La tutela collettiva e di classe nelle controversie di lavoro

26 Gennaio 2024

Le questioni nodali, che emergono dall'applicazione della tutela di classe al campo laburistico e sindacale, concernono, in particolare, la competenza per materia e territorio, il rito applicabile, e la legittimazione ad agire delle associazioni sindacali, avuto riguardo alle prescrizioni formali di cui all'art. 840-bis, comma 2, c.p.c. richiamato dal 1° comma dell'art. 840-sexiesdecies c.p.c.

Premessa

Le norme di cui agli artt. 840-bis e ss. c.p.c., in vigore 19 maggio 2021, appaiono applicabili anche agli illeciti plurioffensivi nell'ambito del lavoro e delle relazioni sindacali o industriali.

Le questioni nodali, che emergono dall'applicazione della tutela di classe al campo laburistico e sindacale, concernono, in particolare, la competenza per materia e territorio, il rito applicabile, e la legittimazione ad agire delle associazioni sindacali, avuto riguardo alle prescrizioni formali di cui all'art. 840-bis, comma 2, c.p.c. richiamato dal 1° comma dell'art. 840-sexiesdecies c.p.c., che prevede la necessaria iscrizione dell'ente esponenziale nel pubblico elenco istituito presso il Ministero della Giustizia di cui al d.m. n. 27 del 17 febbraio 2022.

Le disposizioni limitative del decreto, che consentivano la legittimazione ai soli enti ricompresi nel codice del terzo settore, sono state annullate da recente pronuncia amministrativa che, pertanto, ha rimosso ogni ostacolo, di ordine sostanziale o processuale, alla legittimazione ad agire dei sindacati nella tutela di classe e collettiva.

Le azioni di classe (class actions) e inbitorie collettive: profili generali

Il corpo normativo introdotto agli artt. 840-bis e ss. c.p.c., ad opera della l. n. 31/2019, in vigore dal 19 maggio 2021, ha destato l'immediato interesse delle associazioni sindacali, con particolare riferimento alle azioni di classe e inibitorie collettive di cui agli artt. 840-bis e sexesdecies c.p.c.

L'art. 840-bis c.p.c. individua strumenti e tecniche processuali per la gestione di controversie relative a «diritti individuali omogenei», promananti da rapporti standardizzati, o da una condotta illecita, contrattuale o extracontrattuale, istantanea o permanente, proveniente da un solo soggetto, produttiva di pregiudizi omogenei, o discendente da una pluralità di condotte tra loro omogenee.

In tale ambito, la norma legittima organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro, i cui obiettivi statutari prevedano la tutela di tali diritti, ricorrendo specifici requisiti formali, ad agire, a mezzo dell'azione di classe, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività, al fine di conseguire l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni, sulla base dell'articolato procedimento disciplinato dagli artt. 840-ter e ss. c.p.c..

Le medesime organizzazioni e associazioni possono, ai sensi dell'art. 840-sexesdecies c.p.c., agire per ottenere la pronuncia di inibitoria di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti, al fine di contenere gli effetti pregiudizievoli di un illecito già perpetrato, o limitarne le conseguenze, nell'ambito di un procedimento camerale celebrato con le formalità di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., dinanzi alle sezioni specializzate in materia di impresa, territorialmente competenti.

Sotto il profilo della legittimazione processuale passiva, gli artt. 840-bis , comma 3, e 840-sexiesdecies, comma 3, c.p.c. prevedono l'esperibilità delle relative azioni «nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività».

Va, sul punto, rilevata la testuale limitazione della platea di soggetti potenzialmente convenuti a coloro che svolgono attività di impresa ai sensi dell'art. 2082 c.c., risultando, di converso, l'ambito di applicazione delle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, di cui agli artt. 140-ter e ss. Codice del Consumo (inseriti dal d.lgs. 10 marzo 2023, n. 28) decisamente più ampio, coinvolgendo, sotto il profilo passivo, tutti i soggetti, persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private che, in via diretta o per il tramite di soggetti operanti in nome e per conto, esercitano un'attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale.

