Perfezionamento della notifica a mezzo PEC non andata a buon fine per la casella piena del destinatario
26 Febbraio 2024
Massima È rimessa alle Sezioni Unite della Suprema Corte la questione relativa al perfezionamento della notifica di un atto al difensore non andata a buon fine in ragione della sua casella PEC ormai piena. Il caso All'esito dei due gradi di giudizio di opposizione all'esecuzione che li avevano visti soccombenti, i creditori procedenti proponevano ricorso per Cassazione per profili attinenti alla loro legittimazione attiva e agli interessi moratori applicabili. Tuttavia, essi notificavano il ricorso nel rispetto del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c.; nel costituirsi, il resistente eccepiva di aver già notificato l'impugnata sentenza d'appello al fine del decorso del temine breve ex artt. 325 e 326 c.p.c., mentre i ricorrenti, da par loro, contro-deducevano che detta notifica non si fosse viceversa mai perfezionata poiché effettuata presso la casella PEC del difensore costituito la quale era tuttavia piena al momento della notifica stessa. La questione La Suprema Corte, pertanto, ha dovuto prendere in considerazione i contrapposti orientamenti finora formatisi in ordine al perfezionamento della notifica a mezzo PEC non andata a buon fine per la casella piena del destinatario: da un lato, infatti, era stato in passato affermato che nell'ipotesi de qua il procedimento notificatorio debba effettuarsi secondo le modalità di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c.; dall'altro, invece, erano stati ricondotti alla notifica effettuata nei modi anzidetti effetti sostanzialmente analoghi a quelli della notifica perfettamente eseguita e perfezionata, stante l'inescusabile colpa del destinatario che non ha provveduto a svuotare per tempo la propria casella di posta certificata. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte ha affermato l’esigenza di sottoporre ad una netta revisione entrambi gli orientamenti, poiché ritenuti non correttamente rispondenti ai fondamentali principî informatori della materia, ossia quelli di auto-responsabilità e di affidamento delle parti; essa, pertanto, ha ritenuto opportuno pronunciare un’ordinanza interlocutoria al fine di sottoporre la questione controversa alle Sezioni Unite, le quali dovranno quindi provvedere a dirimerla. Osservazioni L'ordinanza in commento, nel rimettere la decisione alle Sezioni Unite, esplicitamente offre una possibile soluzione ai contrasti riscontrati nelle precedenti statuizioni di legittimità in ordine al perfezionamento della notifica a mezzo PEC laddove la relativa casella del destinatario risulti satura, soprattutto individuando precisi spunti per il rinvenimento, in via ermeneutica, di un principio “minimo” sempre valido a prescindere dalla contestuale elezione di un domicilio fisico ad opera del soggetto notificato. In proposito, in seno alla Suprema Corte era emerso un orientamento, inaugurato da Cass. 40758/2021, in virtù del quale, in caso di notifica di un atto processuale non andata a buon fine in ragione della casella piena del destinatario, occorresse verificare se quest'ultimo avesse nel corso del giudizio provveduto all'elezione di un domicilio fisico: in tale ipotesi – poi più generalmente estesa a tutte le altre fattispecie in cui il destinatario risulti comunque reperibile in una sua residenza o domicilio (cfr. la stessa Cass. n. 40758/2021, ma anche Cass. civ. n. 15564/2022 e Cass. civ. n. 29851/2019) –, infatti, il notificante rimarrebbe comunque onerato a riprendere il procedimento notificatorio proprio presso detto domicilio fisico; quest'ultimo, inoltre, dovrebbe provvedere in tal senso in un tempo ragionevolmente contenuto, pari – secondo l'insegnamento di Cass. civ., sez. un., n. 14594/2016 – alla metà del termine concretamente applicabile. Sennonché, il Collegio decisore dell'ordinanza in commento sembra voler maggiormente aderire all'orientamento più rigoroso espresso dalla Suprema Corte stessa (cfr. Cass. civ. n. 24110/2021, Cass. civ. n. 3164/2020 e Cass. civ. n. 12451/2018), la quale in altri casi ha statuito che la notifica deve intendersi sic et simpliciter perfezionatasi al momento della trasmissione al mittente della ricevuta di accettazione, a prescindere quindi della conoscenza e/o della conoscibilità del contenuto della notifica da parte del destinatario. Tale approdo ermeneutico si giustificherebbe, in primo luogo, con l'applicazione analogica degli artt. 16, comma del d.l. n. 179/2012 e 149-bis, comma 3, c.p.c. relativi alle notifiche a mezzo PEC nei confronti dei soggetti ai quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un apposito