La mera inerzia, prolungata nel tempo, del lavoratore nel far valere un proprio diritto può essere intesa come rinuncia tacita al diritto stesso?

Teresa Zappia
28 Febbraio 2024

Considerato il suo carattere equivoco, l’inerzia del lavoratore non può essere intesa come rinuncia tacita a un diritto vantato nei confronti del datore, né quest’ultimo potrebbe eccepire un ragionevole affidamento in tal senso.

L’inerzia prolungata del lavoratore, il quale solo dopo molto tempo agisca per ottenere le differenze retributive a titolo di maggiorazioni previste dal CCNL e mai corrisposte da parte datoriale, può determinare la perdita della situazione soggettiva in ragione dell’affidamento ingenerato nel debitore-datore?

Anche nell’ambito del rapporto di lavoro affinché la volontà tacita di rinunziare ad un diritto risulti effettiva è necessario che il titolare ponga in essere dei comportamenti concludenti, i quali rivelino una univoca determinazione di non avvalersi del diritto stesso.

Dalla mera inerzia o dal ritardo nell’esercizio del diritto non può dedursi la volontà di rinunciare del titolare, potendo essa essere frutto d’ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, acquisendo rilevanza ai fini dell’eventuale prescrizione estintiva. Ne consegue che il semplice ritardo nell’esercizio del diritto, sebbene imputabile al lavoratore, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, nemmeno nel caso in cui la condotta possa indurre ragionevolmente il debitore-datore a ritenere che il diritto non sarà più esercitato.

Su tale ultimo punto è opportuno precisare che la tolleranza del creditore non può giustificare l’inadempimento, né comportare ex se modificazioni alla disciplina contrattuale, non potendosi presumere da un comportamento equivoco, quale è la mera inerzia, una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posto in essere dall’altro contraente, né un consenso alla modificazione negoziale suddetta.

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