Smart working per i lavoratori fragili: le attività da remoto devono conformarsi alle esigenze organizzative e produttive dell’azienda
21 Febbraio 2024
Massima L'art. 90 d.l. 34/2020, cit., nel disporre che il lavoratore c.d. fragile ha diritto allo svolgimento del lavoro in modalità agile “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”, attribuisce al giudice una valutazione in ordine all'esercizio del potere organizzativo d'impresa (art. 41 Cost.), nel quadro di un bilanciamento degli interessi in gioco, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza. Sulla base di tale valutazione il giudice rigetta il ricorso promosso da una lavoratrice affetta da condizioni di salute invalidanti, ritenendo che “la decisione datoriale di non concedere il lavoro agile su cinque giorni alla settimana come richiesto dalla ricorrente […] sia stata adottata […] sulla base di ragioni organizzative e produttive concrete e congrue dal punto di vista logico”. Il caso La vicenda attiene a un ricorso d'urgenza (art. 700 c.p.c.) presentato da una lavoratrice affetta da condizioni invalidanti, avverso il mancato rinnovo dell'accordo individuale intercorso con il datore di lavoro (nel frattempo venuto a scadenza), con cui era stato convenuto lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile ex art. 18 e ss. l. n. 81/2017, per cinque giorni alla settimana. La ricorrente evidenzia in atti che l'azienda “adducendo esigenze aziendali e organizzative, le aveva comunicato [allo spirare dell'accordo in essere] la modifica delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, prevedendo il lavoro in [piena] presenza”. Solo a seguito di intervento della ASL competente, cui la lavoratrice aveva fatto ricorso, il datore di lavoro “aveva accordato lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working per due giorni alla settimana, imponendo il lavoro in presenza per i restanti tre giorni”. Il ricorso d'urgenza intende quindi denunciare la illegittimità di tale ultimo assetto che comunque comportava, ad avviso della ricorrente, una violazione dell'art. 2087 c.c., “vieppiù in ragione del fatto che le mansioni di sua pertinenza risultavano perfettamente compatibili con il lavoro in smart working, mansioni espletate negli ultimi tre anni sempre presso il domicilio”. Tanto affermato in termini di fumus boni iuris, la ricorrente evidenziava, quanto a periculum in mora, che lo svolgimento dell'attività lavorativa in presenza (parziale), comportava il sicuro aggravamento delle sue condizioni di salute (al riguardo la lavoratrice documentava frequenti accessi a pronto soccorso ospedaliero, causati, a suo dire, dallo sforzo fisico richiesto dal lavoro in presenza). Veniva quindi chiesto al giudice adito di dichiarare l'illegittimità del nuovo assetto del lavoro in modalità agile e di ordinare al datore di lavoro di (ri)ammettere la ricorrente al lavoro agile per cinque giorni alla settimana (ripristinando quindi le modalità di cui al cessato accordo). A seguito della instaurazione del contraddittorio il quadro di riferimento veniva meglio a precisarsi sulla base delle deduzioni di controparte. La convenuta evidenziava infatti come l'accordo sul lavoro agile a settimana intera non risultasse più compatibile con l'“aumento esponenziale” delle incombenze lavorative della unità produttiva cui apparteneva la lavoratrice; di qui la necessità di un suo rientro in presenza, almeno parziale, secondo modalità di lavoro agile fondate sulla “alternanza”. Alla luce di ciò, l'azienda resistente domandava fosse dichiarata l'infondatezza e inammissibilità del ricorso, rilevando, peraltro, che l'accoglimento della domanda attorea avrebbe comportato violazione della libertà di organizzazione di impresa ex art. 41 Cost., insindacabile da parte dell'autorità giudiziaria quando posta in essere nel rispetto del quadro normativo di riferimento. L'ordinanza del Tribunale – Le questioni giuridiche affrontate Nel rigettare il ricorso d'urgenza presentato dalla lavoratrice, il Giudice effettua un esame della vicenda ad ampio spettro, estendendo l'angolo visuale al di là degli elementi fissati dalle parti nelle rispettive memorie. Ciò alla luce degli interventi legislativi adottati, in deroga alla ordinaria disciplina del lavoro agile, durante l'emergenza pandemica. In particolare, il Giudice richiama e inquadra la vicenda alla luce dell'art. 90 d.l. n. 34/2020, cit. (prorogato sino al 31 marzo 2023 dal d.l. n. 145/2023, conv., con modif., in l. n. 191/2023) che, in deroga alla disciplina ordinaria della materia (art. 18 e ss. l. n. 81/2017), attribuisce ai lavoratori fragili (v. art. 90, comma 1, secondo periodo per la relativa definizione), il diritto al lavoro agile “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”. La verifica di compatibilità, prevista dalla norma, chiama in causa – ad avviso del giudicante, che disconosce sul punto quanto eccepito dal resistente – una valutazione in ordine all'esercizio del potere organizzativo d'impresa (art. 41 cit.), nel quadro di un bilanciamento degli interessi in gioco, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza. È proprio sulla base di tale valutazione, di tale bilanciamento che il giudice rigetta il ricorso, ritenendo che “la decisione di non concedere