Le clausole di sostenibilità negli statuti sociali: uno sguardo sugli orientamenti notarili ESG

26 Gennaio 2024

La Commissione Società del Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie ha pubblicato nell'ottobre del 2023 sei orientamenti societari, applicabili a tutte le società lucrative, che analizzano possibili declinazioni dei fattori ESG all'interno degli statuti sociali, mediante l'introduzione delle cd. clausole di sostenibilità. Tali Orientamenti rappresentano un concreto passo in avanti della sostenibilità applicata al mondo corporate. Da un punto di vista tecnico, legittimano, seppur mediante uno strumento di soft-law quali sono gli orientamenti e le massime notarili, l'introduzione di vere e proprie clausole statutarie in grado, da un lato di orientare l'operato degli amministratori e, dall'altro, di dotare gli stakeholders di poteri di “voice” giuridicamente riconosciuti, che si aggiungono a quelli dei soci, rendendo più vincolante per gli amministratori il contemperamento di diversi interessi nell'attività d'impresa.

ESG e corporate law. Un accenno introduttivo

A cominciare dalla crisi economica del 2008, per molti osservatori provocata, o quantomeno indotta, dalla tendenza di diversi operatori economici, a cominciare dalle società quotate, di perseguire unicamente obiettivi di breve periodo focalizzati prettamente sul valore dell'equity dell'impresa, il mondo giuridico-economico – anche cogliendo lo slancio delle nuove correnti in ambito di sostenibilità – si è fisiologicamente trovato a doversi interrogare sulla necessità di riconsiderare il concetto di “scopo” (che coincide con la ragion d'essere) della società. La definizione dello scopo sociale, infatti, incide profondamente sull'impronta e sulla “mission” degli organi di governance e di riflesso sui doveri degli amministratori nella gestione dell'impresa. In particolare, negli ultimi anni gli studiosi del diritto societario hanno dibattuto su quale sia, alla luce dei diktat di sostenibilità, il possibile nuovo significato da attribuire al “fine dell'impresa”. Si tratta esclusivamente della tutela dell'interesse dei soci, quali residual claimant dell'impresa stessa, la cui pretesa di essere remunerati della propria equity (cd. scopo di lucro) deve prevalere in ogni caso, oppure tale interesse deve essere ponderato con quello di altri soggetti (gli stakeholders) , anch'essi, a vario titolo, lambiti dall'attività della società (creditori, dipendenti, cittadini)? E più nel dettaglio, la ricerca dello shareholder value (da intendersi come la massimizzazione del “valore” per gli azionisti) - che, in ogni caso, deve guidare gli amministratori di una società lucrativa - deve essere perseguito nella prospettiva del breve termine (cd. Short-termism) con implicazione di rischi elevati, anche a costo di perdite altrettanto elevate, o nel lungo periodo (cd. Long-termism) valorizzando investimenti di capitale che siano diretti non più soltanto alla massimizzazione degli utili, ma anche a ciò che possa permettere un duraturo e stabile stato di salute dell'impresa e la sua capacità di creare valore per la collettività? A nostro avviso, la risposta a tali domande presuppone un chiarimento (di stampo pratico) in ordine al se, e alla misura in cui, gli amministratori di una società possano (rectius, debbano) tener conto, nelle loro scelte gestionali, di obiettivi e interessi che vadano oltre la massimizzazione del profitto per i soci e se tra questi obiettivi debbano rientrare quelli di sostenibilità.

La materia è stata oggetto di interventi normativi di varia natura, tra cui si cita, in estrema sintesi, (i) a livello europeo la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR - Reg. UE 2019/2088) e la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD - Dir. 2022/2464) e (ii) a livello italiano la riforma del 2015 (art. 1, commi 376-384, l. n. 208 del 28 dicembre 2015) che ha consentito ad alcune società - denominate “società benefit” - di introdurre nei propri statuti la finalità di contemperare gli interessi degli azionisti con quelli degli altri stakeholder dell'impresa (la dottrina al riguardo è ampia; senza presunzione di completezza si segnala, tra alcuni recenti lavori: U. Tombari, “Fini aziendali” e diritto societario: dalla “supremazia degli interessi dei soci” alla libertà di scelta dello “scopo sociale”?, in Riv. soc., 2021, 13 ss.; E. Barcellona, Shareholderism versus Stakeholderism, Milano, 2022).