indirizzo ad opera, rispettivamente, della cancelleria e dell'ufficiale giudiziario: la prima norma, infatti, afferma che in caso di mancata consegna del messaggio «per cause imputabili al destinatario» la notifica debba effettuarsi mediante deposito in cancelleria, mentre la seconda individua il perfezionamento della notifica «nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario»; inoltre, in favore di un'interpretazione così restrittiva deporrebbe anche l'art. 20 del d.m. 40/2011, il quale instituisce un onere di controllo diligente della propria casella PEC da parte del difensore, anche in ordine agli avvisi automatici che gli indichino l'eventuale indisponibilità di spazio di archiviazione a disposizione. Sennonché, la Corte di Cassazione, pur riprendendo gli approdi a cui essa era in precedenza giunta in virtù dell'orientamento da ultimo citato, ha ora fatto proprie le critiche espresse in seno alla giurisprudenza di legittimità più “permissiva” in ordine all'inapplicabilità delle anzidette disposizioni normative, in quanto riferite a fattispecie che non si attagliano al caso preso in esame, o comunque alla loro mancanza di decisività; inoltre, essa ha giustamente rimarcato la differenza della questione in esame rispetto all'ipotesi disciplinata dall'art. 138, comma 2 c.p.c., in cui il destinatario viceversa a tutti gli effetti dolosamente rifiuta la ricezione dell'atto notificato: nel caso di casella PEC piena, infatti, a quest'ultimo può esser solamente rimproverata una negligenza nella tenuta della casella stessa. Pertanto, nell'ordinanza interlocutoria in commento la Suprema Corte ha esplicitamente seguito un diverso iter interpretativo fondato sui principî di auto-responsabilità ed affidamento delle parti, i quali troverebbero applicazione anche nella materia delle notifiche perfezionatesi a mezzo PEC. La fonte di detti principî andrebbe ricercata, in primo luogo, nell'art. 3-bis, comma 1-quater c.a.d., il quale prescrive, in capo ai professionisti tenuti all'iscrizione in albi ed elenchi, di fare un uso diligente del proprio domicilio digitale: tale disposizione, difatti, si tradurrebbe in un onere di solerte organizzazione della casella PEC; di conseguenza, l'inottemperante condotta colposamente tenuta dal destinatario della notificazione dovrebbe comportare l'applicazione dell'art. 3-ter della l. n. 53/1994, introdotto dalla l. n. 87/2023. La disposizione da ultimo citata – seppur non applicabile ratione temporis alla fattispecie affrontata in sentenza –, difatti, prende le mosse dalla disciplina speciale contenuta agli artt. 15, comma 3, l. fall. e 40, 6°, 7° e comma 8 CCII, i quali in via generale prevedono che la notificazione debba farsi a cura del ricorrente nelle modalità ordinarie laddove non sia per qualsiasi ragione possibile procedere in via telematica; riprendendo il contenuto della seconda delle norme citate, che fa altresì riferimento all'impossibilità di procedere alla notificazione a mezzo PEC per «causa imputabile al destinatario», il legislatore, nell'introdurre l'anzidetto art. 3-ter, comma 2 della l. n. 53/1994, ha tuttavia previsto un meccanismo in base al quale la notifica al professionista o all'impresa iscritti al registro INIPEC che abbiano colpevolmente tenuto la propria casella PEC piena deve ad ogni buon conto intendersi perfezionata dopo 10 giorni dal caricamento della stessa sulla piattaforma di cui all'art. 359 CCII, mentre per tutti gli altri soggetti dovrà procedersi secondo le modalità ordinarie di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c. In definitiva, a fronte del contrasto giurisprudenziale registratosi nella materia de qua, la Suprema Corte ha inteso ipotizzarne un superamento che, pur giungendo a conclusioni in parte analoghe a offerte dal più restrittivo dei due orientamenti analizzati, sia in effetti più coerente con i principî – riferibili soprattutto a professionisti ed imprese tenuti a dotarsi di una casella PEC – di auto-responsabilità e di affidamento, ora esplicitati dal legislatore all'art. 3-bis, comma 1-quater c.a.d., ma che dovrebbero più in generale trovare applicazione anche per le controversie a cui detta norma non può attagliarsi per ragioni di carattere temporale; spetta ora alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sciogliere questo nodo interpretativo valutando una delle tre soluzioni precedentemente ipotizzate oppure – perché no? – tentando di delineare una soluzione completamente nuova e originale. Riferimenti Mancuso, Le notificazioni in proprio a mezzo PEC, in Riv. dir. proc., 2022, II, pp. 584-610; Sicchiero, Il domicilio digitale, in Contr. ed Impr., 2022, IV, pp. 1006-1049. |