Il valore distribuibile nel concordato in continuità: APR, RPR e libero arbitrio del debitore

27 Febbraio 2024

L'articolo affronta e chiarisce alcuni temi rilevanti per la definizione delle regole distributive nei concordati in continuità, ove notoriamente si applica la Absolute Priority Rule (APR) sul valore di liquidazione e la Relative Priority Rule (RPR) sull’eccedenza rispetto ad esso.

Premessa

È noto che nel concordato in continuità aziendale “il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore” (art. 84, comma 6, CCII).

Si tratta di regola distributiva generale che articola il valore prodotto nella procedura in due tratti: uno, quello pari al risultato della liquidazione, soggetto al criterio della priorità assoluta (APR) e un altro, quello pari all'eccedenza rispetto al primo, soggetto al criterio della priorità relativa (RPR).

Questa regola nasconde molte questioni interpretative, che in questo contributo cercheremo in parte di indagare.

Due dati a confronto del tutto disomogenei

Un aspetto da cogliere immediatamente, in quanto attinente alla logica di fondo di tutta la riflessione, è che il valore di liquidazione e quello eccedente, per quanto siano espressi in una medesima unità di misura – la moneta legale – sono frutto di scenari valutativi assai eterogenei.

Il valore di liquidazione, infatti, postula la vendita dell’attivo, cioè la sua trasformazione in numerario. 

Il valore eccedente, invece, non è altro che il differenziale tra il suddetto valore di liquidazione e un valore ulteriore, di natura e origine tutt’affatto differente, che potremmo chiamare il “valore riservato ai creditori nella continuità” o, con una crasi, il “valore della continuità”. Questa eccedenza non è insomma un valore in sé, frutto di un ente concettuale autonomo; non è altro che un dato derivato, la mera differenza algebrica tra il valore riservato ai creditori nella continuità e il valore di liquidazione.

Diventa così decisivo capire come si determinano i due valori in gioco: quello di liquidazione e quello della continuità.

Il valore di liquidazione

Come detto, il valore di liquidazione è il dato che si ottiene ipotizzando la vendita di tutto il patrimonio del debitore.  Si tratta di ipotesi del tutto teorica e controfattuale perché, se il concordato è in continuità diretta, questa liquidazione non vi sarà, o vi sarà solo per elementi non strategici di questo patrimonio (vedremo fra poco che la questione si pone in modo diverso nel concordato in continuità indiretta).

Questo esercizio va svolto, temporalmente, ancorando la stima alla data di apertura della procedura

La vendita immaginata dovrà avere ad oggetto, in prima ipotesi, l'azienda, e solo in subordine i beni presi in blocco o singolarmente, qualora sia data adeguata dimostrazione che dalla loro cessione possa venire “maggiore soddisfazione dei creditori” – secondo il linguaggio dell'art. 214, comma 1, CCII (e in altro contributo su questo portale spiegavamo che il concetto di soddisfazione deve incorporare non solo il quantum monetario pagato ai creditori, ma anche le utilità specificamente individuate ed economicamente valutabili che non hanno una immediata veste monetaria).

La valutazione dell'esito della liquidazione andrà effettuata facendo riferimento alla configurazione del valore di mercato e a peculiari “attributi di valore” (si veda per una prima analisi delle questioni poste dalla valutazione di imprese in crisi: M. Bini, Le valutazioni nelle crisi e nelle situazioni di insolvenza delle imprese, in La Valutazione delle Aziende, 2019, I, 33 ss.), quali la vendita forzata e accelerata (l'art. 231, comma 5, CCII, pone il termine di 8 mesi per procedere con il primo esperimento di vendita).  Ciò non potrà che indurre a prezzare adeguatamente i rischi che un'azienda insolvente o un asset incorporato in essa pone e che si traducono in tassi interni di rendimento attesi sul capitale investito (IRR) nettamente superiori a quelli di aziende in funzionamento o di asset non distressed.

Il valore della continuità

Nel concordato in continuità il valore che può essere messo a disposizione dei creditori concorsuali si determina invece considerando i flussi di cassa generati dall'impresa in funzionamento, per come essi sono rappresentati nel piano.