L'azione collettiva di cui all'art. 840-bis c.p.c. è volta a tutelare i «diritti individuali omogenei» (1° co.), che l'organizzazione o l'associazione senza scopo di lucro tuteli per previsione statutaria (2° co). L'omogeneità del diritto è condizione dell'azione, dovendo essere vagliata ai fini dell'ammissibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 840-ter co. 4 lett. b) c.p.c..

La nozione di omogeneità dei diritti individuali trova fondamento nella medesimezza del fatto, istantaneo, protratto o reiterato, generatore dell'obbligazione risarcitoria, da illecito o inadempimento contrattuale, sussistendo un collegamento tra i vari diritti per identità del titolo o delle questioni, ferma restando la possibile diversificazione, sotto il profilo del quantum, dell'entità risarcitoria (Trib. Venezia, sez. impr., 2 febbraio 2023).

La tutela collettiva nelle controversie di lavoro

La definizione dell'ambito di applicazione, oggettivo e soggettivo, delle azioni di classe e dell'inibitoria collettiva non sembra escluderne l'esperibilità in caso di illeciti plurioffensivi, emessi nei rapporti di lavoro o nelle relazioni sindacali o industriali che, per altro, registrano la presenza di enti esponenziali istituzionalizzati e di rilievo costituzionale (cfr. art. 39 Cost.), quali le associazioni sindacali, che rispondono naturalmente alla definizione di organizzazione e associazione senza scopo di lucro, i cui obiettivi statutari comprendono la tutela dei diritti ed interessi collettivi e plurindividuali dei lavoratori, per altro già dotati di legittimazione processuale attiva nelle azioni per repressione della condotta antisindacale (art. 28 St. lav.) e antidiscriminatoria (art. 28 d.lgs. n. 150/2011 e art. 36 Codice delle Pari Opportunità).

Se, dunque, nei casi in cui la condotta datoriale assume connotazioni di antisindacalità o violazione di principi di parità di trattamento, le associazioni sindacali, ricorrendone i presupposti, potranno agire iure proprio, nella qualità di portatori e interpreti costituzionalmente qualificati di interessi superindividuali, al fine di conseguire la tutela inibitoria e ripristinatoria (nonché risarcitoria, nelle azioni collettive antidiscriminatorie), vi è un residuo margine di tutela collettiva giuslavoristica che, non presentando connotazioni di antisindacalità e discriminatorietà, stricto sensu intese, potrebbe trovare adeguata protezione con le azioni introdotte dagli artt. 840-bis e sexiescdecies c.p.c..

In dottrina (O. Razzolini, Class action: l'azione in giudizio del sindacato verso un cambio di paradigma, in Riv. it. dir. lav., 1, 1° marzo 2023, 111 e ss.), prendendo spunto da vicende giudiziarie incardinate presso la Corte di Giustizia, si è provveduto all'individuazione di potenziali fattispecie applicative nel caso di datore di lavoro che non adotti dispositivi di misurazione dell'orario di lavoro, dell'impresa che rifiuti di negoziare tariffe e condizioni di lavoro dei lavoratori parasubordinati, che rifiuti di fornire ai dipendenti le informazioni necessarie a comprendere il funzionamento degli algoritmi che incidono sul rapporto di lavoro, o che violi reiteratamente clausole normative di un contratto collettivo, limiti quantitativi in materia di ricorso ai contratti a tempo determinato o norme antinfortunistiche.

Nella giurisprudenza nazionale (Trib. Milano, sez. impr., 13 ottobre 2022), si registra un'azione inibitoria collettiva proposta dal sindacato e volta a ottenere un ordine generale di cessazione della condotta del committente/datore di lavoro di riders, consistente nella pervicace applicazione di un contratto collettivo reiteratamente giudicato illegittimo, e nel mancato riconoscimento degli istituti propri della contrattazione collettiva applicabile ex lege.