il lavoro agile su cinque giorni alla settimana come richiesto dalla ricorrente … [sia stata adottata] … sulla base di ragioni organizzative e produttive concrete e congrue dal punto di vista logico”. In chiusura, l'ordinanza evidenzia, quale aspetto non privo di rilievo, come l'azienda non abbia in verità negato alla lavoratrice la prestazione in modalità agile, ma l'abbia concessa parzialmente in un contesto di contemperamento delle reciproche esigenze delle parti. Evidenzia inoltre che la gravità/aggravamento della patologia sofferta dalla lavoratrice, pur facendola rientrare nella categoria dei lavoratori fragili, non le “attribuisce […] la possibilità di richiedere un maggior accesso al lavoro agile, attenendo tali aspetti, nell'attuale quadro normativo, al differente profilo della idoneità alla prestazione lavorativa e dell'impossibilità della stessa”. Osservazioni In termini generali, anche questa decisione è indicativa delle dinamiche messesi in moto, attorno al lavoro agile, a seguito dell'esperienza pandemica, che ha comportato un'applicazione, se non generalizzata, davvero molto vasta dell'istituto, anche grazie ai mezzi offerti dalle sempre più sofisticate tecnologie informatiche. Ciò ha permesso una sorta di sperimentazione in vivo e in vitro che ha funto da acceleratore rispetto a dinamiche già presenti, ma a livello latente; sperimentazione dalla quale è risultata pienamente avvalorata un'ampia possibilità di ricorso - soprattutto in determinati settori economici - a rapporti di lavoro dipendente svincolati dagli usuali limiti spazio-temporali. Da qui il prefigurarsi di nuovi scenari per il diritto del lavoro complessivamente inteso, i quali formano oggetto di interrogativi e riflessioni a tutti i livelli, coinvolgendo forze politiche e parti sociali, dottrina e giurisprudenza, esperti di altre scienze sociali. In questa sede, ovviamente, ci si limita a qualche osservazione sulle questioni emerse in corso di giudizio, attinenti, come detto, all'ampiezza del diritto al lavoro agile dei lavoratori affetti da patologie accertate ai sensi dell'art. 90 cit. Invero, condizioni di salute invalidanti e lavoro agile sembra binomio, in prospettiva (de iure condendo), fecondo, come anche testimoniato dalla recente normativa sulle buone prassi per i lavoratori disabili, fra le quali sono ricomprese “accomodamenti ragionevoli delle postazioni di lavoro, anche attraverso il lavoro agile” (v. D.m. 11 marzo 2023 e D.m. 11 settembre 2023). Tornando all'ordinanza del Tribunale di Trieste, si deve anzitutto rilevare la stessa dia testimonianza di una pratica diffusa negli anni della pandemia, quella che ha portato ad applicare l'art. 90 cit. in termini “totalizzanti”, legittimanti la piena astensione dal lavoro in presenza. Ciò, se ha avuto un senso nelle fasi culminanti dell'emergenza epidemiologica, può apparire invece contraddittorio, incoerente per le fasi successive, alla luce dell'art. 18 e ss. l. n. 81/2017, normativa generale di disciplina dell'istituto. Ai sensi di tale norma “la prestazione lavorativa [in modalità agile] viene eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa”, con la conseguenza, evidente, che l'attività lavorativa svolta tutta e continuativamente presso il domicilio del lavoratore è altra cosa dal lavoro agile (telelavoro, lavoro a domicilio, lavoro autonomo). Di ciò anche l'ordinanza in commento risulta ovviamente consapevole – e dà incidentalmente atto – laddove osserva “doversi evidenziare che la prestazione di lavoro agile non è stata negata, ma concessa parzialmente”. Venendo poi alla condizionalità del diritto al lavoro agile istituita dall'art. 90 cit. (in termini di compatibilità “con le caratteristiche della prestazione”), si nutre qualche perplessità in merito alla congruenza di una sua lettura alla luce del principio di libertà d'impresa ex art. 41 Cost. Stabilire se le caratteristiche di una prestazione lavorativa siano compatibili o meno con il lavoro agile non appare verifica che si traduce in sindacato sul potere organizzativo imprenditoriale (estremizzando, mentre compiti di data entry saranno, in genere, palesemente coerenti con il lavoro agile, non lo saranno compiti di facchinaggio). Si è, cioè, di fronte a mere verifiche fattuali anche quando ne sia chiesta una verifica giudiziale (quando il giudice decide sulla base delle allegazioni e prove fornite dalle parti, eventualmente avvalendosi di una ctu). Si interpreterebbe, invece, la norma nel senso che essa legittimi una verifica giudiziale dell'esercizio del potere organizzativo d'impresa, se si ritenesse che il giudice può valutare e sindacare il quantum di lavoro agile concesso in relazione al grado di fragilità dell'interessato. Ma questa non è la posizione espressa dal Tribunale che, come già evidenziato, esclude l'art. 90 abbia attribuito al lavoratore la possibilità di richiedere un maggior accesso al lavoro agile, “attenendo tali aspetti, nell'attuale quadro normativo, al differente profilo della idoneità alla prestazione lavorativa e dell'impossibilità della stessa”. Infine, si tralasciano qui valutazioni in ordine al collegamento, ipotizzato dalla ricorrente, fra lavoro agile e art. 2087 c.c., il quale, nel quadro della norma de qua, sembra privo di fondamento. |