Licenziamento dichiarato illegittimo in pendenza di fallimento e intervento del Fondo di garanzia

30 Gennaio 2024

La pronuncia in commento riguarda i limiti di intervento del Fondo di Garanzia dell’Inps in caso di sentenza di reintegra intervenuta successivamente alla sentenza dichiarativa del fallimento del datore di lavoro.

Massima

In caso di accertamento giudiziale di inefficacia del licenziamento con conseguente ordine di reintegra successivo all'apertura del concorso in capo al datore di lavoro soccombente, le mensilità retributive oggetto del Fondo di garanzia ex d.lgs. n. 80/1992 vanno individuate tra le mensilità cui il lavoratore ha diritto per effetto del ripristino giudiziale del rapporto. Al riguardo, non sono di ostacolo né la ricomprensione di tali mensilità nell'indennità risarcitoria da licenziamento illegittimo, né il mancato svolgimento fattuale del rapporto a causa del fallimento del datore di lavoro.

Il caso

I fatti sono, in sintesi, i seguenti.

Una lavoratrice viene licenziata e, impugnato il licenziamento, all'esito del giudizio di primo grado ottiene una sentenza dichiarativa dell'inefficacia del licenziamento con ordine di reintegra nel precedente posto di lavoro. Nelle more tra il licenziamento e la sentenza d'appello che ha confermato l'ordine di reintegra, sopraggiunge la dichiarazione di fallimento del datore di lavoro.

La lavoratrice, dunque, ottiene l'ammissione al passivo della procedura concorsuale del proprio credito  costituito da cinque mensilità di indennità risarcitoria e dalle mensilità alle quali avrebbe avuto diritto dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegra (e quindi, nel caso di specie, alla data di cessazione dell'attività per l'intervenuta dichiarazione di fallimento).

Successivamente, considerata l'incapienza del fallimento, la lavoratrice promuove domanda al Fondo di Garanzia ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 80/1992, per vedersi riconoscere il pagamento delle tre ultime mensilità.

L'Inps, in qualità di gestore del Fondo, respinge la domanda ritenendo le retribuzioni non dovute.

Da quanto è possibile evincere dalla pronuncia in commento, gli argomenti spesi dall'Inps per motivare il mancato accoglimento della domanda della lavoratrice sarebbero: 1) la natura risarcitoria dell'indennità prevista ex art. 18, comma 4, prima parte, l. n. 300/1970; 2) l'esclusione dalla “copertura” del Fondo di tutti i crediti relativi a periodi nei quali non vi è stata effettiva prestazione da parte del lavoratore; 3) il fatto che i crediti rivendicati nella specie, in ogni caso non sarebbero ricompresi nel periodo considerato dall'art. 2 d.lgs. n. 80/1992.

La questione

La questione giuridica posta alla Corte è essenzialmente la seguente: le indennità ex art. 18, comma 4, prima parte, l. n. 300/1970, sono incluse nell'oggetto della garanzia del Fondo, tenuto anche conto che si tratterebbe di somme riconosciute al lavoratore senza che quest'ultimo abbia reso alcuna prestazione?

La soluzione della Corte

Per rispondere all'interrogativo, la Corte svolge due considerazioni preliminari: l'una avente ad oggetto l'effetto dell'ordine giudiziale di reintegra sul rapporto di lavoro cessato, l'altra riguardante la funzione attribuita dal legislatore alle indennità ex art. 18, comma 4, prima parte, l. n. 300/1970.

Quanto al primo argomento (portata ed effetti dell'ordine di reintegra), la Corte richiama il principio per cui la sentenza dichiarativa dell'illegittimità del recesso datoriale ha effetti retroattivi, i quali ricostituiscono, anche sul piano assicurativo e previdenziale, la continuità del rapporto (Cass. civ., sez. lav. 10 novembre 2021, n. 33204). Detto altrimenti: l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento (ex art. 18, comma 4, l. n. 300/1970) comporta la ricostituzione “de iure” del rapporto di lavoro, il quale va considerato come mai risolto, e ciò a prescindere dal fatto che lo stesso venga poi concretamente ripristinato e, quindi, anche a prescindere dal fatto di una sua eventuale quiescenza conseguente alla sopravvenuta dichiarazione di fallimento del datore di lavoro.

