L’ambito di estensione del giudicato cautelare

Vito Amendolagine
01 Febbraio 2024

Sulle questioni decise dal giudice del reclamo, deve ritenersi inammissibile la riproposizione dell’istanza cautelare avente identico contenuto della precedente sulla quale si è già formato il giudicato cautelare coprendo quest’ultimo il dedotto ed il deducibile?

Massima

Il giudicato cautelare copre non solo le questioni espressamente dedotte nel giudizio cautelare ma anche quelle che avrebbero potuto esserlo, dunque non solo quanto dedotto ma anche quanto deducibile dalla parte interessata.

Il caso

La quaestio juris sottoposta al giudice palermitano nasce dal ricorso cautelare d’urgenza proposto al fine di inibire alla parte resistente l’incameramento di alcune polizze fidejussorie bancarie a garanzia dell’obbligazione restitutoria delle anticipazioni e delle somme corrisposte nell’ambito dei progetti formativi finanziati dalla Regione, identico ad altro già deciso dallo stesso giudice nel procedimento definito in sede di reclamo con provvedimento collegiale che, riformando la precedente ordinanza cautelare, rigettava la proposta azione inibitoria.

La questione

Sulle questioni decise dal giudice del reclamo, deve ritenersi inammissibile la riproposizione dell’istanza cautelare avente identico contenuto della precedente sulla quale si è già formato il giudicato cautelare coprendo quest’ultimo il dedotto ed il deducibile?

Le soluzioni giuridiche 

Il Tribunale rigetta l'istanza cautelare proposta ex art. 700 c.p.c. perché analogamente a quello che promana dalla sentenza, anche il giudicato cautelare copre non solo le questioni espressamente dedotte nel precedente giudizio cautelare ma anche quelle che avrebbero potuto essere deducibili.

Il giudice muovendo dai superiori principi, rileva l'inammissibilità del ricorso cautelare proposto ex novo, con cui la parte ricorrente cerca di ottenere una revisione del precedente decisum cautelare senza introdurre fatti nuovi rispetto a quelli già dedotti o comunque deducibili nel procedimento conclusosi in sede cautelare con decisione sfavorevole a tale parte.

A riprova dell'inammissibilità della riproposizione del ricorso cautelare avente identico contenuto di quello già definito in sede di reclamo sovviene altresì la circostanza che il periculum in mora è stato prospettato negli stessi medesimi termini già allegati nel precedente giudizio cautelare definito con il provvedimento di reclamo, tanto emergendo in modo plastico dal raffronto tra i provvedimenti adottati in quel procedimento ed il nuovo ricorso sottoposto all'attenzione del giudice.

Osservazioni

Il Tribunale osserva che il tema del giudicato cautelare trova ancoraggio normativo nell’art. 669-septies, comma 1, c.p.c., ai sensi del quale l’ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell’istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto.

L’interpretazione della norma di cui al primo comma dell'art. 669-septies c.p.c., laddove subordina la riproposizione dell’istanza cautelare al verificarsi di mutamenti delle circostanze o alla deduzione di nuove ragioni di fatto e di diritto, non è uniforme in giurisprudenza.

La questione è quella dell'estensione del cd. giudicato cautelare, se esso cioè copra soltanto il dedotto ma non anche il deducibile, con la conseguenza della reiterabilità dell'istanza cautelare anche qualora vengano dedotte circostanze di fatto o allegati mezzi di prova preesistenti all'adozione del provvedimento di rigetto; o se, invece, esso copra anche il cd. deducibile a meno che la parte non dimostri di avere conosciuto i fatti, preesistenti ma non dedotti, soltanto dopo l'emissione del provvedimento.

Ferma restando la possibilità di riproporre le istanze cautelari rigettate in presenza di mutamenti delle circostanze, secondo il primo orientamento il ricorrente che abbia visto rigettare la sua istanza potrà riproporla anche qualora le deduzioni di fatto o di diritto poste a fondamento della seconda iniziativa cautelare, attengano a circostanze già in essere al momento di svolgimento del primo procedimento cautelare e siano state omesse dal ricorrente, anche per sua scelta o per sua negligenza.

Di contro, l'orientamento opposto esige che le ragioni di fatto e di diritto preesistenti alla formazione del giudicato cautelare, possano condurre all'ammissibilità della proposizione di una nuova istanza cautelare solo qualora il deducente ne alleghi e dimostri la conoscibilità in epoca posteriore alla definizione del procedimento cautelare concluso con provvedimento negativo.

Tale ultimo orientamento appare maggiormente in linea con il principio di ragionevole durata del processo, che impone di ritenere impossibile addurre, in sede di reiterazione della medesima richiesta cautelare, nuove ragioni che potevano già dedursi prima.

La disposizione, che ha accolto le osservazioni di chi in dottrina già prima della riforma cautelare del 1990 aveva denunciato il rischio di istanze ripresentate alla ricerca di un giudice benevolo e che si propone come soluzione al fenomeno del forum shopping, consente di immaginare una preclusione per il giudice cautelare nuovamente adito in assenza di circostanze mutate o di nuove ragioni dedotte dalla parte interessata, in ciò giustificando – pur con le dovute cautele – il richiamo al concetto proprio del giudicato.

Il giudice palermitano, con la pronuncia in commento, ha quindi ritenuto che, analogamente a quello che promana dalla sentenza, anche il giudicato cautelare copra non solo le questioni espressamente dedotte nel giudizio cautelare ma anche quelle che avrebbero potuto esserlo.

