Opponibilità, in sede di esecuzione immobiliare, del contratto di locazione a «canone vile»

10 Gennaio 2024

Il tema della opponibilità o meno del contratto di locazione stipulato “a canone vile” con le plurime questioni che pone (in termini di individuazione del giudice competente ad accertare la viltà del canone, di verifica circa i presupposti per ravvisare la stessa e di possibili rimedi contro la statuizione resa dal giudice dell'esecuzione in punto di inopponibilità del contratto), costituisce un terreno di confine che può essere utile percorrere, senza la pretesa di giungere a conclusioni esaustive.

Il quadro normativo

Quali gli esatti confini dei poteri del giudice dell'esecuzione ? Fino a dove può spingersi ? E quando, invece, si avventura in un territorio diverso, ordinariamente riservato al giudice della cognizione ?

Domande provocatorie, alle quali non si ha la pretesa di rispondere.

Il tema della opponibilità o meno del contratto di locazione stipulato “a canone vile”, però, con le diverse questioni che pone (in termini di individuazione del giudice competente ad accertare la viltà del canone, di verifica circa i presupposti per ravvisare la stessa e di possibili rimedi contro la statuizione resa dal giudice dell'esecuzione in punto di inopponibilità del contratto), costituisce un terreno di elezione per cominciare una indagine su un argomento così avvincente.

Il problema dal quale occorre prendere le mosse, per iniziare questo approfondimento, concerne la opponibilità o meno di un contratto di locazione (avente ad oggetto l'immobile pignorato) alla procedura esecutiva e, successivamente alla aggiudicazione, all'aggiudicatario del bene immobile.

L'art. 2923 c.c. si premura di fornire una risposta a questo quesito precisando, al suo primo comma, che le locazioni consentite da chi ha subito l'espropriazione sono opponibili all'acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento (…)”.

Il successivo secondo comma, poi, aggiunge che “le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento non sono opponibili all'acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione”.

Ne discende, quindi, che le locazioni immobiliari sono opponibili alla procedura e, poi, all'aggiudicatario, nella misura in cui risultino da data certa anteriore al pignoramento, fermo restando che, nel caso di locazioni ultranovennali, qualora le stesse, oltre ad avere data certa anteriore al pignoramento, siano anche state trascritte prima di esso, il contratto di locazione potrà continuare a produrre i suoi effetti per tutta la durata convenuta.

Meno rilevante, quanto meno con riguardo alle locazioni immobiliari che siano state stipulate dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004, la previsione contenuta al quarto comma dell'art. 2923 c.c., laddove consente di valorizzare, ai fini della opponibilità della locazione, anche il contratto privo di data certa, sempre che la detenzione sia anteriore al pignoramento, dal momento che con riguardo ai contratti di locazione stipulati sotto la vigenza della menzionata disposizione trova applicazione l'obbligo di registrazione, a pena di nullità.

Su un quadro normativo così sinteticamente rassegnato si innesta la previsione contenuta al terzo comma dell'art. 2923 c.c.

Il comma in questione prevede: “in ogni caso l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni”.

Ne discende che devono ritenersi non opponibili all'acquirente (e, dunque, all'aggiudicatario del bene all'esito della vendita forzata, atteso che la norma in questione trova la sua collocazione fra le disposizioni dettate in tema di “effetti della vendita forzata e dell'assegnazione”) e, prima ancora, alla stessa procedura esecutiva, le locazioni che siano state stipulate ad un canone che si discosti significativamente dal “giusto”.

In particolare, questo scostamento è ravvisabile ogni qual volta il canone risultante dal contratto sia inferiore di un terzo rispetto al canone che risulti come adeguato sulla base della stima effettuata dall'ausiliario in corso di procedura (e così, se il canone “giusto” viene determinato dallo stimatore in € 500,00 mensili, dovrà intendersi come vile un canone inferiore ai due terzi di tale cifra, ossia ad € 333,00).

Viene in rilievo una questione che può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice dell'esecuzione, competendo al medesimo la verifica in merito alla opponibilità dei titoli di godimento eventualmente opponibili alla procedura (Cass. civ. n. 12473/2023) e che presuppone un accertamento in merito alla ingiustizia del canone da effettuarsi anche avvalendosi di presunzioni e comunque anche evincibile da elementi ricavabili dal raffronto del canone della locazione con quello di successiva sublocazione del medesimo immobile o da quello di locazione di immobili similari (Cass. civ. n. 23508/2022), nonché, come previsto espressamente dal comma in esame, da precedenti locazioni del medesimo bene.

Quanto al momento rilevante ai fini della verifica circa la viltà o meno del canone, lo stesso pare dover essere individuato con riferimento alla data del pignoramento e non, invece, con riferimento alla data di stipula del contratto di locazione, né con riferimento alla data di aggiudicazione del bene (sul punto, si veda la posizione espressa da Cass. civ. n. 2462/1982).

Rispetto ad un quadro così sinteticamente e sommariamente delineato, la questione più problematica, che fino ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità si poneva come un vero e proprio busillis per gli interpreti della norma, è quella concernente le modalità di rilievo della inopponibilità del contratto a canone vile, gli effetti conseguenti a tale rilievo e la tutela spettante ai soggetti che intendano opporsi a tale statuizione.

Su tali questioni occorre dunque soffermarsi nel paragrafo che segue.

I recenti approdi della giurisprudenza di legittimità

Cosa fare se, nel corso di una procedura esecutiva immobiliare, emerge che l'immobile pignorato è oggetto di un contratto di locazione, regolarmente registrato prima del compimento del pignoramento, riguardo al quale si ritenga, all'esito della attività svolta dallo stimatore, che sia stato pattuito un canone “vile” ?

Le soluzioni in campo sono diverse e la scelta dell'una o dell'altra non è priva, evidentemente, di rilevanza ai fini del buon esito dell'esecuzione.

Una prima possibilità, adottata da alcuni uffici giudiziari, è quella di dar seguito comunque alla vendita del bene, dopo aver dato atto in perizia della esistenza di un contratto di locazione a canone “vile”, rimettendo quindi all'aggiudicatario ogni iniziativa finalizzata all'introduzione di un giudizio per far valere l'inopponibilità di tale contratto (in tal senso, si veda, ad esempio, Trib Arezzo del 17.6.2020, in DejureBanca Dati Editoriali GFL).

Altra possibilità, praticata in alcuni tribunali e finalizzata a pervenire alla liberazione dell'immobile già in corso di procedura, è quella di dare incarico ad un legale, in corso di procedura, di procedere alla introduzione di un autonomo giudizio finalizzato all'accertamento della viltà del canone.

Ultima soluzione è quella di ritenere che sia riservata al giudice dell'esecuzione stesso la facoltà di verificare l'esistenza di titoli non opponibili alla procedura esecutiva, attribuendogli quindi il potere di accertare la viltà del canone di locazione e di ordinare, per l'effetto, la liberazione dell'immobile ai sensi dell'art. 560 c.p.c.

Su quest'ultima posizione si è da ultimo attestata la giurisprudenza di legittimità.

Viene così affermato che la locazione "a canone vile" stipulata in data anteriore al pignoramento non è opponibile all'aggiudicatario ai sensi dell'art. 2923, comma 3, c.c. ed è inopponibile anche alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso, stante l'interesse pubblicistico al rituale sviluppo del processo esecutivo e, quindi, per un motivo di ordine pubblico processuale, il quale impone l'anticipazione degli effetti favorevoli dell'aggiudicazione e del decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia "ultra partes" di quest'ultimo”, con il conseguente effetto che “è pienamente legittima l'emanazione diretta, da parte del giudice dell'esecuzione, dell'ordine di liberazione - con la successiva attuazione da parte del custode e senza che sia necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva - avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l'aggiudicatario” (si veda Cass. civ. n. 9877/2022).

Né, poi, afferma ancora la Cassazione, può ritenersi che una tale soluzione comporti una ingiusta compressione dei diritti di difesa delle parti interessate (e, segnatamente, del locatore e del conduttore del bene), dal momento che le eventuali doglianze delle parti ben potranno essere formalizzate in termini di opposizione agli atti esecutivi contro il provvedimento che dichiari la inopponibilità del contratto alla procedura e ordini la liberazione del bene immobile: opposizione che si articolerà, come di consueto, in una fase cautelare, dinanzi al giudice dell'esecuzione, finalizzata alla assunzione degli eventuali provvedimenti sospensivi o indilazionabili, ed in una successiva fase di merito (si veda, sul punto, oltre la già citata Cass. civ. n. 9877/2022, anche la ancor più recente Cass. civ. n. 12473/2023, la quale ultima ha avuto modo di rilevare la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità concernente il comma terzo dell'art. 2923 c.c., non comportando tale norma alcuna compressione del diritto di difesa delle parti, ma unicamente una tutela del diritto alla realizzazione del proprio credito, anch'essa costituzionalmente tutelata, contro iniziative fraudolente o comunque lesive delle ragioni creditorie).

Una soluzione, quella da ultimo indicata dai giudici di legittimità, che non comporta una invasione di campo, in sede esecutiva, delle prerogative ordinariamente riservate al giudice della cognizione, se è vero che il giudice dell'esecuzione “è dotato di ampi poteri per conseguire le condizioni di quel bene più idonee alla sua liquidazione; e, anche, di una potestà ordinatoria che necessariamente involge l'esercizio di sommari poteri soltanto latu sensu cognitivi, di deliberazione di quelle questioni  di diritto la cui soluzione è indispensabile per l'ordinato e proficuo sviluppo della procedura” (si veda ancora Cass. civ. n. 9877/2022).

Riferimenti

A.M. Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 2017, pagg. 704 e 705;

R. Metafora, “Opponibilità ex art. 617 c.p.c. dell'ordine di liberazione dell'immobile pignorato locato a canone vile”, in IUS, Giuffrè Francis Lefebvre;

AA.VV., I Custodi giudiziari e i delegati alla vendita, Milano, 2023, pagg. 152 e ss.

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