La rilevanza penale della restituzione al socio dei versamenti effettuati in favore della società fallita

14 Febbraio 2024

La Corte, prendendo le mosse dalla distinzione tra versamenti in conto capitale e finanziamenti a titolo di mutuo, esclude che la restituzione al socio di erogazioni effettuate a favore della società al fine di ripristinare temporanee carenze di liquidità integri il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Massima

In tema di reati fallimentari, il prelievo di somme di denaro a titolo di restituzione dei versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società, mentre il prelievo di somme quale restituzione dei versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all’attenzione della suprema Corte origina dal ricorso presentato dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che ne aveva affermato la responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere disposto e ottenuto la restituzione di finanziamenti già concessi alla società poi fallita.

Tra le censure mosse all’impugnata sentenza i ricorrenti osservavano come i finanziamenti in oggetto fossero stati concessi in favore della società al fine di ripristinare sue temporanee carenze di liquidità dovute alla dilazione dei tempi di incasso dei ricavi, sì che tali finanziamenti sarebbero stati eseguiti non in conto capitale, con l’ulteriore conseguenza dell’insussistenza del reato contestato, eventualmente da riqualificarsi in termini di bancarotta preferenziale.

Tale censura era ritenuta fondata dalla Corte di Cassazione la quale, nell’osservare come in effetti i fatti contestati integrassero il meno grave reato di bancarotta preferenziale, annullava senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione.

La questione

Il tema in causa concerne dunque la nota questione relativa alla rilevanza penale dei casi, non infrequenti, in cui il socio, quale creditore della società poi fallita o sottoposta a liquidazione giudiziale in ragione di finanziamenti a questa concessi, ne ottenga la restituzione.

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte nella sentenza qui annotata muove dalla distinzione, che assume primaria importanza, tra versamenti in conto capitale e finanziamenti a titolo di mutuo.

1. Quanto ai versamenti in conto capitale (o comunque indicati con altra analoga dizione), essi, pur non incrementando immediatamente la misura del capitale sociale, hanno una causa assimilabile a quella del capitale di rischio per cui non danno luogo a crediti esigibili nel  corso della vita della società e possono essere richiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento di quest'ultima e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione.

2. Quanto ai finanziamenti a titolo di mutuo, o che comunque consistono nell'erogazione di capitale di credito, essi rimangono crediti esigibili anche durante la vita della società, il socio conservandone il diritto alla restituzione.

La Corte di Cassazione, richiamando i principi statuiti dalla giurisprudenza delle proprie sezioni civili, prosegue ricordando i criteri in ragione dei quali operare la distinzione tra i finanziamenti indicati sub 1) e 2), criteri fondati essenzialmente sull'interpretazione della volontà delle parti. Più in particolare, la natura dei versamenti effettuati dai soci in favore della società va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui si mostra diretto e dagli interessi ad esso sottesi e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto in bilancio, la cui portata può comunque risultare determinante, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà negoziale, in considerazione della sottoposizione del bilancio all'approvazione dei soci (cfr. Cass. pen., 8 giugno 2018, n. 15035).

Poste queste premesse, osserva la S. Corte come, nel caso al vaglio, i denari fossero stati versati a più riprese nelle casse della società quali finanziamenti a breve, finalizzati a fronteggiare le carenze di liquidità della fallita e i pagamenti dei fornitori in occasione di fisiologici ritardi nella riscossione dei crediti verso i clienti, con la conseguenza che detti finanziamenti non risultavano assimilabili a conferimenti di capitale di rischio.

Appare dunque escluso, conclude la Cassazione, come la restituzione dei finanziamenti in oggetto, sostanziandosi in crediti comunque esigibili in favore del socio erogante, integri il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, residuando tuttavia la rilevanza penale della condotta in termini di bancarotta preferenziale (in senso analogo cfr. Cass. pen., 21 giugno 2021, n. 32930, la cui massima ufficiale è quella riportata in apertura della presente nota), qualora evidentemente ne ricorrano tutti i presupposti, come in effetti accaduto. Le restituzioni in favore dei soci erano infatti avvenute quando ormai già si erano verificati gli eventi che avevano finito per compromettere l'attività della fallita, la cui crisi era ormai conclamata, così emergendo la volontà degli imputati di favorire se stessi a scapito degli altri creditori della società. 

