Disciplina dei limiti temporali per l'acquisizione di beni sopravvenuti alla procedura di liquidazione controllata
19 Febbraio 2024
Massima In presenza di debiti da adempiere nell'ambito della procedura concorsuale, il termine triennale correlato all'esdebitazione finisce per operare – diversamente da quanto assumono i giudici rimettenti – non solo quale termine massimo, ma anche quale termine minimo di apprensione dei beni sopravvenuti del debitore. La mancata previsione di un termine fisso non va integrata dal riferimento al tempo strettamente necessario alla copertura delle spese della procedura […] Rientra nella discrezionalità del legislatore sostituire un termine “fisso” plasmato sulle concrete esigenze che emergono, nella singola procedura, a tutela dei creditori. Il caso Il Tribunale di Arezzo, con quattro ordinanze riferite ad altrettanti procedimenti di liquidazione controllata del sovraindebitato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 142, comma 2 c.c.i. per presunta violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Stante l'identità dell'oggetto delle questioni e la coincidenza delle ragioni di illegittimità costituzionale, la Corte ha ritenuto di riunire i giudizi. Il Tribunale ha riferito che, nell'ambito delle procedure di liquidazione controllata, venivano sottoposti al suo esame i relativi programmi di liquidazione in cui si stabiliva l'acquisizione alle procedure di beni sopravvenuti all'apertura delle stesse (quali gli introiti derivanti dall'esecuzione immobiliare e le quote di retribuzione mensile dei debitori) in virtù dell'applicabilità, nell'ambito delle predette procedure, di quanto disposto dall'art. 142, comma 2 c.c.i., per la liquidazione giudiziale. I giudici a quibus hanno osservato che tale previsione normativa non consente di individuare un limite temporale minimo di apprensione dei redditi dei debitori sovraindebitati, lamentando che il legislatore del codice della crisi non ha previsto, per la liquidazione controllata, un termine per l'acquisizione dei beni sopravvenuti, al contrario di quanto disponeva l'art. 14-ndecies l. n. 3/2012. Secondo i rimettenti, proprio l'assenza nell'art. 142, comma 2 c.c.i. di una durata minima – ritenendo ricostruibile in via ermeneutica un limite temporale massimo – determina una violazione rispettivamente degli artt. 3 e 24 Cost.: da un lato, si determinerebbe, infatti, una disparità di trattamento dei creditori poiché le procedure di liquidazione del sovraindebitato aperte prima dell'entrata del vigore del codice della crisi opera l'art. 14-undecies l. n. 3/2012 che contiene in quattro anni la durata di acquisizione dei beni sopravvenuti all'apertura della procedura di liquidazione; dall'altro, i debitori potrebbero sottrarsi all'esecuzione presso terzi posta in essere dai relativi creditori con conseguente lesione del diritto di agire di quest'ultimi. In conclusione, secondo il Tribunale, risulterebbe necessaria una pronuncia additiva della Corte ispirata alla disciplina indicata quale tertium comparationis, ossia l'art. 14-undecies l. n. 3/2012, con lo scopo di stabilire la durata del meccanismo acquisitivo dei beni in pendenza della procedura. La questione Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi circa la legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 142, comma 2 c.c.i., in quanto applicabile alla liquidazione controllata del sovraindebitato, nella parte in cui non prevede un limite temporale minimo per l'acquisizione dei beni sopravvenuti all'apertura della procedura concorsuale. Le soluzioni giuridiche La Corte Costituzionale ha escluso la fondatezza delle sollevate questioni di legittimità. Ha dapprima ricordato che la norma censurata non è desumibile necessariamente da quanto dispone per la liquidazione giudiziale ma che, invero, può essere dedotta dall'art. 268, comma 4, lett. b) c.c.i. che riconosce, per la liquidazione controllata, la possibilità di acquisire le quote di stipendi e pensioni che eccedono quanto occorre al mantenimento del debitore e della sua famiglia, ossia crediti esigibili nel tempo. Come sottolineato dall'autorevole Collegio, infatti, la possibilità di ascrivere alla liquidazione controllata anche beni sopravvenuti, nei limiti della norma poc'anzi richiamata, appare del tutto conforme al principio di responsabilità patrimoniale del debitore di cui all'art. 2740 c.c. Quanto alla mancata indicazione di una durata minima dell'apprensione dei beni e alla assente riproduzione, nell'ambito della procedura della liquidazione controllata, di una disposizione analoga a quella prevista dall'art. 14-undecies della l. n. 3/2012, la Corte ha osservato che lo stesso presupposto si presenta errato a causa dei passaggi argomentativi indicati dai rimettenti. In primo luogo, è stata rilevata l'infondatezza del ragionamento di questi ultimi secondo cui l'asserita lacuna normativa non possa essere colmata per mezzo di un criterio idoneo a fornire adeguate garanzie ai creditori. Al contrario, invero, in conformità con la ratio della liquidazione controllata, un corretto parametro di riferimento dovrebbe essere commisurato proprio sul soddisfacimento dei crediti concorsuali e di quelli aventi ad oggetto le spese della procedura. Non solo. La Corte ha precisato i necessari ulteriori raccordi con i quali il suddetto parametro dovrebbe coordinarsi: l'istituto della esdebitazione e l'esigenza di porre un limite temporale alla procedura concorsuale. Con riferimento al primo, è stato confermato che la finalità dello stesso è individuata nel “ricollocare utilmente [il debitore] all'interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni” (sentenza n. 245/2019; sentenza n. 65/2022), sacrificando le ragioni creditorie residue per garantire ai debitori meritevoli il c.d. fresh start. Al verificarsi dei requisiti prescritti dalla norma, l'esdebitazione opera ex lege dopo il provvedimento di chiusura della liquidazione controllata e, in ogni caso, decorsi tre anni dalla sua apertura. In tal modo, se è vero che l'esdebitazione individua una durata massima per l'apprensione dei beni sopravvenuti, non può negarsi che l'istituto finisca anche per porsi quale limite minimo: infatti, i liquidatori, nel caso in cui vi siano crediti concorsuali insoddisfatti prima del termine triennale, avranno l'obbligo di prevedere un programma di liquidazione che possa utilizzare tutto il tempo antecedente alla esdebitazione e, quindi, che abbia una durata minima di tre anni. Con riferimento al secondo profilo, la Corte ha proseguito sostenendo che i liquidatori, pur essendo tenuti a realizzare il massimo soddisfacimento dei creditori, devono comunque assicurare la ragionevole durata della procedura, in ossequio a quanto disposto dall'art. 272, comma 3 c.c.i e ciò tenendo in considerazione sia elementi fattuali – quali la complessità della procedura e la possibilità di acquisizione di beni sopravvenuti – sia elementi normativi – tra cui anche quanto normativamente previsto rispetto all'individuazione del termine ragionevole del processo. Infine, non è corretto – proseguono i Giudici – individuare la durata massima della procedura nel tempo strettamente necessario a coprire le spese della stessa. Dimostrata l'erroneità dei passaggi ermeneutici indicati dai rimettenti, i giudici costituzionali hanno chiarito la manifesta infondatezza delle questioni sollevate con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Così la Corte ha sancito che non vi è alcuna lesione delle ragioni creditorie – neanche a causa della mancata previsione nell'art. 142, comma 2, c.c.i. di un termine predeterminato – determinato dall'asserito limite temporale connesso alla copertura delle spese di procedura appunto poiché lo stesso non sussiste affatto. Analogamente, non sussiste disparità di trattamento tra la appena menzionata previsione normativa e quella di cui all'art. 14-undecies della l. n. 3/2012. Ribandendo un principio coniato della stessa Corte, “il criterio di discrimine nella applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento, poiché […] lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (sentenza n. 273/2011 e n. 197/2010). In conclusione, i Giudici – nel ritenere infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 142, comma 2, c.c.i. - hanno stabilito che: a) non è corretto ritenere che la mancata previsione di un termine fisso debba essere integrata dal riferimento al tempo strettamente necessario alla copertura delle spese della procedura; b) spetta alla discrezionalità del legislatore sostituire un termine fisso con uno variabile in grado di adattarsi alle esigenze del caso concreto poste a tutela dei creditori. Osservazioni Com'è noto, l'art. 142 c.c.i. stabilisce che dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale il debitore non solo è privato dell'amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di apertura della procedura – vale a dire, i beni presenti – ma anche di quelli che pervengono successivamente al debitore – ossia, i beni futuri – al netto delle passività sostenute per l'acquisto e la conservazione degli stessi in pendenza della procedura concorsuale. La disposizione è evidente espressione del generale principio di responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Ebbene, con la pronuncia in commento i Giudici costituzionali hanno coerentemente ritenuto che non vi sia necessità di alcun intervento additivo rispetto alla asserita illegittimità costituzionale dell'art. 142, comma 2 c.c.i. poiché l'equilibrio tra le pretese creditorie e le esigenze del debitore risulta essere già garantito dalle attuali disposizioni vigenti, in particolare da quelle dettate per l'esdebitazione. Se è vero che il legislatore riformante non ha inteso prevedere espressamente una durata minima della liquidazione controllata, non può non considerarsi che è lo stesso primo comma dell'art. 282 c.c.i. a stabilire, tra l'altro, che per le procedure di liquidazione controllata, l'esdebitazione operi di diritto a seguito del provvedimento di chiusura o anteriormente, decorsi tre anni dalla sua apertura. A fortiori, dunque, può correttamente desumersi che il liquidatore debba prevedere un programma di liquidazione non solo che abbia anche una durata minima di tre anni ma che sia in grado di assicurare anche una ragionevole durata della procedura, in ossequio a quanto disposto dall'art. 272, comma 3 c.c.i. Riferimenti M. Spadaro, Orientamenti giurisprudenziali di merito – Liquidazione controllata e durata della procedura in Il Fallimento, 2023, 8-9, 717; V. Zanichelli, La durata minima e massima della liquidazione controllata, tra soluzione già applicate e rimessione alla Corte Costituzionale in Il Fallimento, 11, 2023, 1417. |