Limiti all’esercizio del diritto di critica del rappresentante sindacale: legittimo il licenziamento per condotte lesive dell’immagine e della dignità datoriale
01 Febbraio 2024
Il caso Il diritto di critica del rappresentante sindacale Un rappresentante sindacale viene licenziato per aver pubblicato sul proprio profilo social commenti, visibili alla generalità degli utenti, dal contenuto volgare, denigratorio e lesivo dell'immagine e dell'onorabilità del datore di lavoro nonché di altri soggetti notoriamente legati alla società datrice. Il lavoratore ricorre in giudizio: sia in primo sia in secondo grado viene confermata la legittimità del licenziamento. La Corte d'Appello di Bari ritiene che le frasi pubblicate travalichino i limiti della critica; esclude qualsivoglia violazione dell'art. 7 Stat. Lav. essendo stato accertato, a mezzo di CTU, che la richiesta di audizione orale formulata dal delegato sindacale a mezzo email non era stata recapitata alla casella postale elettronica della società. La Corte d'Appello, valorizzando le dichiarazioni rese dal lavoratore stesso in sede istruttoria, accerta la paternità dei post nonché il carattere pubblico del profilo social ove sono stati pubblicati. Infine, la Corte conferma il carattere diffamatorio delle frasi utilizzate dal rappresentante sindacale, il travalicamento dei limiti di continenza verbale e l'insussistenza della scriminante sindacale. Il dipendente ricorre per cassazione sulla base dei seguenti motivi:
La datrice di lavoro resiste con controricorso. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Le questioni L'esercizio della facoltà di critica e la scriminante sindacale È legittimo il licenziamento del rappresentante sindacale che pubblica sui social commenti volgari e lesivi dell'immagine e della dignità datoriale, privi di finalità sindacale? Quali sono i limiti alla critica sindacale? Le soluzioni giuridiche Discriminatorietà della condotta datoriale e limiti alla critica sindacale: la prova certa della spedizione della mail La Corte di Cassazione, attenendosi a principi di diritto consolidati in giurisprudenza, rigetta le istanze del dipendente. I primi due motivi di ricorso vengono trattati congiuntamente e rigettati in quanto infondati. In primo luogo, la Corte rammenta che l'invio a casella di posta elettronica ordinaria è privo di tutti quei sistemi di corredo della certezza di comunicazione tipica, al contrario, della posta elettronica certificata, della raccomandata nonché del fax (si veda la richiamata Cass., sez. lav., 31 maggio 2023, n. 15345). Nel caso di specie la Corte ritiene che il lavoratore non abbia dimostrato la ricezione, da parte della società, della richiesta di audizione; la dimostrazione dell'avvenuto invio non è sufficiente: conseguentemente, non sussiste alcuna violazione dell'art. 7 Stat. lav. Per quanto concerne la presunta discriminatorietà della condotta datoriale, anche su tal punto la Corte osserva che incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio nonché il trattamento meno favorevole allo stesso riservato rispetto ad altri lavoratori in analoga situazione: onere, nel caso che ci occupa, non assolto. Inoltre, la Cassazione respinge la censura relativa all'omesso esame di fatto decisivo, consistente nell'aver presentato richiesta di fruizione di permesso sindacale con la medesima comunicazione email con la quale il lavoratore avrebbe richiesto di essere audito. La Corte prende atto che la documentazione prodotta dalla società comprova che il godimento del permesso potrebbe essere avvenuto in seguito alla presentazione dell'istanza con modalità differenti, come avvenuto in passato. Inoltre, in sede istruttoria, lo stesso ricorrente ha ammesso di non rammentare con certezza di aver richiesto il permesso in quell'occasione, né di averne fruito in seguito: l'eventuale fruizione di permesso, ad ogni modo, non dimostrerebbe la ricezione della richiesta di audizione orale. La Corte dichiara inammissibile il terzo motivo di ricorso così come formulato e respinge altresì il quarto motivo di censura. La Cassazione sottolinea che il diritto di critica, anche aspra, è assicurato al lavoratore a livello costituzionale dall'art. 21 Cost., garante della libera manifestazione di pensiero: tuttavia non è ammessa la lesione dei diritti e delle libertà altrui, quali l'immagine e la dignità, con riferimento, per di più, a fatti non certi e comprovati. Il dipendente, avente qualifica di delegato sindacale, agisce sotto duplice veste. In quanto lavoratore è assoggettato al vincolo di subordinazione esattamente come i colleghi; in quanto sindacalista si pone in posizione paritetica nei confronti del datore di lavoro, poiché l'attività sindacale è garantita dall'art. 39 Cost. Le esternazioni critiche nei confronti di parte datoriale esercitate nell'ambito dell'attività sindacale, tuttavia, devono ugualmente rispettare i limiti della correttezza formale, oltre che essere volti a perseguire la finalità di divulgazione dell'attività sindacale. Nella fattispecie, le espressioni critiche utilizzate dal sindacalista sono del tutto prive di finalità divulgativa ma sono volte esclusivamente a ledere il decoro e la reputazione della società e dell'imprenditore. Per tali motivi, la Corte esclude qualsivoglia profilo di discriminatorietà nel recesso datoriale. Osservazioni Il diritto di critica sindacale: vietato il travalicamento della continenza formale e sostanziale Con la pronuncia in oggetto la Cassazione conferma principi di diritto ormai consolidati in merito alla manifestazione di pensiero del lavoratore-sindacalista. In primo luogo, occorre rammentare che, anche nell'esercizio del diritto di critica, ai sensi di un'interpretazione giurisprudenziale estensiva dell'art. 2105 c.c., il lavoratore è tenuto all'obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro; pertanto, la critica espressa non deve recare pregiudizio all'impresa ma rispondere a canoni di correttezza, lealtà, collaborazione e buona fede. Vero è che il rappresentante sindacale gode di una libertà di manifestazione di pensiero più ampia rispetto a quella consentita e garantita al “mero” dipendente. Tuttavia, come precisato nella sentenza, la cd. scriminante sindacale è riconosciuta solo se la critica (e la satira) rivolta al datore di lavoro è funzionale al perseguimento degli interessi collettivi dei lavoratori e dunque espressa nell'ambito dell'azione sindacale. E anche laddove la critica sindacale fosse volta a tale finalità, non può, al pari delle esternazioni critiche manifestate da un semplice dipendente, travalicare i limiti posti dalla continenza sostanziale (i fatti narrati devono corrispondere a verità) e formale (le affermazioni devono essere espresse nel rispetto della dignità altrui, dell'onore, della reputazione). Infine, la critica deve essere volta a soddisfare un interesse giuridicamente rilevante, quantomeno rilevante tanto quanto il bene leso (ex multis, Cass., sez. lav., 25 febbraio 1986, n. 1173). Diversamente, la critica espressa dal dipendente, seppur sindacalista, integra condotta sanzionabile dal punto di vista disciplinare. Ad ogni modo, al lavoratore-sindacalista è comunque riconosciuta, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la facoltà di utilizzare un linguaggio più forte e pungente, sempre che non si traduca in un'aggressione gratuita dell'immagine aziendale, travalicando i limiti di cui s'è detto (ex multis, Trib. Roma, sez. lav., 26 ottobre 2009). |