Tali flussi di cassa saranno, per lo più, quelli registrabili nell'orizzonte esplicito di piano, cioè il periodo di tempo entro cui si prevede la completa estinzione della debitoria concorsuale.  Vi possono essere debiti concorsuali il cui pagamento è previsto in parte residua oltre l'orizzonte esplicito di piano, periodo che normalmente resta conchiuso nel termine di cinque anni.  Si tratta spesso di debiti fiscali o contributivi, per i quali le Autorità competenti possono concedere rateazioni molto estese nel tempo.  Le “code” di questi debiti vengono inserite nella parte di piano che si estende oltre la fase esplicita, nella cosiddetta steady phase, quando cioè l'impresa abbia superato la ristrutturazione e raggiunto un buon livello di produzione di flussi di cassa e un adeguato livello di patrimonializzazione.

La gestione produce tipicamente tre tipologie di flussi di cassa: da attività operative, da attività di investimento e da attività di finanziamento.

Lo strumento per rappresentare la produzione di cassa nel periodo assunto a riferimento – sarà l'anno, ma spesso il semestre – è il rendiconto finanziario di liquidità, che dà conto della capacità delle diverse aree gestionali di produrre (o assorbire) cassa. 

Il saldo di tali dinamiche è il surplus (o il fabbisogno) finanziario, anche detto free cash flow, che nelle imprese in bonis varrà destinato al realizzo di investimenti discrezionali, al pagamento di debiti non scaduti e alla distribuzione a favore dei portatori di strumenti di equity o quasi equity; invece, nelle imprese che stanno eseguendo un concordato in continuità diretta tale somma dovrà essere prioritariamente destinata al soddisfacimento dei creditori concorsuali.

Si noti bene che non vi è una coincidenza necessaria tra surplus finanziario e quantum destinato ai creditori concorsuali.  Il surplus finanziario indica il massimo distribuibile, ma la proposta formulata ai creditori, e da essi approvata, potrebbe prevedere che una parte di questo surplus resti a disposizione dell'impresa per rafforzarne la capacità finanziaria o possa, perché no, essere destinata ai soci (pensiamo ai portatori di risorse esterne che pretendono una remunerazione anche in corso di piano). Per il vero, nulla impedisce di pensare che una parte di questo surplus sia destinabile ai soci anteriori alla presentazione della domanda di cui all'art. 120-quater, commi 1 e 2, CCII.  Anzi, il meccanismo illustrato da tale norma pare proprio concepito a calmierare le pretese di tali soci, in confronto a quanto è destinato ai creditori.

Quindi quello che qui abbiamo chiamato valore della continuità non è altro che quanto il debitore propone di distribuire ai creditori concorsuali attingendo dai flussi di cassa libera che si realizzano nella gestione, ivi inclusi gli apporti di mezzi freschi dall'esterno dell'impresa.

Il valore della continuità dunque è una quota, che può essere anche pari all'intero della produzione di cassa realizzata, da tutte le fonti disponibili, nell'orizzonte di piano (niente vieta di ipotizzare l'erogazione di linee di credito da parte di banche o altre istituzioni finanziarie volte a ripagare i creditori concorsuali, linee che potrebbero scadere oltre l'orizzonte di piano, ed essere oggetto di rimborso con i flussi di cassa creati nella gestione successiva).

Il dato si ottiene senza alcuna attualizzazione, perché è una misura astratta e atemporale, della massa di risorse a disposizione dei creditori.  Qui non siamo infatti nel contesto del calcolo di convenienza, in cui è necessario mettere a confronto la soddisfazione che deriverebbe dalla liquidazione giudiziale con quella della continuità, ed è essenziale attualizzare i flussi per comprendere qual è il risultato netto della procedura.  Qui si tratta solo di calcolare il quantum assoluto che venga dalla continuità diretta per poterlo dividere tra parte da distribuire con la APR e parte con la RPR.

Le risorse esterne

Una questione peculiare è posta dall'apporto di risorse esterne da parte di soci o altri contributori – pensiamo ai titolari di strumenti finanziari partecipativi – a titolo di mezzi propri.

Sappiamo – dall'art. 84, comma 4, CCII - che nel concordato liquidatorio queste risorse godono di un regime proprio, che sfugge sia alla regola di responsabilità patrimoniale fissata dall'art. 2740 c.c., che alla regola distributiva, secondo le legittime cause di prelazione, di cui all'art. 2741 c.c.:  ne segue che, in tale concordato, queste risorse sono distribuibili senza seguire né l'APR né la RPR, ma in modo del tutto discrezionale.

Vale ciò anche nel concordato in continuità?