Osservazioni

Il percorso argomentativo della sentenza qui in commento appare condivisibile ancorché non del tutto esaustivo.

È intanto necessario premettere come la rilevanza penale delle condotte di restituzione al socio dei finanziamenti da questi concessi alla società deve confrontarsi con la natura di reati propri dei delitti di bancarotta, sia fraudolenta che preferenziale, con la conseguenza che il socio non potrà risponderne ex se, ma soltanto:

  1. quale soggetto attivo del reato perché anche amministratore (o liquidatore) della società, come risulta accaduto nel caso al vaglio, contestandosi agli imputati di avere disposto la restituzione dei finanziamenti dagli stessi concessi;
  2.  quale extraneus, per avere agito in concorso con l'amministratore o liquidatore che abbia disposto detta restituzione.

Il pagamento di un credito che non sia effettivo nell'an, che appaia indeterminato nel quantum o che comunque sia inesigibile costituisce diminuzione indebita del patrimonio dell'imprenditore fallito o sottoposto a liquidazione giudiziale, cui evidentemente consegue un nocumento alle ragioni creditorie giacché detto patrimonio ne costituisce garanzia secondo il principio generale di cui all'art. 2740 c.c.; tale condotta, conseguentemente, integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1), l. fall. e 322, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza).

Tale reato è dunque perfezionato, come correttamente ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza qui annotata, in ipotesi di restituzione al socio (salvo che la società si sciolga e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione) di versamenti in conto capitale e di versamenti in conto futuro aumento di capitale o comunque di finanziamenti di questa natura, comunque denominati, giacché essi non danno luogo a crediti esigibili, salvo, si ripete, per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione.

Quanto ai veri e propri conferimenti, i quali senz'altro costituiscono capitale di rischio, si ricorda come la loro indebita restituzione integri il reato di cui all'art. 2626 c.c., rubricato per l'appunto “Indebita restituzione dei conferimenti”, il quale costituisce una delle norme presupposto del delitto di bancarotta societaria ai sensi dell'art. 223, comma 2, n. 1), l. fall. (ora art. 329, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 14/2019), con l'ulteriore conseguenza che, qualora tale restituzione abbia cagionato o aggravato il dissesto della società poi fallita (o sottoposta a liquidazione giudiziale), sarà configurabile quest'ultimo reato e non già quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il reato di bancarotta societaria da ultimo citato non si configura invece in ipotesi di indebita restituzione dei versamenti in conto capitale (che, come detto, dà luogo a bancarotta fraudolenta per distrazione), in quanto essi, confluendo in un'apposita riserva, non incrementano immediatamente il capitale sociale e, diversamente dai conferimenti, non attribuiscono alle somme che ne formano oggetto lo statuto penalistico proprio del capitale sociale (così Cass. pen., 1° febbraio 2019, n. 8431).

A conclusioni diverse deve giungersi in ipotesi di restituzione ai soci di finanziamenti costituiti da capitale di credito , poiché, sempre come condivisibilmente sostenuto dalla Cassazione, essi danno luogo a crediti comunque esigibili ed i loro rimborsi contribuiscono pur sempre a diminuire il passivo fallimentare, residuando il rischio, tuttavia, che determinino una lesione della par condicio creditorum.

I rimborsi in argomento ben possono, allora, integrare il reato di bancarotta preferenziale (disciplinato dagli artt. 216, comma 3, l. fall. e 322, comma 3, d.lgs. n. 14/2019) allorché sussista in concreto la lesione della citata par condicio creditorum ed il soggetto agente sia animato dall'elemento soggettivo del dolo specifico costituito dallo scopo di favorire uno o più creditori a danno degli altri.

Né assume rilievo, al fine di eccettuare la rilevanza penale della condotta, la stipulazione tra le parti di negozi aventi ad oggetto la subordinazione della concessione del finanziamento alla pattuizione di una sua immediata restituzione una volta cessata la situazione di emergenza, in quanto tali pattuizioni sono ritenute nulle ai sensi dell'art. 1418 c.c. perché volte a far ottenere al socio la restituzione della somma prestata prima ed a danno degli altri creditori, sebbene il credito del socio non sia munito di alcun titolo di prelazione (cosi Cass., 24 maggio 2023, n. 26250).