Le questioni nodali che emergono dall'applicazione della tutela di classe all'ambito laburistico e sindacale attengono principalmente alla competenza, al rito, ed alla legittimazione ad agire delle associazioni sindacali, avuto riguardo alle prescrizioni formali di cui all'art. 840-bis 2° co., richiamato dal 1° comma dell'art. 840-sexiesdecies c.p.c..

Con riferimento al primo profilo, difatti, si registra un inestricabile intreccio di criteri di competenza speciale e inderogabile e di regole procedurali connotate da specialità, che danno luogo ad una pluralità di soluzioni interpretative, che oscillano, alla luce del maggior grado di specialità dell'art. 413 c.p.c. e del principio del favor praestatoris, tra la necessità di proporre l'azione di classe o inibitoria collettiva dinanzi al giudice del lavoro, chiamato ad applicare il rito sommario speciale di cui all'art. 840-ter e ss. o 840-sexiesdecies c.p.c., eventualmente da integrare con le disposizioni processuali speciali di cui all'art. 414 e ss. c.p.c., e la prevalenza della competenza della sezione specializzata per l'impresa, chiamata a giudicare di controversie rientranti nell'alveo dell'art. 409 e ss. c.p.c., facendo applicazione delle norme proprie delle azioni di classe e collettive.

La corretta soluzione alla questione non può che discendere da considerazioni di ordine sistematico e, in particolare, dalla preliminare constatazione che l'attribuzione della competenza del giudice del lavoro, sulle materie di cui all'art. 409 e ss. c.p.c., non è indefettibile, registrandosi situazioni, sia pure eccezionali, in cui il giudice ordinario è chiamato a pronunciarsi su questioni laburistiche e, viceversa, il giudice del lavoro opera incursioni in materie ordinariamente riservate al giudice ordinario.

Così, ad esempio, nel caso di omessa tempestiva eccezione di incompetenza per materia, o rilievo d'ufficio, da cui deriva il consolidamento della competenza ai sensi dell'art. 38 c.p.c., o nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, che determina, ai sensi dell'art. 645 c.p.c. la competenza funzionale e inderogabile dell'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, anche quando il decreto sia stato emesso dal giudice civile, mentre la controversia rientrava nella cognizione del giudice del lavoro (Ex plurimisApp. Reggio Calabria, sez. I, 20 settembre 2021, n. 541).

Di converso, l'art. 441-ter c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 149/2022, prevede che, nelle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, assoggettate alle norme di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c., il giudice del lavoro «decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte», normalmente devolute alla cognizione del giudice ordinario.

Accanto a ciò, nel raffronto delle discipline processuali, non possono non sottolinearsi i profili di ulteriore specialità della normativa concernente le azioni di classe rispetto a quella prevista, in via ordinaria, dagli artt. 414 e ss. c.p.c. che concernono la composizione dell'organo cui è demandata la controversia (collegiale, nel caso delle azioni di classe, monocratica nel processo del lavoro) ma anche le regole processuali applicabili (che, nel caso delle azioni di classe o inibitoria, per effetto dei meccanismi di rinvio, risultano essere il rito sommario – o semplificato – di cognizione, ed il rito camerale integrato).

A riprova della correttezza di tale impostazione milita il precedente giurisprudenziale citato, reso a fronte di una iniziativa giudiziaria assunta dall'associazione sindacale dinanzi al Tribunale per le imprese, in assenza di eccezione o rilievo di incompetenza per materia.

In punto di rito applicabile, il collegio, con significativo obiter, ha osservato come «l'espressa previsione normativa che esige di procedere nelle forme del rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. – senza particolari formalità – esclude in radice la possibilità di applicazione degli istituti del processo del lavoro nell'azione ex art. 840-sexiesdecies c.p.c.».

Può, dunque, concludersi nel senso che, nel caso di proposizione di azione di classe o inibitoria in una delle materie rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 409 c.p.c., la competenza si appunta in capo alla sezione specializzata del Tribunale per le imprese, competente per il luogo in cui ha sede la parte resistente, con integrale ed esclusiva applicazione delle regole procedurali previste dagli artt. 840-ter e ss. e sexiesdecies c.p.c..