Preso atto del mancato richiamo della norma citata nel contesto delle norme che regolano tale tipo, vi è chi (F. Lamanna, “Valore di liquidazione” e “valori eccedenti” nel concordato preventivo: come calcolarli e distribuirli, in questo Portale, 13 ottobre 2023) autorevolmente ritiene estensibile per analogia la regola in esame anche al concordato in continuità diretta, per modo che in esso, sul piano della distribuzione, si avrebbero tre masse:  quella del valore di liquidazione, soggetta all'APR, quella dell'eccedenza – rectius differenza tra valore della continuità e valore di liquidazione – soggetta alla RPR, e le risorse esterne, soggette alla libera decisione del debitore.

Va ben capito che queste tre masse sono frutto della combinazione tra dati oggettivi e scelte del debitore. 

Facciamo un esempio per capirci.

Nel concordato X avremo:

  • un valore di liquidazione pari a euro dieci milioni;
  • una somma dei free cash flow nell'orizzonte di piano, più la cassa libera disponibile all'omologa, pari a euro quindici milioni;
  • risorse esterne per euro due milioni.

Il debitore propone ai creditori il pagamento di complessivi euro quattordici milioni.

Questa somma è per euro dieci milioni valore della liquidazione e deve seguire la APR.  Il residuo di euro quattro milioni va qualificato dal debitore.  Potrebbe essere considerato tutto come eccedenza della liquidazione e quindi essere soggetto alla RPR.  O potrebbe essere considerato per soli due milioni di euro come eccedenza della liquidazione e per altri due milioni di euro come derivante dall'uso di risorse esterne.  La RPR quindi si applicherebbe solo ai primi due milioni, mentre gli altri due milioni di euro sarebbero liberamente distribuibili.

Certo, data la lacuna legis nessuno può escludere che in sede giurisprudenziale si affermi una posizione opposta, che vuole le risorse esterne assorbite nel valore della continuità e quindi soggette alla RPR.

La peculiarità del concordato in continuità indiretta

Nella continuità indiretta i problemi fin qui esaminati si pongono in modo diverso.

Tale tipo può essere infatti visto come un concordato liquidatorio cui non si applicano, in virtù del favor per la salvezza dell'impresa, le restrizioni di cui all'art. 84, comma 4, CCII: vale a dire l'apporto di risorse esterne per almeno il dieci per cento del valore dell'attivo e il pagamento dei creditori chirografari per almeno il venti per cento del loro ammontare complessivo.

L'accostamento allo schema liquidatorio è rafforzato dal disposto dell'art. 84, comma 8, CCII, che stabilisce, ove il piano preveda la cessione dell'azienda e l'offerente non sia già stato individuato, il dovere per il Tribunale di nominare un liquidatore con applicazione alle vendite (forzate) degli artt. 2919-2929 c.c.

Nel concordato in continuità indiretta, la cui peculiarità è il trasferimento dell'azienda a terzo, contro una qualche forma di corrispettivo, è difficile ipotizzare, in chiave astratta, una differenza tra valore di liquidazione e valore della continuità. 

Se è vero, infatti, che il valore di liquidazione coincide con la miglior stima di quanto ricavabile dalla disposizione forzata del patrimonio aziendale, partendo dall'azienda o dai suoi rami, la circostanza che tale vendita si realizzi e che si formi un prezzo in un processo competitivo ed esecutivo non può che indurci a concludere che il valore del concordato in continuità indiretta sia il valore di liquidazione e non si dia pertanto alcuna eccedenza rispetto a tale ultimo valore.

Ne segue che nel concordato in continuità indiretta non trova generalmente applicazione la RPR, ma solo la APR.

Uniche eccezioni ci paiono nascere da quelle situazioni nelle quali il debitore/venditore partecipa alla creazione di valore che il terzo produce nella gestione dell'azienda.  Tale partecipazione può avvenire in vari modi.  Ad esempio, prevedendo un earn out legato al raggiungimento di certi obiettivi reddituali o finanziari da parte del compratore.  O riservandosi il debitore una quota dell'impresa, attraverso l'emissione a suo favore di strumenti partecipativi al capitale del terzo liquidabili in futuro a condizioni migliori di quelle spuntabili con una vendita immediata.

Questi valori ulteriori o differenziali potranno essere soggetti alla RPR, in quanto eccedenti rispetto al realizzo che si otterrebbe da una vendita forzata e accelerata.  Ma si tratta di fenomeni che deviano rispetto al normotipo, in cui il valore di liquidazione è pari al valore della continuità, senza spazio per alcuna differenza.

Siamo in presenza di un profilo molto delicato, perché la RPR è stata pensata per favorire una distribuzione delle risorse che vada in favore delle classi di minor rango nella prospettiva di migliorare il livello di consenso per la procedura in continuità.  Concludere che, nella normalità, nel concordato in continuità indiretta, non si dia la RPR, significa porre una remora molto grave alla sua probabilità di successo.