La sentenza qui annotata, in tema di restituzione al socio del capitale di credito, si arresta alla conclusione della possibile rilevanza di tali condotte a titolo di bancarotta preferenziale ed è qui che se ne coglie la non esaustività, l'analisi della suprema Corte non estendendosi alle ipotesi (evidentemente estranee ai motivi di ricorso) in cui il finanziamento sia stato concesso in situazione di squilibrio patrimoniale; in simili casi, infatti, sostenere che la restituzione del capitale, pur di credito, equivale a  rimborsare un credito esigibile non appare cogliere nel segno.

In tema di società a responsabilità limitata e di gruppi di società, invero, vige il principio secondo cui il rimborso ai soci dei finanziamenti, in qualsiasi forma effettuati, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori allorché siano stati concessi in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento (cfr. artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.).

La ratio di tali disposizioni (peraltro estensibili anche alle altre società di capitali “chiuse”, ossia, analogamente a quanto accade per quelle a responsabilità limitata, con base societaria ristretta, con soci partecipi all'attività economica e comunque coinvolti nella sua gestione; così cfr. Cass. pen., 20 giugno 2018, n. 16291) è quella di evitare che la società rimanga sottocapitalizzata e quindi si finanzi, a vantaggio del socio ed in danno degli altri creditori, non con capitale di rischio, come al contrario avrebbe dovuto accadere, bensì con capitale di credito. In caso di insinuazione allo stato passivo, quindi, il credito derivante dal finanziamento alla società fallita in qualunque forma effettuato dal socio in una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento ai sensi dell'art. 2467 c.c. va ammesso al concorso in via postergata, non essendo equiparabile ad un credito chirografario (Cass. pen., 31 luglio 2019, n. 20649).

La postergazione in argomento, che assume quindi carattere antielusivo, non determina tuttavia una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma, pur incidendo sull'ordine di soddisfazione dei crediti, genera una condizione di temporanea inesigibilità del credito, anche qualora scaduto ed indipendentemente dalla misura della quota del socio finanziatore (in questi termini cfr. Cass. pen., 31 gennaio 2019, n. 3017, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 2019, II, 531 con nota di Mager, In tema di ambito di applicazione dell'art. 2467 del codice civile ed in Giur. Comm., 2020, II, 54 con nota di Scano, Il perimetro oggettivo dell'art. 2467 c.c.).

Ne deriva come l'organo amministrativo debba rifiutare la restituzione del finanziamento fino a quando non siano venute meno le condizioni di squilibrio di cui all'art. 2467 c.c., tra l'altro essendo suo compito, mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, rilevare l'esistenza di situazioni di crisi (cfr. Cass., 15 maggio 2019, n. 12994 in Il Fall., 2020, 48 con nota di D'Aiello, Finanziamenti anomali dei soci: postergazione legale e concorso dei creditori, nella cui motivazione si afferma ancora una volta come la postergazione costituisca condizione di inesigibilità legale e temporanea del credito).

Si delinea anche un parallelo (colto da Cass. pen., 31 gennaio 2019, n. 3017, cit.) tra simili situazioni di violazione dei principi di corretto finanziamento ed il divieto di ricorso abusivo al credito sanzionato dagli artt. 218 l. fall. e 325 d.lgs. n. 14/2019 ed invero (anche) tali norme intendono scongiurare che siano assunte (ulteriori) obbligazioni in situazione di dissesto, col pericolo per tutto il ceto creditorio di indebito aumento del quantum del passivo costituito da debiti che non siano stati originati da erogazione di capitale di rischio; soltanto i conferimenti o i versamenti di quest'ultima natura, infatti, eccettuano i pericoli, ulteriori, di sottocapitalizzazione della società e di indebito trasferimento del rischio d'impresa dal socio ai creditori estranei alla società o comunque alla sua compagine sociale.

Dunque, qualora si rientri nell'ambito di operatività degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., la restituzione al socio del finanziamento di capitale in spregio a quanto in essi statuito appare integrare non già il reato di bancarotta preferenziale bensì quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale, trattandosi del pagamento di un credito inesigibile.

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