La legittimazione ad agire delle organizzazioni sindacali

La definizione dell'ambito di applicazione, oggettivo e soggettivo, delle azioni di classe e dell'inibitoria collettiva non sembra escluderne l'esperibilità in caso di illeciti plurioffensivi, emessi nei rapporti di lavoro o nelle relazioni sindacali o industriali che, per altro, registrano la presenza di enti esponenziali istituzionalizzati e di rilievo costituzionale (cfr. art. 39 Cost.), quali le associazioni sindacali, che rispondono naturalmente alla definizione di organizzazione e associazione senza scopo di lucro, i cui obiettivi statutari comprendono la tutela dei diritti ed interessi collettivi e plurindividuali dei lavoratori, per altro già dotati di legittimazione processuale attiva nelle azioni per repressione della condotta antisindacale (art. 28 St. lav.) e antidiscriminatoria (art. 28 d.lgs. n. 150/2011 e art. 36 Codice delle Pari Opportunità).

Se, dunque, nei casi in cui la condotta datoriale assume connotazioni di antisindacalità o violazione di principi di parità di trattamento, le associazioni sindacali, ricorrendone i presupposti, potranno agire iure proprio, nella qualità di portatori e interpreti costituzionalmente qualificati di interessi superindividuali, al fine di conseguire la tutela inibitoria e ripristinatoria (nonché risarcitoria, nelle azioni collettive antidiscriminatorie), vi è un residuo margine di tutela collettiva giuslavoristica che, non presentando connotazioni di antisindacalità e discriminatorietà, stricto sensu intese, potrebbe trovare adeguata protezione con le azioni introdotte dagli artt. 840-bis e sexiescdecies c.p.c..

In dottrina (O. Razzolini, Class action: l'azione in giudizio del sindacato verso un cambio di paradigma, in Riv. it. dir. lav., 1, 1° marzo 2023, 111 e ss.), prendendo spunto da vicende giudiziarie incardinate presso la Corte di Giustizia, si è provveduto all'individuazione di potenziali fattispecie applicative nel caso di datore di lavoro che non adotti dispositivi di misurazione dell'orario di lavoro, dell'impresa che rifiuti di negoziare tariffe e condizioni di lavoro dei lavoratori parasubordinati, che rifiuti di fornire ai dipendenti le informazioni necessarie a comprendere il funzionamento degli algoritmi che incidono sul rapporto di lavoro, o che violi reiteratamente clausole normative di un contratto collettivo, limiti quantitativi in materia di ricorso ai contratti a tempo determinato o norme antinfortunistiche.

Nella giurisprudenza nazionale (Trib. Milano, sez. impr., 13 ottobre 2022), si registra un'azione inibitoria collettiva proposta dal sindacato e volta a ottenere un ordine generale di cessazione della condotta del committente/datore di lavoro di riders, consistente nella pervicace applicazione di un contratto collettivo reiteratamente giudicato illegittimo, e nel mancato riconoscimento degli istituti propri della contrattazione collettiva applicabile ex lege.

Le questioni nodali che emergono dall'applicazione della tutela di classe all'ambito laburistico e sindacale attengono principalmente alla competenza, al rito, ed alla legittimazione ad agire delle associazioni sindacali, avuto riguardo alle prescrizioni formali di cui all'art. 840-bis , comma 2, richiamato dal 1° comma dell'art. 840-sexiesdecies c.p.c..

Con riferimento al primo profilo, difatti, si registra un inestricabile intreccio di criteri di competenza speciale e inderogabile e di regole procedurali connotate da specialità, che danno luogo ad una pluralità di soluzioni interpretative, che oscillano, alla luce del maggior grado di specialità dell'art. 413 c.p.c. e del principio del favor praestatoris, tra la necessità di proporre l'azione di classe o inibitoria collettiva dinanzi al giudice del lavoro, chiamato ad applicare il rito sommario speciale di cui all'art. 840-ter e ss. o 840-sexiesdecies c.p.c., eventualmente da integrare con le disposizioni processuali speciali di cui all'art. 414 e ss. c.p.c., e la prevalenza della competenza della sezione specializzata per l'impresa, chiamata a giudicare di controversie rientranti nell'alveo dell'art. 409 e ss. c.p.c., facendo applicazione delle norme proprie delle azioni di classe e collettive.

