Libertà di opinione e social: il diritto di critica del lavoratore-rappresentante sindacale è “illimitato”?

Teresa Zappia
17 Gennaio 2024

I limiti di derivazione costituzionale all'esercizio del diritto di critica operano anche per il lavoratore-sindacalista, sicché non può essere ritenuto automaticamente discriminatorio l'eventuale licenziamento disciplinare giustificato dal loro superamento.

Nel caso in cui sul proprio profilo social (accessibile a tutti) il lavoratore-rappresentante sindacale abbia usato espressioni prive di finalità dialettica sindacale, ma oggettivamente finalizzate a ledere la reputazione dell'azienda, può presumersi il carattere discriminatorio di un eventuale successivo licenziamento?

In linea generale, con riferimento all'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore, anche ove espressa in termini aspri, la giurisprudenza ha precisato che le espressioni impiegate non devono tradursi (e scadere) in una lesione, sul piano morale, dell'immagine datoriale, facendo riferimento a fatti non oggettivamente certi e comprovati.

Ciò in quanto il principio della libertà di manifestazione del pensiero di cui all'art. 21 Cost. incontra i limiti posti dell'ordinamento a tutela dei diritti e delle libertà altrui, con conseguente necessario coordinamento e bilanciamento con altri interessi aventi pari copertura costituzionale.

Con particolare riferimento al lavoratore che sia anche sindacalista all'interno dell'azienda, è stato precisato che, qualora siano superati i limiti della correttezza formale che sono imposti dall'esigenza di tutela della persona umana (art. 2 Cost.), attribuendo al datore qualità apertamente disonorevoli e impiegando espressioni denigratorie sulla base di fatti non provati, il comportamento del lavoratore-sindacalista ben potrebbe essere sanzionato in via disciplinare. Tali limiti, dunque, operano nonostante il ruolo di rappresentate sindacale, sebbene in relazione all'attività propria di tale ruolo il lavoratore si ponga su un piano paritetico con il datore.

In sintesi, dunque, qualora nel caso specifico venga accertato un superamento dei limiti entro i quali è possibile parlare di (sana) dialettica sindacale, non potrebbe il dipendete-sindacalista asserire automaticamente il carattere discriminatorio dell'eventuale sanzione disciplinare espulsiva conseguente alle pubblicazioni sul proprio profilo social.

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