L'assenza della categoria dell'eccedenza si riverbera infatti pesantemente sul sistema della ristrutturazione trasversale delineato dall'art. 112, comma 2, CCII. Viene infatti evacuata la previsione della lett. d) seconda parte di tale comma, quella che prevede che il concordato che non abbia visto il consenso della maggioranza delle classi possa comunque essere omologato in presenza del voto favorevole di una classe di creditori pregiudicati dal piano rispetto a quanto potrebbero ricevere applicando la APR anche sull'eccedenza della liquidazione.

In questo quadro, come si colloca il tema delle risorse esterne?  Questo valore va a formare l'eccedenza rispetto al valore di liquidazione, ed è quindi soggetto a RPR, o è invece liberamente distribuibile, secondo quanto previsto per il concordato liquidatorio puro dall'art. 84, comma 2, CCII?  Se si sposa la tesi dell'applicazione analogica di tale regola al caso del concordato in continuità diretta, non si può che essere conseguenziali, e ammettere che tale regola dovrebbe operare, a maggior ragione, nel concordato in continuità indiretta, che come visto, è una sorta di ibrido intermedio.

A meno che non si voglia postulare la facoltà del debitore di qualificare come meglio ritiene le risorse in questione, creando in qualche modo artificialmente le condizioni per l'esistenza della eccedenza rispetto alla liquidazione e così le condizioni per l'operare dell'art. 112, comma 2, lett. d) CCII in ogni suo aspetto.

Conclusioni

Abbiamo provato ad affrontare alcuni temi rilevanti per la definizione delle regole distributive nei concordati in continuità, nei quali, sappiamo, si applica la APR sul valore di liquidazione e la RPR sull'eccedenza rispetto ad esso.

Nel concordato in continuità diretta, il valore eccedente quello di liquidazione altro non è che la differenza tra due valori oggetto di computo con metodiche tutt'affatto diverse: il valore di liquidazione e quello della continuità.  Il primo è la stima del risultato complessivo della vendita forzata e accelerata dell'attivo patrimoniale all'apertura della procedura; il secondo è quella parte dei flussi di cassa liberi prodotti dalla gestione futura che il debitore destina alla soddisfazione dei crediti concorsuali.  Due grandezze assolutamente distinte, accomunate solo dall'essere entrambe tradotte in moneta legale.  L'eccedenza della liquidazione altro non è che la differenza tra esse, e non certo misura di un ente concettuale autonomo.

Nel concordato in continuità indiretta, il valore di liquidazione tende a coincidere con il valore della continuità, perché ivi si realizza un fenomeno di liquidazione del bene/azienda a favore del terzo che dovrà portarne avanti la gestione.  Ne segue che non vi sarà alcuna eccedenza di liquidazione sulla quale applicare la RPR, ma tutto il frutto del concordato andrà soggetto a APR.

Come si collocano le risorse esterne?  Nel concordato liquidatorio esse sono distribuibili liberamente dal debitore, senza i vincoli degli artt. 2740 e 2741 c.c.  Le norme sul concordato in continuità non riproducono questa regola.  Secondo autorevole dottrina, si tratta di lacuna riempibile con l'analogia legis.  Quindi le risorse esterne non contribuirebbero alla formazione dell'eccedenza rispetto alla liquidazione, ma sarebbero una massa a sé, distribuibile a discrezione da parte del debitore.  Questa impostazione favorisce da un lato il debitore, dandogli più libertà di azione nella ricerca del consenso, ma d'altro lato, nei concordati in continuità indiretta, contribuisce alla eliminazione della categoria di eccedenza rispetto alla liquidazione, riducendo le ipotesi di accesso alla ristrutturazione trasversale al caso di voto della maggioranza delle classi di creditori di cui una privilegiata, e facendo venire meno il caso di voto di una sola classe pregiudicata rispetto al trattamento che potrebbe ricevere applicando la APR anche sull'eccedenza di valore rispetto alla liquidazione.  Sempre salvo che non sia nella discrezione del debitore qualificare le risorse esterne come eccedenza e sottoporle alla RPR.

Insomma, un grosso problema, che l'interprete, come spesso succede con questo Codice scritto tanto in fretta, si trova a dover risolvere da solo, e con grave nocumento della certezza del diritto.

Un altro dei – troppi - problemi per cui urge l'intervento del Legislatore.

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