La corretta soluzione alla questione non può che discendere da considerazioni di ordine sistematico e, in particolare, dalla preliminare constatazione che l'attribuzione della competenza del giudice del lavoro, sulle materie di cui all'art. 409 e ss. c.p.c., non è indefettibile, registrandosi situazioni, sia pure eccezionali, in cui il giudice ordinario è chiamato a pronunciarsi su questioni laburistiche e, viceversa, il giudice del lavoro opera incursioni in materie ordinariamente riservate al giudice ordinario.

Così, ad esempio, nel caso di omessa tempestiva eccezione di incompetenza per materia, o rilievo d'ufficio, da cui deriva il consolidamento della competenza ai sensi dell'art. 38 c.p.c., o nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, che determina, ai sensi dell'art. 645 c.p.c. la competenza funzionale e inderogabile dell'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, anche quando il decreto sia stato emesso dal giudice civile, mentre la controversia rientrava nella cognizione del giudice del lavoro (Ex plurimisApp. Reggio Calabria, sez. I, 20 settembre 2021, n. 541).

Di converso, l'art. 441-ter c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 149/2022, prevede che, nelle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, assoggettate alle norme di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c., il giudice del lavoro «decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte», normalmente devolute alla cognizione del giudice ordinario.

Accanto a ciò, nel raffronto delle discipline processuali, non possono non sottolinearsi i profili di ulteriore specialità della normativa concernente le azioni di classe rispetto a quella prevista, in via ordinaria, dagli artt. 414 e ss. c.p.c. che concernono la composizione dell'organo cui è demandata la controversia (collegiale, nel caso delle azioni di classe, monocratica nel processo del lavoro) ma anche le regole processuali applicabili (che, nel caso delle azioni di classe o inibitoria, per effetto dei meccanismi di rinvio, risultano essere il rito sommario – o semplificato – di cognizione, ed il rito camerale integrato).

A riprova della correttezza di tale impostazione milita il precedente giurisprudenziale citato, reso a fronte di una iniziativa giudiziaria assunta dall'associazione sindacale dinanzi al Tribunale per le imprese, in assenza di eccezione o rilievo di incompetenza per materia.

In punto di rito applicabile, il collegio, con significativo obiter, ha osservato come «l'espressa previsione normativa che esige di procedere nelle forme del rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. – senza particolari formalità – esclude in radice la possibilità di applicazione degli istituti del processo del lavoro nell'azione ex art. 840-sexiesdecies c.p.c.».

Può, dunque, concludersi nel senso che, nel caso di proposizione di azione di classe o inibitoria in una delle materie rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 409 c.p.c., la competenza si appunta in capo alla sezione specializzata del Tribunale per le imprese, competente per il luogo in cui ha sede la parte resistente, con integrale ed esclusiva applicazione delle regole procedurali previste dagli artt. 840-ter e ss. e sexiesdecies c.p.c.

In conclusione

Alla luce di tale rilevantissima pronuncia non appaiono, dunque, sussistere ostacoli di sorta, di ordine sostanziale o processuale, alla legittimazione dei sindacati all'esercizio della class action accertativa di cui all'art. 840-bis c.p.c. o all'inibitoria collettiva di cui all'art. 840-sexiesdecies c.p.c., nei limiti della tipologia di pronunce adottabili che, per quanto detto, escludono la possibilità che le associazioni sindacali agiscano con lo strumento di cui all'art. 840-bis c.p.c. per ottenere una pronuncia risarcitoria.

Va, inoltre, rimarcato, come, in virtù del 10° comma, che fa salve le disposizioni previste in materia da leggi speciali, laddove la condotta censurata abbia una matrice antisindacale o discriminatoria, l'associazione sindacale non potrà che agire con le relative azioni, dovendosi considerare l'inibitoria collettiva di carattere residuale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario