Settembre 2023: prorogatio degli amministratori in sede penale, falso in bilancio, legittimazione dell’ex socio di società estinta, divieto di patto leonino

La Redazione
11 Ottobre 2023

Nel mese di settembre la Cassazione ha affrontato fattispecie relative alla liberazione del fideiussore omnibus, alla responsabilità degli amministratori di una banca che abbiano concesso credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza e a quella degli amministratori dimissionari in sede penale, ai doveri del liquidatore di società post scioglimento, alle conseguenze dell'estinzione di una società sulla legittimazione ad agire dell'ex socio e sugli illeciti ex d.lgs. n. 231/2001, all'intermediazione finanziaria e al divieto di patto leonino.

Il creditore è consapevole delle difficoltà economiche del debitore: quando può liberarsi il fideiussore

Cass. Civ. – Sez. III – 22 settembre 2023, n. 27173, sent.

Il fideiussore omnibus è liberato quando sopravvenga un notevole aumento delle difficoltà di soddisfacimento del suo credito a causa della mutata condizione patrimoniale del debitore, ed il creditore, benché a conoscenza di tale situazione, continui a concedere finanziamenti senza speciale autorizzazione del fideiussore. Quando quest'ultimo chiede la liberazione della prestata garanzia, invocando l'applicazione dell'art. 1956 c.c., ha l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'elemento soggettivo di tale fattispecie normativa, e cioè che successivamente alla prestazione della garanzia per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia dato credito al terzo pur essendo consapevole dell'intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche.

Responsabili gli amministratori di una banca che hanno concesso credito con leggerezza

Cass. Civ. – Sez. I – 20 settembre 2023, n. 26867, sent.

Gli amministratori di un istituto di credito, ove abbiano concesso credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza, sono tenuti al risarcimento del danno attuale arrecato al patrimonio della banca e consistente, in ragione della svalutazione del portafoglio crediti e dei costi di gestione finalizzati al rientro, nella riduzione della sue capacità gestionali e di investimento, senza che sia, pertanto, necessario attendere l'esito infruttuoso delle azioni di cognizione e di esecuzione volte al recupero dei finanziamenti erogati.

Il liquidatore deve provare di aver rispettato la par condicio creditorum

Cass. Civ. – Sez. I – 18 settembre 2023, n. 26742, sent.

Grava sul liquidatore l'onere di dimostrare l'adempimento dell'obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della par condicio creditorum, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all'epoca esistenti. Tale soluzione è rispondente al principio di vicinanza della prova: infatti, le circostanze relative alle concrete modalità di svolgimento delle operazioni di liquidazione, e, segnatamente, alla redazione del bilancio finale di liquidazione, all'esistenza o meno di un residuo attivo da distribuire ai creditori, alla graduazione dei crediti e ai pagamenti eventualmente eseguiti a favore dei creditori ricadono incontrovertibilmente nella sfera di azione del liquidatore, il quale è in grado di documentare ogni operazione svolta durante la fase di liquidazione e deve essere, pertanto, onerato del relativo onere della prova.

L'estinzione dell'ente non estingue l'illecito 231

Cass. Pen. – Sez. II – 14 settembre 2023, n. 37655, sent.

La cancellazione dell'ente dal registro delle imprese non determina l'estinzione dell'illecito previsto dal D.Lgs. n. 8 giugno 2001, n. 231, commesso nell'interesse ed a vantaggio dello stesso. In ogni caso, la responsabilità della persona fisica si estende dall'individuo all'ente collettivo solo a condizione che siano individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell'ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo ente.

Falso in bilancio post fallimento: è bancarotta fraudolenta impropria

Cass. Pen. – Sez. V – 12 settembre 2023, n. 26264, sent.

Nel caso in cui al reato di falso in bilancio segua il fallimento della società, non si realizza un'ipotesi aggravata del reato societario, ma un autonomo reato, che si inquadra nel paradigma della bancarotta fraudolenta impropria.

Il reato di bancarotta impropria da falso in bilancio si struttura come reato di evento, per la configurabilità del quale si richiede l'integrazione di una delle condotte di reato ivi elencati (tra i quali il falso in bilancio) mentre l'evento corrisponde alla determinazione del dissesto della società, anche nella forma di un suo aggravamento, causalmente collegato al reato.

Bancarotta prefallimentare: la prescrizione decorre dal fallimento

Cass. Pen. – Sez. V – 8 settembre 2023, n. 37020, sent.

Il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria.

La prorogatio in sede penale: l'amministratore dimissionario resta responsabile

Cass. Pen. – Sez. V – 8 settembre 2023, n. 37012, sent.

La cessazione dall'incarico di amministratore unico di una società determina l'operatività dell'istituto della prorogatio imperii, previsto dall'art. 2385 c.c., secondo cui detta cessazione ha effetto (se resta in carica la maggioranza del c.d.a.) soltanto in forza della sua avvenuta sostituzione con altro amministratore, con la finalità di assicurare la contestualità tra cessazione e sostituzione dell'amministratore: l'efficacia delle dimissioni o di qualsiasi altro istituto da cui derivi che la società rimanga privata dell'opera dell'amministratore dipende e decorre dall'avvenuta sostituzione. Fino a quel momento, l'amministratore resta penalmente responsabile per le condotte rilevanti ai fini della bancarotta.

False comunicazioni sociali con esposizione in bilancio di rivalutazioni delle immobilizzazioni

Cass. Pen. – Sez. V – 5 settembre 2023, n. 36807, sent.

Il reato di false comunicazioni sociali, in relazione all'esposizione in bilancio di enunciati valutativi, attesa la loro intrinseca opinabilità, è configurabile solo in presenza di criteri predeterminati e vincolanti ai quali il redattore deve attenersi. In questi casi, divenendo un modo di rappresentare la realtà (in termini di coerenza o meno con i predetti criteri) non dissimile dalla descrizione o dalla constatazione, la valutazione sarà "falsa" ove si discosti consapevolmente dai detti criteri senza fornire adeguata informazione giustificativa.

L'art. 2426 c.c., in un'ottica di valutazione prudenziale dei cespiti patrimoniali, indica, per le immobilizzazioni, quale criterio di iscrizione in bilancio, il costo di acquisto o di produzione: tale criterio deve considerarsi inderogabile, nel senso che non sono ammesse rivalutazioni discrezionali o volontarie delle immobilizzazioni materiali ovvero rivalutazioni che non derivino dall'applicazione della legge, tanto più nelle ipotesi in cui la gestione caratteristica sia in perdita, con l'unico limite previsto dall'art. 2423 c.c.

La legittimazione ad agire dell'ex socio della società estinta

Cass. Civ.- Sez. II – 5 settembre 2023, n. 25806, sent.

L'ex socio che intenda proseguire un giudizio nel corso della cui pendenza la società si è estinta ed è stata cancellata dal registro delle imprese, dovrà qualificarsi espressamente come successore nella titolarità della pretesa creditoria oggetto del giudizio pendente (e non semplicemente affermare di essere stato socio o liquidatore della società estinta e cancellata); allegare e dimostrare che, sulla base del bilancio finale di liquidazione della società, la pretesa creditoria in questione sia stata a lui attribuita, ovvero che, laddove essa non sia stata affatto oggetto di liquidazione né sia stata presa in considerazione nel bilancio finale di liquidazione, ciò non sia avvenuto in conseguenza di una tacita rinunzia alla stessa, ma per altre ragioni.

Intermediazione finanziaria: la prova dell'assolvimento degli obblighi informativi

Cass. Civ. – Sez. III – 1 settembre 2023, n. 25635, sent.

Nell'ipotesi in cui un investimento finanziario sia stato qualificato anche dall'intermediario come operazione inadeguata, l'assolvimento degli obblighi informativi cui quest'ultimo è tenuto, in mancanza della prova dell'osservanza delle cogenti prescrizioni contenute negli artt. 28 e 29 del regolamento Consob, n. 1152 del 1998, attuative dell'art. 21 del T.U.F., non può essere desunta in via esclusiva dal profilo soggettivo del cliente, dal suo rifiuto di fornire indicazioni su di esso o soltanto dalla sottoscrizione dell'avvenuto avvertimento dell'inadeguatezza delle operazioni in forma scritta, essendo necessario che l'intermediario, a fronte della sola allegazione contraria dell'investitore sull'assolvimento degli obblighi informativi, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente della banca. Tale prova può essere integrata dal profilo soggettivo del cliente o da altri convergenti elementi probatori ma non può essere desunta soltanto da essi.

La decisione degli arbitri in una controversia tra consorzi e il divieto di patto leonino

Cass. Civ. – Sez. I – 1 settembre 2023, n. 25594, sent.

Il divieto del c.d. patto leonino, posto dall'art. 2265 c.c. ed estensibile a tutti i tipi sociali, attenendo alle condizioni essenziali del contratto di società, presuppone una situazione statutaria, costitutiva dei diritti e degli obblighi di uno o più soci nei confronti della società ed integrativa della loro posizione nella compagine sociale, caratterizzata dall'esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di impresa e dagli utili, ovvero da entrambe: in quanto volto a preservare la purezza della causa societatis, l'esclusione che tale divieto determina deve essere assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione "da ogni" partecipazione agli utili o alle perdite, e costante, perché riflette la posizione, lo status, del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società. Pertanto, non integra violazione di tale divieto una alterazione temporanea del criterio di ripartizione dei risultati economici della gestione, fondato sulla misura della quota di partecipazione all'ente collettivo e determinato da una decisione assunta dagli arbitri, volta a regolare gli effetti economici dello annullamento della delibera di riduzione della partecipazione sociale.

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