In particolare, l’idoneità del giudicato cautelare a coprire anche il deducibile è stata argomentata nella giurisprudenza di merito sulla scorta del principio della ragionevole durata del processo con il fine di evitare una inammissibile frantumazione e diluizione nel tempo della attività difensiva che va a sicuro discapito di un celere svolgimento del procedimento (Cfr. Trib. Bari, 3 marzo 2009, in www.giurisprudenzabarese.it; v. anche Trib. Napoli, 5 marzo 2013, in www.dejure.it; Trib. Verona 17 luglio 1995, in Giur. it., 1996, 112), salvo poi ammettere comunque che le ragioni o le circostanze preesistenti alla formazione del giudicato cautelare possono condurre all’ammissibilità della riproposizione dell’istanza quando ne sia allegata e dimostrata la conoscibilità in epoca successiva alla definizione del procedimento cautelare concluso con provvedimento negativo.

A tale ricostruzione dimostra di aderire anche altra giurisprudenza di merito (Trib. Nola, 29 agosto 2019 in www.judicium.it), laddove pone l’accento sull’esigenza di offrire una nozione di giudicato cautelare che deve essere unica e non deve cambiare in relazione agli istituti del procedimento cautelare uniforme che vengano in rilievo, a tale fine richiamando altresì l’art. 669-decies c.p.c. che apre alla modifica ed alla revoca del provvedimento cautelare solo in presenza di mutamenti di circostanze ovvero di fatti anteriori al provvedimento cautelare, che siano conosciuti successivamente.

In tale senso depone anche un'interpretazione sistematica delle norme in materia.

Infatti, il giudicato cautelare deve avere la medesima consistenza, e, dunque, produrre effetti preclusivi analoghi, sia qualora si intenda porre in discussione un provvedimento cautelare negativo, facendo dunque ricorso all'istituto di cui all'art. 669-septies c.p.c, sia qualora si voglia modificare o revocare una misura cautelare positiva già consolidatasi, facendo dunque applicazione dell'istituto di cui all'art. 669-decies c.p.c.

Tale previsione, nella formulazione successiva alla riforma della l. n.263/2005, subordina infatti la possibilità di modificare il provvedimento cautelare alla presenza o di mutamenti delle circostanze o di fatti anteriori ma, in quest'ultimo caso, solo se la conoscenza dei medesimi sia stata acquisita dopo il provvedimento cautelare medesimo, con onere della prova della conoscenza successiva a carico dell'istante.

Inoltre giova precisare che la genericità della nozione utilizzata dall'art. 669-septies c.p.c. non pone alcun ostacolo a che tali nova preesistenti non siano già conosciuti ma siano di nuova acquisizione conoscitiva.

Aggiungasi che, un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso potrebbe allora rinvenirsi nel caso in cui vi sia la pendenza di altro ulteriore giudizio cautelare promosso per analoghe ragioni dal medesimo ricorrente, il quale, prima del deposito del giudizio cautelare in corso, dopo il rigetto del procedimento, abbia proposto sempre dinanzi al medesimo giudice un secondo giudizio cautelare, avente ad oggetto i medesimi fatti prospettati nel giudizio in corso e le medesime conclusioni.

Tale giudizio, ove instaurato precedentemente a quello in corso, renderebbe il ricorso successivamente proposto inammissibile per carenza di interesse ad agire, per l’evidente violazione del principio del ne bis in idem.

In tale senso si è affermato che nel caso in cui penda il reclamo avverso un’ordinanza di rigetto, o siano in corso i termini per proporlo, i mutamenti delle circostanze o l’allegazione di nuove ragioni di fatto o di diritto sono deducibili nel giudizio di reclamo presso il giudice competente, mentre è inammissibile la riproposizione della domanda cautelare (Trib. Napoli, 28 agosto 2014, in Foro it., 2015, I, 1387).

Conseguentemente, l’inammissibilità della riproposizione della domanda cautelare rigettata nel merito quando è pendente il giudizio di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto, comporta che il comportamento della parte che propone la medesima domanda cautelare a due giudici diversi, o che ripropone la domanda cautelare ad un giudice diverso da quello competente per il giudizio di reclamo, integra un’esercizio abusivo dello strumento processuale ex art. 96, comma 3, c.p.c. (Trib. Milano, 12 marzo 2016, in www.eclegal.it).

In sintesi, è sempre possibile chiedere, attraverso un giudizio ordinario di cognizione, una pronuncia di accertamento pieno e definitivo in ordine all’insussistenza del diritto di cui in sede cautelare è stato affermato il fumus boni iuris ed anche in ordine all’inesistenza del danno ravvisato in sede cautelare solo in termini di pericolo (Cass. civ., sez. I, 3 agosto 2023, n. 23705).

Ciò che, invece, il Tribunale non ha ritenuto possibile sindacare nuovamente, nel giudizio di cognizione, è la sussistenza dei presupposti per la concessione della misura cautelare fumus boni iuris e periculum in mora, una volta che il relativo procedimento sia definito in sede di reclamo.

Riferimenti

A. Bonafine, I confini del giudicato cautelare e l’inammissibilità della domanda rigettata nel merito e riproposta, 12 settembre 2019, in www.judicium.it;

G. Ricci, Sulla riproposizione della domanda cautelare e sull’abuso del processo, 11 luglio 2016, in www.eclegal.it;

A. Barletta, La riproposizione della domanda cautelare, Milano, 2008;

S. Recchioni, Il processo cautelare uniforme, in I procedimenti sommari e speciali, II, 1, a cura di

Chiarloni e Consolo, Torino 2005; 

C. Consolo, Sui limiti alla riproposizione della domanda cautelare respinta (il rigore non vale solo per le decisioni di cosiddetto “merito cautelare”), in Giur. it., 1995, 265 e ss.;

G. Tarzia, Rigetto e riproponibilità della domanda cautelare, in Riv. dir. proc., 1988, 332 ss.

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