L'importanza degli Orientamenti ESG dei Consigli notarili delle Tre Venezie

In tale macro-contesto, qui evidentemente solo accennato, spostando l'angolo di visuale dal dibattito generale ad alcune sue più concrete applicazioni, non può passare inosservata la decisione della Commissione Società del Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie di pubblicare, nell'ottobre 2023, sei Orientamenti in materia societaria finalizzati principalmente a sostanziare la validità dell'introduzione delle cd. «clausole di sostenibilità» negli statuti delle società di capitali aventi scopo di lucro.

Tali Orientamenti, pur essendo uno strumento di cd. soft-law, sono astrattamente in grado di incidere, contemporaneamente, sia sul fine dell'impresa (per quanto non ne mettano in dubbio lo scopo di lucro) sia sui mezzi (i.e. l'organizzazione societaria). Nonostante in linea teorica la coesistenza e il contemperamento dello scopo lucrativo con lo scopo sociale/ambientale pare, ai più, spontaneamente percorribile, sussistono sul punto alcune aporie. Si pensi ad esempio alla circostanza per cui, da un lato, le norme positive italiane sull'organizzazione societaria, e il connesso diritto a far valere azioni di responsabilità, pendono tutte a favore di un'unica constituency, vale a dire i soci (interessante sul punto specifico: F. Denozza, Lo scopo della società: dall'organizzazione al mercato, in Orizz. dir. comm. 3/2019, 615), dall'altro, invece, il diktat di sostenibilità imporrebbe agli stessi amministratori di tener conto anche degli interessi degli altri stakeholders, assumendo scelte gestionali che vadano oltre all'adempimento delle proprie obbligazioni verso i creditori, i fornitori e i dipendenti. In assenza delle clausole statutarie di sostenibilità (di cui si veda infra) l'organo amministrativo sarebbe sprovvisto di regole organizzative che orientino il suo operato (anche) ad obiettivi di sostenibilità, non potendo contare su specifiche norme cogenti che lo orientino in tal senso nelle scelte ex-ante, salvo doversi conformare alla normativa che impone una rendicontazione ex post (su tutte, la citata direttiva CSRD, appena entrata in vigore). È posto, dunque, in particolare, in capo ai soci l'onere di determinare l'orientamento dello scopo sociale e le regole di governance più idonee tramite cui perseguirlo. Da qui, l'innovazione (e l'importanza) delle clausole di sostenibilità, la cui adozione, trattandosi di clausole statutarie, dipende proprio dalla scelta dei soci. Con tali clausole l'organo amministrativo potrebbe beneficiare di un indirizzo prestabilito, risultando pertanto parzialmente sollevato dall'onere di determinare, in via autonoma, e forse eccessivamente discrezionale, per conto della società, se la stessa debba perseguire, oltre allo scopo di lucro dettato dalla legge, altri fini, o quantomeno, se nel raggiungimento dello scopo di lucro la società debba tener conto di questi ultimi.

Le clausole di sostenibilità: definizione e limiti

Cosa si intende per «clausole di sostenibilità»? È la stessa Commissione dei notai del triveneto a darne la definizione, inquadrandole alla stregua di clausole statutarie «che costituiscono espressione di ideali collettivi, valori sociali e principi etici», tra cui «la protezione dell'ambiente, la promozione del lavoro, la cura e il benessere dei dipendenti e della collettività». In altri termini, le clausole di sostenibilità pongono a carico della società che le adotta e, di riflesso, degli amministratori che la guidano, impegni più o meno generici di salvaguardia di una pluralità di interessi, soprattutto di stampo non economico, implicati nell'attività di impresa.

Si badi, le clausole di sostenibilità non riguardano gli “ordinari” doveri degli amministratori diversi dalla generazione di utili da distribuire ai soci, quali, innanzitutto, l'adempimento delle obbligazioni sociali verso i finanziatori, i fornitori o i lavoratori (si veda supra). E non sono da individuarsi nemmeno nel rispetto delle norme in tema, ad esempio, di sicurezza sul lavoro o di smaltimento dei rifiuti.

Si tratta di clausole che, per così dire, aggiungono dei doveri (anche solo, talvolta, di confronto/consultazione) in capo a chi amministra l'impresa, con l'obiettivo, sul lungo periodo, di comporre lo scopo lucrativo (che porta con sé, e di per sé, obiettivi di competitività e produttività) con la sostenibilità economico-finanziaria, culturale e sociale (sul punto, per un approfondimento: P. Montalenti e M. Notari (a cura di), La Nuova Società Quotata: Tutela degli Stakeholders, Sostenibilità e Nuova Governance, in Quaderni di Giurisprudenza Commerciale n. 444/2021, 13 ss).

Tali clausole innanzitutto ricomprendono le, ma non si limitano alle, cd. clausole di etero-destinazione degli utili - già ammesse dalla giurisprudenza - in ragione delle quali è possibile prevedere statutariamente la destinazione di una parte degli utili netti annuali in beneficenza, purché ciò non sia incompatibile con lo scopo di lucro della società e la clausola miri a «promuovere, anche indirettamente, l'immagine della società» (Cass. 11 dicembre 2000, n. 15599 in Giust. civ. Mass. 2000, 2581). Ma vi è un significato più ampio sotteso alle clausole di sostenibilità: esse mirano a «connotare le modalità di svolgimento» dell'impresa generando circoli virtuosi in grado di bilanciare la massimizzazione del profitto dei soci e la protezione degli interessi “diffusi” degli stakeholders, provando ad allineare sviluppo economico dell'impresa a sviluppo sociale della collettività che è, in qualche modo, lambita dall'impresa stessa.

Breve analisi degli Orientamenti ESG Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie

L' Orientamento A.B.1, base giuridica e concettuale per la lettura dei successivi cinque, muove da un presupposto binario: da un lato, l'assenza nell'ordinamento giuridico italiano di obblighi rivolti agli amministratori di società aventi scopo di lucro di attuare l'oggetto sociale tenendo esclusivamente conto della massimizzazione del profitto dei soci, e dall'altro, la nuova formulazione dell'art. 41, comma 2, Cost., secondo cui le attività di natura economica non possono svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana oltre che, dopo la novella del 2022, anche all'ambiente. In tal modo, l'Orientamento giunge a definire come legittime le clausole statutarie che introducano «specifiche regole etiche e/o di sostenibilità che l'organo amministrativo delle società deve osservare, anche se a scapito della massimizzazione del profitto». Senza tuttavia con ciò snaturare il fine di lucro cui deve tendere l'impresa, aggiungendo alla stessa un'ulteriore finalità di utilità sociale, cui sono preposti altri enti disciplinati dall'ordinamento. Non si tratta quindi di un mutamento del fine di lucro, ma di una diversa modalità di raggiungimento dello stesso, nella prospettiva – di lungo periodo – della continuità d'impresa e della sua crescita e stabilità a sostegno della più generale sostenibilità.

L'Orientamento A.B.2 riconosce la legittimità di clausole statutarie aventi ad oggetto la etero-destinazione (parziale) degli utili alla cura di interessi connessi e riconducibili alla natura dell'attività esercitata dalla società, a condizione che la finalità connessa non comprometta il perseguimento dello scopo di lucro della società e che né la stessa né il relativo importo possano essere predeterminati. Tale predeterminazione renderebbe la funzione gestoria meramente esecutrice di un piano segnatamente predefinito e tradirebbe, inter alia, la business judgment rule dell'organo amministrativo. Tale Orientamento contribuisce quindi a dare sostanza alla validità delle clausole di etero-destinazione, le quali tuttavia necessariamente dipendono dalla generazione stessa di utili. Ai fini della redazione di tali clausole, occorre prevedere l'attribuzione di una certa percentuale sugli utili – se esistenti – di cui l'assemblea di bilancio abbia deliberato la distribuzione (o di cui sia obbligatorio procedere alla distribuzione, in ragione di un vincolo statutario), e ciò anche al fine di evitare la predeterminazione sopra menzionata.

