Travisamento del contenuto oggettivo della prova: il punto delle Sezioni Unite
11 Marzo 2024
Le Sezioni Unite hanno risolto il conflitto insorto nella giurisprudenza della Corte (Cass. civ. n. 8895/2023; Cass. civ. n. 11111/2023) se possa dedursi in sede di legittimità, per il tramite del numero 4 dell'art. 360 c.p.c., la violazione dell'art. 115 c.p.c. determinata dall'essere il giudice di merito incorso nel c.d. «travisamento della prova». A riguardo, i giudici evidenziano che eccettuata l'ordinanza n. 11111/2023 ed alcuni precedenti, siamo dinanzi ad un granitico orientamento che esclude l'ammissibilità del ricorso per cassazione civile per travisamento della prova. Naturalmente «il radicamento di un orientamento giurisprudenziale nella tradizione non esclude che possa essere prima o poi rivisitato: ma, certo, è lecito attendersi che un simile mutamento di rotta, tale da condurre all'accantonamento di un indirizzo rimasto fermo per così tanto tempo, abbia una qualche consistente giustificazione, che viceversa come si dirà manca». Il Collegio sottolinea il proprium dell'indirizzo fatto proprio dall'ordinanza n. 11111/2023, il fatto che intende la verifica del «contenuto oggettivo della prova» in un senso dilatato, comprensivo così di un momento percettivo, come di un successivo approccio valutativo volto ad individuare i contenuti informativi che il dato probatorio univocamente fornirebbe. Se così è, sottolineano i giudici, occorre guardare al tema in esame avendo realistica consapevolezza del vero bersaglio che l'accoglimento della tesi sostenuta dall'ordinanza finirebbe per abbattere: bersaglio che appare essere costituito dall'assetto del giudizio di legittimità scaturente dalla riformulazione del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. all'esito della riforma del 2012, nella complessiva lettura datane da una decisione che, a ragione, costituisce da anni un punto fermo nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, Cass., sez. un., n. 8053/2014. Che questa sia in effetti la posta in gioco è del resto riconosciuto dalla stessa ordinanza, laddove ammette che la questione del travisamento della prova si sarebbe «posta in tutta la sua complessità ...a seguito delle già ricordate modifiche del 2012 apportate alla previsione concernente il difetto di motivazione: di qui, la scarsa rilevanza, anche sul piano teorico, delle numerose decisioni, rese in subiecta materia, in epoca precedente a tale data». Secondo l'ordinanza, dunque, non vi sarebbe ragione di attribuire peso all'osservazione che il travisamento della prova non sia mai stato ammesso per decenni, quando l'art. 360 c.p.c. consentiva di denunciare la generica insufficienza della motivazione, ed anzi sarebbe proprio la soppressione di un così esteso controllo motivazionale a rendere ammissibile il sindacato del travisamento della prova nel giudizio di cassazione. Non corrisponde però al vero che il problema si sia posto dopo il 2012, e non prima, perché necessitato dalla riforma che ha modificato il n. 5 dell'art. 360 c.p.c.: non solo il travisamento della prova non era ammesso anteriormente alla novella del 1950, quando il testo del n. 5 dell'articolo 360 c.p.c. era quasi identico all'attuale, ma l'art. 517 c.p.c. previgente, nel vigore del quale il travisamento della prova, come si è detto in precedenza, non aveva cittadinanza, non prevedeva alcun controllo motivazionale, che era fatto rientrare dalla giurisprudenza di legittimità nella previsione di nullità "a norma dell'articolo 361", i.e. per l'omissione dei "motivi in fatto ed in diritto". Posto, dunque, che il vigente dato normativo non è espressione di una innovazione non meditata o improvvisata, l'auspicio a neutralizzare la portata della riforma del 2012, con la riduzione del controllo motivazionale che essa ha comportato, attraverso l'introduzione della sindacabilità per cassazione del travisamento della prova, va disatteso, prima di ogni altra considerazione, poiché si risolve nel palesato intento, confliggente con la stessa funzione istituzionale della Corte di cassazione di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, ed al precetto costituzionale che vuole il giudice soltanto alla legge, ma a quella certamente sottoposto, di ribaltare l'assetto che il legislatore ha inteso dare al giudizio di legittimità. È chiaro, allora, che il problema posto dall'ordinanza n. 11111/2023 appare essere, realisticamente, un problema alquanto marginale: l'errore materiale è una svista del giudice nella consultazione degli atti del processo, ed una svista è, nel linguaggio comune, un errore, non grave, soprattutto in uno scritto, dovuto più che altro a disattenzione; etimologicamente la svista è difatti un errore che si commette per non avere visto bene; ora, ove il fatto probatorio sia controverso, nel senso dianzi indicato, e cioè qualora le parti abbiano mobilitato l'attenzione del giudice sul fatto probatorio, oggetto di contrapposte letture, appare almeno improbabile che una svista abbia a verificarsi. Ma, ammettiamo che accada l'imponderabile, che tra le parti si svolga un surreale dibattito sul quesito se una fotografia, che palesemente rappresenta un'autovettura, non rappresenti invece un fiume, e che il giudice, prendendo atto del dibattito, affermi che l'autovettura rappresenta proprio un fiume. In questo caso non vi è spazio per la revocazione, secondo quanto stabilisce l'articolo 395, n. 4, c.p.c. (v. p. es. Cass. civ. n. 27094/2011). E bisogna allora interrogarsi sul come il consolidamento di tale "inemendabile forma di patente illegittimità della decisione" debba essere contrastato. Ebbene, secondo le Sezioni Unite, in una simile ipotesi nulla osta alla formulazione del motivo di cui, a seconda dei casi, ai nn. 4 e 5, dell'art. 360 c.p.c., sussistendone di volta in volta i necessari presupposti, che qui è superfluo ricapitolare. Il punto è che, nella patologica ipotesi considerata, il giudice ha pur sempre supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita: il fatto posto a sostegno della decisione, quantunque il giudice abbia deciso, non esiste nei termini in cui egli lo ha recepito; si tratta, diremmo, di un non-fatto, un fatto la cui considerazione, nella sua effettiva oggettività, è stata in fin dei conti omessa. Sicché, l'affermazione secondo cui, se l'errore è frutto di un'omessa percezione del fatto, essa è censurabile ex art. 360, n. 5, c.p.c., se si riferisca a fatti sostanziali, ovvero ex art. 360, n. 4, c.p.c., ove si tratti di omesso esame di fatti processuali (v. in tali termini le già richiamate Cass. civ. n. 14610/2021; Cass. n. 17110/2010), va estesa al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, con la finale precisazione che un simile errore, che si è detto essere commissivo, è pur sempre omissivo dall'angolo visuale del risultato che determina nel giudizio. In definitiva, le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell'impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell'art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale». |