Quanto alla seconda premessa (funzione delle indennità ex art. 18, comma 4, l. n. 300/1970), la Corte richiama e consolida le argomentazioni svolte in una recente pronuncia in tema di conseguenze patrimoniali da licenziamento illegittimo (Cass. civ., sez. lav., 25 gennaio 2023, n. 2234). Vale a dire: quelle argomentazioni secondo cui la funzione dell'indennità in esame consiste nel ripristino dello status quo ante il licenziamento illegittimo, tanto è vero che il legislatore ha previsto che tali indennità vengano calcolate in base alla retribuzione globale di fatto che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato.

Mediante tale argomentazione - seppure implicitamente - la Corte ha di fatto, per un verso, attributo natura retributiva alle indennità previste dall'art. 18 l. n. 300/1970 e, per un altro, e conseguentemente, respinto la tesi dell'Inps, secondo la quale le indennità avrebbero spiccata natura risarcitoria.

Svolte le considerazioni di cui sopra, la Corte ha concluso per l'operatività delle garanzie previste dal Fondo sul presupposto della ricostituzione del rapporto susseguente alla pronuncia di reintegra fino alla cessazione del rapporto per l'intervenuta dichiarazione di fallimento del datore di lavoro.

La Corte, infatti, ha condiviso la tesi esposta dal Tribunale di primo grado, secondo la quale il credito vantato dalla lavoratrice, per via del ripristino giudiziale del rapporto di lavoro, riguardava un periodo di lavoro tale da dar luogo a diritto salariale con il conseguente diritto a beneficiare delle garanzie del Fondo.

In tal modo, la Corte ha respinto la doglianza dell'Inps secondo la quale, tanto il Tribunale quanto la Corte di Appello, avrebbero omesso di considerare che i crediti rivendicati dalla lavoratrice non erano ricompresi nel periodo di dodici mesi antecedenti l'apertura della procedura di fallimento per il quale la legge prevede il pagamento da parte del Fondo delle ultime tre mensilità.

Osservazioni

Le conclusioni cui giunge la Corte sono certamente da condividere. Negata, infatti, la natura risarcitoria delle indennità, è corretto attribuire al lavoratore illegittimamente licenziato le medesime tutele offerte ai lavoratori ancora in forza alla data della dichiarazione di fallimento. Diversamente, dovrebbe ammettersi una asimmetria di tutela a seconda del momento nel quale l'illegittimità del licenziamento sia accertata, ovvero: a seconda della circostanza se la stessa sia accertata prima o successivamente al fallimento del datore di lavoro. Il che evidentemente non può essere.

Detto questo, si sottolinea, tuttavia, che, ancorché innovativa rispetto all'oggetto della controversia, la pronuncia in commento si inserisce all'interno di una corrente giurisprudenziale in via di progressiva uniformazione e consolidamento. Si vedano in questo senso: Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 2021, n. 6319, la quale ha sancito il principio secondo cui il lasso temporale compreso tra la data del licenziamento illegittimo e quella della reintegra nel posto di lavoro deve essere assimilato ad un periodo di effettivo lavoro ai fini della determinazione del diritto alle ferie, oppure ancora Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2020, n. 2230 e Cass. civ., sez. lav. 4 ottobre 2019, n. 24890, le quali hanno riconosciuto la natura retributiva e non risarcitoria dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute, al fine di includere anche tale voce di credito nel perimetro di operatività del Fondo di garanzia.

Guida all’approfondimento

Lavoro nella giurisprudenza, 2023, 4, 427; Diritto e Pratica lavoro, 2023, 21, 1347; Lavoro nella giurisprudenza, 2021, 10, 909; Lavoro nella giurisprudenza, 2020, 6, 662; Diritto e Pratica lavoro, 2020, 27, 1756

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