I successivi due orientamenti (Orientamento A.B.3 e Orientamento A.B.4) riflettono nella società di capitali ordinaria un tratto tipico della società Benefit (in particolare, cfr. Legge n. 208/2015, comma 376) e si concentrano su alcune modalità di attuazione del delicato bilanciamento tra gli interessi dei soci e quelli degli stakeholders. Sotto un profilo di ordine generale, l'Orientamento A.B.3 stabilisce la legittimità di una clausola statutaria che imponga agli amministratori di calibrare le proprie decisioni in ordine alla determinazione delle politiche di impresa e nella loro concreta attuazione anche sugli interessi degli stakeholders della società. L'Orientamento si pone, in altri termini, quale base giuridica in grado di legittimare alcune scelte gestorie – non imposte dalla legge – che riescono a tenere in considerazione anche interessi diversi da quello della massimizzazione del profitto per i soci, o, ancor più precisamente, mirano a distribuire utili ai soci passando però da scelte gestorie che valorizzano anche l'interesse della collettività. In una prospettiva concreta e operativa, invece, si pone l'Orientamento A.B.4, che accoglie l'introduzione in statuto di clausole che conferiscano poteri di “voice” a determinate categorie di stakeholders. Si ammette dunque sia la previsione di obblighi in capo all'organo amministrativo di consultazione di comitati esterni o rappresentanze di stakeholders predeterminati, sia la subordinazione di talune operazioni al preventivo consenso dei menzionati comitati rappresentativi degli stakeholders. L'Orientamento parrebbe aderire alla tesi secondo cui per tutelare interessi più ampi di quelli dei soci sono necessari interventi più “impegnativi” sulla struttura stessa della governance societaria, senza però affrontare fino infondo il tema delle clausole che consentono la partecipazione di rappresentanti degli stakeholder al consiglio di amministrazione. Si tratta, ad ogni modo, di una previsione di considerevole portata, in grado di imporre agli amministratori un trasparente flusso comunicativo – in taluni casi arrivando a richiedere, ai fini della validità di una determinata decisione gestoria, l'ottenimento di una vera e propria autorizzazione – con soggetti diversi dai soci, eliminando quindi il rischio della compressione di ogni spazio di dialogo con gli stakeholders che deriverebbe da un'univoca lettura dell'oggetto sociale e della finalità dell'impresa in ottica lucrativa e di massimizzazione del profitto, oltre che del vincolo fiduciario degli amministratori verso i soci (per approfondire, si legga F. Denozza “Due concetti di stakeholderism” in Orizz. dir. comm. 1/2022, 37).

Proseguendo nell'excursus, il Comitato Interregionale, nell'Orientamento A.B.5, catalizza inoltre l'attenzione sulla dibattuta legittimità di previsioni statutarie che impongano un sistema di valutazione periodica da parte di esperti indipendenti dell'operato degli amministratori in ambito sociale ed ambientale, ammettendone la validità, anche nel caso in cui determinino in modo vincolante parte del compenso degli amministratori sulla base di predefiniti parametri di sostenibilità delle politiche e delle condotte manageriali dai medesimi adottate e assunte. Ancora una volta, si favorisce un flusso informativo – oltre che un dovere di reporting - tra amministratori e soggetti diversi dai soci, portatori di altri interessi.

L'ultimo intervento del Comitato Interregionale (Orientamento A.B.6) riconosce invece la legittimità delle clausole di gradimento che pongano una sorta di barriera in entrata per la partecipazione alla compagine societaria, mediante l'individuazione di specifici requisiti etici per l'assunzione di partecipazioni sociali. A tal proposito, si evidenzia che clausole di gradimento che richiedono determinati requisiti per poter divenire soci sono già diffuse nella prassi, spesso concentrate sull'assenza di attività concorrenti da parte del socio entrante. Con tale Orientamento, invece, il punto di vista è etico: si aprono le porte esclusivamente a soggetti che siano in linea con le politiche di sostenibilità che intende adottare la società. Si offre così, indirettamente, una linea guida agli amministratori: il rapporto fiduciario in cui operano infatti sorgerà e si svilupperà unicamente con soci dotati di requisiti di sostenibilità predeterminati, che finiscono dunque per rappresentare, allo stesso tempo (e più o meno implicitamente), anche una chiave di lettura per la gestione della società.

In conclusione

Non resta, ora, che vagliare la prassi societaria per valutare, dapprima il grado di diffusione di tali clausole di sostenibilità e, quindi, l'effettiva capacità delle stesse di indirizzare l'organo amministrativo nella gestione della società secondo criteri maggiormente orientati alla sostenibilità.

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