Licenziamento disciplinare del RLS: è nullo in quanto l’attivazione dei protocolli di sicurezza aziendali spetta esclusivamente al datore di lavoro

01 Marzo 2024

Un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza veniva licenziato, a seguito di un procedimento disciplinare, per aver omesso di attivare tempestivamente il protocollo di cui al d.lgs. n. 81/2008, dopo aver assistito al tentativo di suicidio da parte di un dipendente della stessa società. Seppure incontestato che il RLS avesse segnalato l'accaduto con quattro giorni di ritardo, il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, accertava che costui si fosse comunque attivato a suo modo per evitare il peggio per il collega. A nulla, dunque, rilevava la mancata attivazione dei protocolli di sicurezza aziendali da parte del RLS, spettanti, in quanto tali, al solo datore di lavoro. Sulla base di tale assunto, il licenziamento veniva annullato, e la società condannata a reintegrare il RLS nel suo posto di lavoro, oltre al pagamento dell'indennità risarcitoria e contributi.

Massima

Quanto alla mancata attivazione dei protocolli in tema di sicurezza sul lavoro, deve essere sin da subito chiarito che la responsabilità in ordine a tale peculiare aspetto ricade esclusivamente sul datore di lavoro, eccezion fatta nei casi di specifica delega, nella fattispecie non dedotta e pertanto da ritenere insussistente.

Il caso

Un dipendente pone in essere comportamenti di autolesionismo innanzi al RLS: licenziato per non aver segnalato tempestivamente l'accaduto al datore di lavoro

La sentenza in commento affronta il tema di un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, nonché Rappresentante Sindacale Aziendale, trovatosi a subire un procedimento disciplinare, conclusosi con un licenziamento per giusta causa, per non aver tempestivamente avvisato il datore di lavoro, una volta venuto a conoscenza della situazione di pericolo in cui versava un dipendente.

I fatti descritti nella sentenza sono i seguenti: il 27.05.2022, un dipendente entrava nell'ufficio del RLS, prendeva una sedia, la trascinava fin sotto la finestra aperta, e si accingeva a salirvi per buttarsi giù nel vuoto, sotto gli occhi del Rappresentante della Sicurezza dei Lavoratori. Quest'ultimo, solo quattro giorni dopo l'accadimento, inviava dapprima una segnalazione dell'occorso al rappresentante legale della Società, poi al Responsabile delle Risorse Umane, e, di seguito, al medico competente. Al rappresentante sindacale venivano contestate le seguenti condotte: «Le rammentiamo che era Sua precisa responsabilità informare prontamente e direttamente il datore di lavoro anche in ragione delle funzioni rivestite e dell'alto rischio dell'evento. Tale omissione ha impedito il rispetto del protocollo di cui al d.lgs. n. 81/2008 con ogni conseguenza di legge anche a causa della Sua mancanza di tempestività, rendendo noto un evento di tale gravità solo 4 giorni dopo il riferito episodio e ritrattando successivamente la versione dei fatti. A ciò si aggiunga che le circostanze da Lei rappresentate sono imprecise e contradittorie rendendo quanto mai complessa la ricostruzione dell'evento da parte dei soggetti a ciò deputati. Dobbiamo altresì contestare una grave omissione di soccorso nell'evento descritto. Se fosse realmente accaduto quanto da Lei rappresentato, oltre ad investire della questione la proprietà, avrebbe dovuto chiamare i soccorsi e non lasciare da sola a una persona, a Suo avviso alterata, dopo solo 8 minuti dal fatto. Da ultimo, si evidenzia che nessuno le ha ordinato alcunché, ma Le è stata richiesta una relazione, anche stavolta, inviata al medico aziendale e non alla Società con evidente misconoscimento del rapporto gerarchico col Suo datore di lavoro».

Le giustificazioni offerte dal lavoratore, anche rappresentante della sicurezza, non venivano ritenute sufficienti, e, dopo 14 anni di servizio, veniva licenziato per giusta causa. Costui, allora, proponeva ricorso avanti al Tribunale di Roma per ottenere l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento espulsivo.

Il Tribunale capitolino considerava insussistenti le condotte contestate al lavoratore ed annullava il licenziamento, con conseguente condanna della Società resistente alla reintegrazione del ricorrente nel proprio posto di lavoro ed al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, nei limiti di dodici mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali maturati nello stesso periodo maggiorati degli interessi.

Queste le ragioni della decisione: «Non può ritenersi posta in essere dal ricorrente alcuna omissione di soccorso ai danni del collega T., tenuto conto che il signor R. ha lasciato solo il collega dopo che costui era uscito dal luogo di lavoro assieme al primo, una volta ricevuta l'assicurazione che si sarebbe fatto prescrivere dal medico curante un periodo di riposo. Inoltre, quanto all'ulteriore illecito contestato, non si comprende in cosa sarebbe consistito il misconoscimento da parte del ricorrente delle prerogative del datore di lavoro, pure a lui ascritto disciplinarmente, tenuto conto che il lavoratore ha provveduto ad avvisare di quanto accaduto il liquidatore giudiziale della società nella sua qualità di legale rappresentante, seppur dopo quattro giorni dall'occorso, dopo avere ricevuto la rassicurazione dal T. che sarebbe stato assente per malattia per 30 giorni. Peraltro, proprio nella sua qualità di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il ricorrente ha provveduto alle relative comunicazioni in favore dei soggetti sopra indicati che, dal canto loro, hanno all'evidenza ulteriormente trasmesso l'informazione ricevuta, tenuto conto della successiva contestazione disciplinare. (…) Quanto alla mancata attivazione dei protocolli in tema di sicurezza sul lavoro, da imputare al ricorrente a causa della tardiva informazione, deve essere sin da subito chiarito che la responsabilità in ordine a tale peculiare aspetto ricade esclusivamente sul datore di lavoro, eccezion fatta nei casi di specifica delega, nella fattispecie non dedotta e pertanto da ritenere inesistente».

La questione giuridica

Può dirsi responsabile il RLS per intempestiva attivazione dei protocolli in tema di sicurezza sul lavoro?

Il Tribunale romano ha esaminato il licenziamento disciplinare irrogato dall'azienda nei confronti del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, nonché Rappresentante Sindacale Aziendale, per non aver adeguatamente segnalato la condotta di un collega di lavoro, che aveva tentato di gettarsi dalla finestra, salendo su una sedia. Nello specifico, al RLS veniva contestato disciplinarmente di non aver adempiuto all'obbligo di «informare prontamente e direttamente il datore di lavoro anche in ragione delle funzioni rivestite e dell'alto rischio dell'evento. Tale omissione ha impedito il rispetto del protocollo di cui al d.lgs. n. 81/2008 con ogni conseguenza di legge anche a causa della Sua mancanza di tempestività, rendendo noto un evento di tale gravità solo 4 giorni dopo il riferito episodio e ritrattando successivamente la versione dei fatti». La contestazione disciplinare gli attribuiva una grave omissione di soccorso, in quanto, non solo il RLS, trovatosi spettatore di uno scampato dramma, avrebbe dovuto investire della questione la proprietà, ma altresì chiamare i soccorsi e non lasciare il dipendente in stato confusionale da solo.

In altri termini, per il datore di lavoro la condotta del RLS risultava gravemente omissiva rispetto ai doveri connessi alla propria funzione. Quest'ultimo, solo quattro giorni dopo aver assistito al menzionato tentativo di suicidio, informava non direttamente il datore di lavoro, bensì il liquidatore giudiziale della società, e legale rappresentante. Successivamente, comunicava l'occorso al Responsabile delle Risorse Umane e, di seguito, anche al medico competente della società. Quel ritardo di 4 giorni avrebbe asseritamente impedito il rispetto del protocollo di cui al d.lgs. n. 81/2008.

Nel corso del processo di primo grado, tuttavia, emergeva che, nonostante avesse segnalato l'accaduto tardivamente, il RLS aveva provveduto da sé, assicurandosi che il dipendente, fragile, sarebbe stato assente per malattia per 30 giorni. Tale circostanza varrà a far accertare l'illegittimità del licenziamento dal Tribunale? Ma soprattutto, ci si chiede, sul RLS incombe l'obbligo di attivare tempestivamente i protocolli previsti in materia di sicurezza e deve quindi essere sanzionato in caso di inerzia? In caso affermativo, quale protocollo avrebbe potuto essere attivato, e quando, precisamente, il rappresentante sindacale avrebbe dovuto avvisare il datore di lavoro, considerata l'azione repentina del collega di lavoro?

La soluzione giuridica

Solo al datore di lavoro spetta attivare i protocolli di cui al d.lgs. n. 81/2008 nel caso di pericolo per un dipendente

Dopo la nota ordinanza della Corte di Cassazione n. 46855/2023, che ha destato l'attenzione degli addetti ai lavori per aver avallato la tesi della responsabilità del RLS per l'omicidio colposo di un dipendente, in cooperazione con il datore di lavoro, la sentenza in esame riscolpisce con chiarezza il principio secondo il quale la responsabilità dell'attivazione dei protocolli in tema di sicurezza sul lavoro ricade esclusivamente sul datore di lavoro, eccezion fatta nei casi di specifica delega, che ad ogni modo, nel caso de quo, non veniva dedotta e dunque da ritenere inesistente.

Definito quale «soggetto esponenziale degli interessi dei lavoratori, intesi come singoli e come collettività», il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza ha fatto il suo ingresso in azienda con il d.lgs. n. 626/1994, il quale, in maniera più pregnante rispetto al previgente Statuto del '70, ha incentivato il processo di coinvolgimento dei lavoratori, e della loro rappresentanza, nella tematica della prevenzione, passo in avanti poi ulteriormente potenziato con il Testo Unico Sicurezza (d.lgs. n. 81/2008), il quale, all'art. 50 T.U.S.L., attribuisce al RLS il compito di dialogare e confrontarsi con i vertici dell'impresa sulle istanze provenienti dai lavoratori.

Per la migliore espletazione delle proprie attribuzioni, il R.L.S. è custode delle informazioni e della documentazione aziendale, nonché della copia del DVR. Il Testo Unico Sicurezza riserva alla figura del R.L.S. una disciplina normativa contenuta in un unico dispositivo, quello dell'art. 50. Tale è rubricato: “Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza” ed assegna al R.L.S. diritti di consultazione, di informazione, di accesso e di formulazione di proposte.

Si deve evidenziare che sin dalla prima lettura, emerge chiaramente come il dettato legislativo mai, in nessuno dei sette commi dell'art. 50 T.U.S.L., parla di obblighi, di posizione di garanzia, di responsabilità o di sanzioni riferibili al R.L.S., enumerando in capo allo stesso soltanto una lista di facoltà, diritti e tutele.

Chi è quindi il RLS? Se ci si attiene all'identikit descritto dalla littera legis, il RLS è un semplice referente, il quale, prescelto tra tutti gli altri lavoratori tramite apposita elezione, se ne fa portavoce, lamentando le problematiche riscontrate dai prestatori d'opera, e da egli stesso, sul campo, per facilitare i vertici aziendali, i quali molto spesso rimangono ai piani alti, senza calarsi nella realtà della polvere, degli ingranaggi e delle macchine. Al RLS compete la funzione di consultare il datore di lavoro, al quale spetta la decisione finale, e dunque, avendo costui alla fine dei conti l'ultima parola sulle misure in concreto da adottare, ugualmente su costui si fa ricadere l'esclusiva responsabilità, nel caso di malfunzionamento dell'impianto Salute e sicurezza.

Negli ultimi tempi, però, proprio per il processo di compartecipazione degli attori nel sistema di salute e sicurezza sul lavoro, con un effetto specchio-riflesso sembra assistersi ad un artificiale rafforzamento del ruolo rivestito dal RLS, rafforzamento foriero di criticità: come in altre pagine ricordano autorevoli autori, non sempre il Rappresentante dei Lavoratori è posto nelle condizioni di poter svolgere al meglio le sue funzioni, e molto spesso si instaura un rapporto di conflittualità tra costui e i vertici aziendali, che incrina il costante dialogo che dovrebbe intercorrere tra i due. D'altronde, la realtà aziendale è ben diversa dal sistema idilliaco, di coordinamento armonioso tra ruoli, immaginato dal legislatore. La funzione di rappresentante, consulente, informatore, nel tempo è stata costantemente rivista dall'interprete e, alle volte, distorta, tanto che a partire da alcuni arresti giurisprudenziali, sulla figura del Rappresentante della Sicurezza, sembra essersi addensata una fitta foschia.  Si allude ad alcuni obiter dictum che paiono attribuire impropriamente alla figura del RLS una posizione di garanzia, per tale intendendosi la titolarità di un potere di intervento diretto sull'adozione delle misure di prevenzione e protezione, tuttavia non prevista dalla legge.

In particolare, Cassazione Penale, Sez. Fer., 22 agosto 2013, n. 35424, ha affrontato il caso di un dipendente «precipitato al suolo a causa della rottura di una tettoia in eternit mentre era intento ad eseguire lavori di riparazione del tetto ad una altezza di circa 4-5 m dai suolo, in difetto di opere provvisionali tali da consentire la loro effettuazione in condizioni di sicurezza, rispetto al pericolo di caduta dall'alto dei lavoratori». Con la decisione di merito si accertava che l'unico responsabile era da rinvenire nel datore di lavoro; quest'ultimo proponeva ricorso in Cassazione dolendosi del fatto che «il dipendente era esperto in prevenzione degli infortuni nella sua qualità di rappresentante della sicurezza dei lavoratori e avrebbe dovuto rifiutare il lavoro e pretendere le opere provvisionali ritenute necessarie».

Tuttavia, la Suprema Corte non concordava, in prima battuta sostenendo «la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, cui sono demandati dalla legge compiti diversi intesi ad individuare i fattori di rischio, ad elaborare le misure preventive e protettive e le procedure di sicurezza relative alle varie attività aziendali». Ma l'epilogo del ragionamento dei Giudici di legittimità, a mente dei quali: «il lavoratore era stato nominato rappresentante dei lavoratori per la sicurezza per un periodo di tre anni, per cui all'epoca dell'infortunio egli sicuramente non lo era più», ha generato dubbi inediti, come se volessero lasciare intendere che se, a contrario, il lavoratore avesse rivestito la funzione di RLS all'epoca dei fatti, avrebbe condiviso una posizione di garanzia col datore di lavoro. Così i Giudici lasciavano aperto un interrogativo sul tema, espressivo di quella caligine che, infittendosi, avvolge la figura del Rappresentante.

Ancora, un breve cenno all'emblematica Cassazione Penale, sez. IV, 25 settembre 2023, n. 38914, che è giunta, seppur attraverso la norma di cui all'art. 113 c.p., ad attribuire di fatto una posizione di garanzia al RLS. Così nel menzionato arresto si asseriva: “Richiamati i compiti attribuiti dall'art. 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l'imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il C.C. fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l'adozione da parte del responsabile dell'azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori”.

Con la sentenza in commento, si ritorna invece al punto di partenza, cioè ad un rappresentante dei lavoratori così come concepito dallo Statuto dei Lavoratori del '70, nato specificamente nel settore della sicurezza nel d.lgs. n. 626/1994, e cresciuto nel d.lgs. 81/2008, ovvero, Rappresentante, consulente, informatore, lavoratore, privo di poteri di intervento attivo nel sistema prevenzionistico.

Questo l'orientamento avallato dal Tribunale romano, il quale, con una breve e coincisa motivazione, ha dichiarato illegittimo il licenziamento comminato al RLS, per non aver tempestivamente attivato i protocolli in materia di salute e sicurezza, adempimento spettante sempre e comunque in primis al datore di lavoro, quale unico soggetto portatore di una funzione di garanzia legislativamente prevista. Contrariamente dicasi per il RLS, che, non essendo specificatamente inserito nell'elenco dei destinatari delle norme antinfortunistiche, di conseguenza non potrebbe nemmeno essere soggetto titolare dell'obbligo di evitare l'evento verificatosi, nel caso di specie il tentato autolesionismo del dipendente, in quanto carente ab origine di una posizione di garanzia.

La pronuncia de quo appare coerente con il precedente di Cassazione del 19 ottobre 2017 n. 48286, la quale impartiva le seguenti istruzioni: «le funzioni del RLS sono analiticamente indicate nell'art. 50, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 e rendono assolutamente chiaro come quel lavoratore sia chiamato a svolgere, essenzialmente, una funzione di consultazione e di controllo circa le iniziative assunte dall'azienda nel settore della sicurezza; non gli competono certamente quella di valutazione dei rischi e di adozione delle opportune misure per prevenirli e neppure quella di formazione dei lavoratori, funzioni che restano entrambe appannaggio esclusivo del datore di lavoro».

Aggiungeva che, «non a caso, con riguardo al RLS, la fonte normativa parla di “attribuzioni” mentre, in relazione alle condotte del datore di lavoro, si parla di “obblighi”», e che, «in particolare, per quanto riguarda gli “obblighi” di informazione, formazione e addestramento (artt. 36 e 37), essi fanno senz'altro capo al datore di lavoro e ai dirigenti come espressamente dispone l'art. 18, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 81/2008». Precisava, inoltre, che «questi precisi obblighi non potrebbero essere, neppure in astratto, oggetto di delega al R.L.S, perché, altrimenti, si verificherebbe una commistione di funzioni tra di loro inconciliabili (essendo alla figura prevista dall'art. 50 affidate funzioni di controllo sull'adempimento degli obblighi datoriali), che negherebbe il sistema stesso delineato nella vigente normativa antinfortunistica (tanto che lo stesso art. 50, comma 7, prevede che l'esercizio delle funzioni di RLS è incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e protezione)».

Osservazioni

La funzione del RLS: quando i diritti non possono diventare doveri

L'arresto del Tribunale di Roma ridetermina con chiarezza i contorni della figura del RLS. Come ha già osservato la migliore dottrina (Celli S. “Se i diritti diventano doveri” in Quest. giust., 2 dicembre 2023), i diritti non possono diventare doveri, e così il rappresentante sindacale è il portavoce dei lavoratori ed in quanto tale controllore del rispetto dei loro diritti, non certo il soggetto che ha responsabilità di cui all'art. 2087 c.c. Lo dice espressamente l'art. 2, lett. i) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che definisce il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza come «persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro».

Ed ancora più esplicito era già l'art. 9 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300), rubricato, «tutela della salute e dell'integrità fisica», nello stabilire che «i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica».

La ragione di tale paradigma è oltremodo chiara: il rappresentante dei lavoratori se da una parte ha degli strumenti di controllo del datore di lavoro significativi e penetranti, potendosi spingere fino a segnalare agli organi di vigilanza eventuali carenze quanto alla sicurezza e la salute durante il lavoro (art. 50, comma 1, lett. “o”, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), tuttavia non ha alcun mezzo diretto per modificare le scelte aziendali, non avendo ovviamente alcun potere gestorio e di spesa nell'impresa, che rimane appannaggio esclusivo del datore di lavoro. In altri termini il “cane da guardia della sicurezza” è cosa ben diversa da colui che, avendo una posizione di garanzia ed un potere gestorio, non adempiendo ai suoi doveri, può creare pericolo per la sicurezza dei lavoratori.

Del resto nello stesso senso andava l'insegnamento di Cassazione Penale, sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 48286, solo pochi anni orsono, ove ebbe ad affermare che le funzioni del RLS «sono analiticamente indicate nell'art. 50, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 e rendono assolutamente chiaro come quel lavoratore sia chiamato a svolgere, essenzialmente, una funzione di consultazione e di controllo circa le iniziative assunte dall'azienda nel settore della sicurezza; non gli competono certamente quella di valutazione dei rischi e di adozione delle opportune misure per prevenirli e neppure quella di formazione dei lavoratori, funzioni che restano entrambe appannaggio esclusivo del datore di lavoro», tanto che: «non a caso, con riguardo al RLS, la fonte normativa parla di “attribuzioni” mentre, in relazione alle condotte del datore di lavoro, si parla di “obblighi”» tanto che «questi precisi obblighi non potrebbero essere, neppure in astratto, oggetto di delega al R.L.S, perché, altrimenti, si verificherebbe una commistione di funzioni tra di loro inconciliabili (essendo alla figura prevista dall'art. 50 affidate funzioni di controllo sull'adempimento degli obblighi datoriali), che negherebbe il sistema stesso delineato nella vigente normativa antinfortunistica (tanto che lo stesso art. 50, comma 7, prevede che l'esercizio delle funzioni di RLS è incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e protezione)»

Se così stanno le cose, la Sentenza del Giudice capitolino non fa altro che ribadire tali lampanti principi, apponendo un ulteriore importante tassello nell'ermeneutica di questa figura di diritto sindacale, dipanando quei dubbi, da alcuni avanzati ultimamente quanto alla responsabilità del RLS, che invece di rafforzare l'organo di garanzia e rappresentanza dei lavoratori, lo affossano. Quindi, nessuna lesione del vincolo fiduciario può essere addossata al rappresentante sindacale, che si è attivato a suo modo per evitare il peggio ad un collega dipendente della stessa società, senza che abbia rilievo la mancata attivazione dei protocolli di sicurezza aziendali, spettanti, in quanto tali, al solo datore di lavoro: è la cronaca di una sentenza annunciata.

Riferimenti bibliografici

Giurisprudenza

Cass. pen., sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 48286

Cass. pen., sez. IV, 16 marzo 2015, n. 11135

Cass. pen., sez. Fer., 22 agosto 2013, n. 35424

Cass. pen., sez. IV, 22 novembre 2023, n. 46855

Dottrina

S. Celli, Se i diritti diventano doveri, in Quest. giust., 2 dicembre 2023.

B. Deidda, Una china pericolosa: rovesciare sui lavoratori la responsabilità dell'organizzazione delle misure di sicurezza sul lavoro, in Quest. giust., 9 ottobre 2023.

G. Guarini L. Manunta, Dalla Cassazione la prima condanna di un RLS per omicidio colposo del lavoratore: profili critici dell'interpretazione del ruolo previsto nel TU Sicurezza, in IUS Lavoro/ilGiuslavorista (ius.giuffre.it) , 23 Ottobre 2023.

R. Guariniello, Il RLS garante della sicurezza?, in Teknoring, 26 settembre 2023.

P. Pascucci, Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS, in Dir. sic. lav., n. 2/2023.

A. Perin, Concretizzazione del rischio, in Enc. dir., Reato colposo, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021.

P. Zarra, L'obbligo sicuritario nel contesto lavorativo e la causazione dell'evento infausto della morte, in Il Sist. pen. in materia di sic. lav. Milano, 2023, 295.