Risarcito anche il danno morale per una procedura fallimentare durata oltre 18 anni
16 Gennaio 2024
Tizia, in qualità di erede di Caio interpellava la Corte di Appello per vedersi riconoscere l'equo indennizzo spettante per la durata non ragionevole della procedura concorsuale relativa al fallimento della Zeta s.r.l. La Corte di Appello confermava il rigetto dell'istanza di liquidazione dell'indennizzo per durata non ragionevole della procedura fallimentare. In sostanza, stabiliva che a Tizia (erede del creditore ammesso al passivo) non spettasse l'equa riparazione per la durata “irragionevole” della procedura fallimentare, durata oltre 18 anni. Evidenziava la Corte di Appello che il termine di 6 anni previsto per il completamento della procedura costituiva una presunzione di ragionevolezza della durata del procedimento che poteva essere superata con la prova contraria. Lamenta Tizia, con il ricorso in Cassazione, la violazione dell'art.2 L.89/2001 in relazione all'art.6 par. 1 della CEDU, all'art.1 del primo protocollo addizionale, nella parte in cui la Corte di Appello ha giustificato l'irragionevole durata con la complessità della procedura fallimentare. L'art.2, comma 2 della L.89 del 2001 prevede infatti che nell'accertare la violazione, «il giudice valuta la complessità del caso, l'oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento […]. Ancora, ai sensi dell'art.2, comma 2-bis della citata legge, si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni». Ne consegue che, sostiene sempre Tizia, «in tema di equa riparazione per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, la durata delle procedure fallimentari deve rispettare la soglia di sei anni». Secondo poi lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Edu, si può tenere conto della particolare complessità della procedura concorsuale solo per un “temperamento” di detta soglia, nel senso che la complessità del caso può «giustificare uno slittamento della procedura concorsuale da sei a sette anni […]» La Cassazione sottolinea allora che davanti all'ampio superamento del limite di 7 anni, decorrente per i creditori ammessi dall'approvazione dello stato passivo, la complessità del caso non avrebbe potuto giustificare la radicale esclusione dell'indennizzo perché «il danno non patrimoniale per l'irragionevole durata del processo, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, nel rispetto dei principi cardine che la Corte Edu ritrae dall'art. 6 CEDU, si intende come conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo […]». Secondo la Cassazione è quindi caduta in errore la Corte di Appello che, davanti a una procedura fallimentare durata oltre 18 anni, ha negato l'“an” del diritto alla equa riparazione al creditore ammesso al passivo, non bastando ad escludere l'indennizzabilità, per una procedura concorsuale protrattasi secondo i tempi anzidetti, la constatazione della particolare complessità della procedura. Non vi è nel decreto impugnato alcun richiamo all'avvenuta soddisfazione di una consistente quota del credito ammesso, all'esito del primo riparto, avvenuto nei tempi ragionevoli, quale condizione inibitoria della spettanza del diritto all'indennizzo - come invece ha osservato il controricorrente -, che invece ha escluso la fondatezza della pretesa azionata sotto il profilo della complessità della procedura concorsuale in concreto. Accoglie il motivo di ricorso e cassa il decreto impugnato rinviando alla Corte di Appello in diversa composizione. (Fonte: Diritto e Giustizia) |