oggettivo di diligenza correlato alla natura dell'incarico su quello soggettivo delle personali specifiche competenze.

Ne deriva un quadro nel quale il consigliere non esecutivo, laddove ometta di intervenire in presenza di comportamenti irregolari o criticità conoscibili, sulla base di indici che formano oggetto di valutazione probatoria riservata al giudice del merito (nel caso di specie individuati nell'importanza strategica dell'operazione, nelle verifiche ispettive, nelle macroscopiche lacune procedurali, nel diffuso ripetersi di comportamenti irregolari con i clienti dell'istituti), è responsabile in solido con gli amministratori che commettono gli atti di mala gestio, ai sensi del secondo comma dell'art. 2932 c.c. Configurandosi come responsabilità omissiva quella del consigliere che rimanga inerte dinnanzi a criticità ed irregolarità da parte degli organi gestori operativi, è il “trasgressore”, una volta allegata e provata la fattispecie, a dover vincere la presunzione di colpevolezza, fornendo idonei elementi probatori di segno opposto.

Conclusioni

La pronuncia in commento si colloca nell'ambito della giurisprudenza ormai consolidata in tema di responsabilità dell'amministratore privo di deleghe, al quale si richiede un impegno attivo finalizzato a prendere e mantenere costante cognizione della gestione societaria e possibilità e opportunità di intervento. In ambito penale, infatti, è diffusa l'opinione secondo cui al consigliere non operativo può essere ascritta la responsabilità penale nella forma omissiva secondo il canone dell'art. 40, comma 2 c.p.: egli riveste una posizione di garanzia e ha un obbligo di intervento laddove abbia percepito “segnali perspicui, peculiari nonché anomali” (Cass. pen. 3.12.2008, n. 1372, in De Jure; cfr. anche Cass. pen. 5.10.2012, n. 23000, in De Jure e Cass. pen. 27.11.2015, n. 12933, sempre in De Jure). La differenza, rispetto all'ambito civile, e che pare utile evidenziare con riguardo alla sentenza in commento è la irrilevanza – in sede penale – della mera conoscibilità dell'atto illecito gestorio degli amministratori delegati: la sentenza in commento, invece, sembra richiedere una “funzione di monitoraggio” e un “dovere di controllo” diffusi. Ciò, che ad avviso di chi scrive, non dovrebbe in ogni caso poter sfociare nell' affermazione di una responsabilità oggettiva “da posizione”, tanto più in un ambito complesso come quello della gestione bancaria. Del resto, la recente riforma del diritto della crisi e, in particolare, la novella dell'art. 2086 c.c. rinnova la riflessione e l'interesse verso il tema dello statuto di responsabilità degli amministratori privi di deleghe: dal combinato disposto dell'art. 2086 c.c. e dell'art. 2381 c.c. deriva un coinvolgimento in termini di controllo sugli assetti organizzativi per tutti i componenti del C.d.A. e una responsabilità, anche degli amministratori non operativi, per mancata attivazione di fronte ai segnali di crisi.

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