Lavoratori (r)impatriati e rimborso della maggiore IRPEF pagata

06 Marzo 2024

Un contribuente, manager di una società italiana operante nel settore della grande distribuzione, viene distaccato all’estero dal 2017 al 2019 per poi rientrare in Italia. Essendo in possesso di tutti i requisiti previsti dal regime di favore riservato ai cd “lavoratori (r)impatriati”, il contribuente può chiedere “ora per allora” il rimborso della maggiore Irpef pagata anche se non ha comunicato l’opzione al proprio datore di lavoro per il tramite di una dichiarazione integrativa a favore?

Il regime fiscale relativo ai cd “impatriati” è stato introdotto dal legislatore nazionale con  l'art. 16, d.lgs. 147/2015 che ha di fatto sostituito la precedente disciplina definita “regime dei controesodati” di cui alla legge n. 238 del 30 dicembre 2010.

La recente riforma fiscale (d.lgs. n. 209 del 27 dicembre 2023), peraltro, lo ha abrogato riscrivendone la disciplina e limitando il perimetro dell'agevolazione con l'esclusione dei redditi di lavoro autonomo diversi da quelli di natura professionale e dei redditi di impresa. Secondo la disciplina del tempo, i requisiti per usufruire del regime di favore erano i seguenti: essere in possesso di un titolo di laurea; aver svolto continuativamente un'attività di lavoro o studio fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più conseguendo, in questo secondo caso, un titolo di laurea o una specializzazione post lauream; essere cittadino dell'Unione europea o di uno Stato extraeuropeo, con il quale era in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni ai fini delle imposte sui redditi ovvero un accordo sullo scambio di informazioni; svolgere attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia; non essere stato residente in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento; aver svolto l'attività lavorativa presso un'impresa residente nel territorio dello Stato; avere prestato l'attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano; aver rivestito in Italia ed all'estero ruoli direttivi ed essere in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Quindi, in costanza dei suddetti requisiti, il contribuente può (poteva) manifestare in dichiarazione la volontà di aderire al predetto regime di favore. Sul punto la prassi ministeriale (circ. n. 33/E del 28 dicembre 2020) ha chiarito che per beneficiare del regime agevolativo in parola il lavoratore doveva presentare una richiesta scritta al datore di lavoro, il quale doveva applicare il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data dell'assunzione, mediante applicazione delle ritenute sull'imponibile ridotto alla percentuale di reddito tassabile. La prassi ha specificato, altresì, che l'accesso al regime doveva considerarsi precluso nell'ipotesi in cui l'impatriato ne avesse dato evidenza nella dichiarazione dei redditi i cui termini di presentazione fossero risultino scaduti.

Sul punto, la giurisprudenza de iure condìto si è divisa con due orientamenti contrapposti:

  • secondo un primo orientamento, da considerarsi minoritario, trattandosi di un regime opzionale, non è possibile presentare la dichiarazione dei redditi cd. “integrativa a favore” oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria. Tale orientamento trae ispirazione dalla giurisprudenza di legittimità (inter alias, Cass. n. 17042/20) secondo il quale la possibilità per il contribuente di far valere anche in sede contenziosa eventuali errori commessi nella dichiarazione non supera il principio affermato dalle sezioni unite che limita tale facoltà solo in caso di emenda di dichiarazioni di scienza e non di volontà (cfr. Cass., 30 novembre 2018, n. 31052);
  • secondo un altro orientamento, invece, da considerarsi prevalente nella giurisprudenza di merito, l'applicazione di una regola decadenziale deve essere espressamente prevista da una norma di legge e non può essere regolata dalla prassi dell'Amministrazione che non può essere produttiva né di diritti né di dinieghi dei medesimi, se non nel quadro di norme di riferimento aventi forza di legge. Tale orientamento, quindi, nella consapevolezza che l'istanza di rimborso è funzionale al corretto assolvimento dell'obbligazione tributaria, valorizza la portata generale dell'articolo 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322/1998 che attribuisce alla dichiarazione la natura di mera esternazione di scienza e, come tale è ritrattabile, nelle forme e nei termini stabiliti dall'ordinamento (quindi anche mediante istanza di rimborso) presentando una dichiarazione integrativa ovvero chiedendo di emendare la dichiarazione in sede giudiziaria, diritto peraltro esercitabile anche oltre la scadenza dei termini decadenziali valevoli nella sola fase amministrativa.

Pertanto, in ossequio al prevalente orientamento giurisprudenziale in materia e in costanza dei requisiti previsti dal predetto regime ratione temporis, è possibile dare una risposta in senso affermativo al quesito proposto.

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