Sanzione disciplinare espulsiva: la sproporzione non costituisce ex se una prova del motivo illecito determinante della scelta datoriale
01 Febbraio 2024
A fronte di condotte aventi rilievo disciplinare giudicate non rappresentative di una giusta causa di recesso, il giudice può desumere dalla sproporzione della sanzione espulsiva la sussistenza di un motivo illecito del recesso? In linea generale, l'accoglimento della domanda di nullità del licenziamento perché fondato su motivo illecito esige la prova che l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo dì recesso, idonei a configurare un'ipotesi di legittima risoluzione del rapporto. L'onere della prova della esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento, nonché del suo carattere determinante, grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio. Da tali premesse discende che, poiché il licenziamento per ritorsione costituisce la reazione a un comportamento legittimo del lavoratore, ove il potere di recesso sia stato esercitato a fronte di una condotta inadempiente avente rilievo disciplinare, la valutazione circa la concreta gravità dell'addebito se pure può avere rilievo presuntivo, non può tuttavia portare a giudicare automaticamente ritorsivo il licenziamento, occorrendo che la ragione adotta e comprovata risulti meramente formale e apparente o sia tale, per le concrete circostanze di fatto o per la modestissima rilevanza disciplinare, da degradare a semplice pretesto per l'intimazione del licenziamento, cosicché questo risulti non solo sproporzionato ma volutamente punitivo. In sintesi, dunque, il carattere unico e determinante del motivo ritorsivo non può desumersi unicamente dalla mancata integrazione, per difetto di proporzionalità, dei parametri normativi della giusta causa, ma è necessario che la prova presuntiva poggi su elementi ulteriori. |