Actio quanti minoris: è possibile esperirla in mancanza delle qualità del bene compravenduto?

18 Marzo 2024

Nel caso di specie la sentenza di merito aveva ritenuto che solo in presenza di vizi della cosa venduta l’acquirente potesse chiedere, in alternativa, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.

Massima

L'azione di riduzione del prezzo va considerata esperibile da parte dell'acquirente anche nelle fattispecie contemplate dall'art. 1497 c.c.. (mancanza delle qualità promesse ovvero delle qualità essenziali per l'uso a cui la cosa è destinata).

Il caso

A fronte di un contratto di compravendita tra due società, la venditrice conveniva dinanzi al Tribunale di Como l'altra contraente per la risoluzione del contratto per inadempimento – essendosi l'acquirente resa inadempiente all'obbligo di pagare più rate del mutuo della venditrice con la Deutsche Bank Spa, quale metodo di pagamento del prezzo concordato dalle parti con accollo interno – nonché per sentire accertare il proprio diritto alla ritenzione della somma di euro 766.000,00, versata dalla medesima acquirente come caparra confirmatoria. L'acquirente convenuta eccepiva a sua volta l'inadempimento della venditrice, per la presenza di molteplici vizi e difetti del bene compravenduto e domandava, in via riconvenzionale, la riduzione del prezzo di vendita ovvero, in alternativa, la condanna della venditrice al risarcimento del danno, in relazione ai costi sostenuti per l'eliminazione dei vizi riscontrati. In via subordinata, domandava la risoluzione del contratto per colpa della venditrice con condanna di quest'ultima alla restituzione del prezzo nonché al risarcimento del danno. Il giudice di primo grado, nel comparare le condotte inadempienti delle parti, individuava la più grave nell'accertata inidoneità all'uso del bene compravenduto, escludendo che il parziale inadempimento della compratrice all'obbligo di pagamento di alcune rate del mutuo avesse pregiudicato la realizzazione dello scopo contrattuale; dichiarava, quindi, risolto il contratto per colpa della venditrice/attrice ai sensi dell'art. 1497 c.c.. Su appello della compratrice convenuta, la pronuncia di primo grado veniva integralmente confermata. La società acquirente proponeva, allora, ricorso per Cassazione, eccependo, per quanto qui rileva, la violazione degli artt. 1490,1492,1497 c.c. nonché dell'art. 112 c.p.c., sul presupposto che la sentenza impugnata, una volta inquadrato il caso di specie nell'ambito dell'art. 1497 c.c. poiché l'immobile non era idoneo all'uso, aveva statuito che l'unico rimedio possibile fosse la risoluzione, disattendendo le domande di diminuzione del prezzo e/o di risarcimento del danno da lei proposte in via principale. Il motivo era considerato fondato dalla Suprema Corte.

La questione

La sentenza di merito, in particolare, aveva ritenuto che solo in presenza di vizi della cosa venduta l'acquirente potesse chiedere, in alternativa, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, qualora i vizi accertati fossero risultati contenuti nei limiti di usuale tollerabilità. Ove invece, i vizi si fossero tradotti nella mancanza delle qualità essenziali l'unico rimedio possibile doveva considerarsi la risoluzione del contratto, come previsto dall'art. 1497 c.c.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità evidenziano, invece, nella sentenza in commento la necessità di rivedere tale impostazione teorica (pure fatta propria da alcune sentenze della stessa Suprema Corte). Si osserva, infatti, che benché il legislatore configuri una serie di azioni tipiche a disposizione dell'acquirente, individuando rimedi specifici per il caso di vizi (art. 1490 c.c.); mancanza delle qualità promesse o delle qualità essenziali (art. 1497 c.c.); cattivo funzionamento (art. 1512 c.c.) e aliud pro alio datum (che legittima all'esercizio di un'ordinaria azione di risoluzione o inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c., senza necessità di rispetto dei termini brevi di prescrizione e decadenza previsti dalle norme in materia di compravendita) non può considerarsi preclusa al compratore la formulazione di una domanda giudiziale complessa e/o gradata nella sua articolazione ovvero la richiesta di un provvedimento di tutela non ancora tipizzato legislativamente, purché rispondente allo specifico bisogno di tutela fatto valere rispetto alla vicenda concreta. Benché, quindi, la lettera dell'art. 1497 c.c. sembri consentire, a fronte della mancanza di qualità della cosa compravenduta, la sola azione di risoluzione per inadempimento, non può ritenersi precluso al compratore che, in concreto, abbia interesse a mantenere la proprietà del bene malgrado la mancanza delle qualità promesse o di quelle essenziali all'uso di destinazione, la domanda di riduzione del prezzo. Da qui l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Osservazioni

Ai sensi dell'art. 1497 c.c. «quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per l'inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi». Il diritto di ottenere la risoluzione è, tuttavia, soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall'art. 1495 c.c. La norma sembra, quindi, legittimare per la mancanza di qualità essenziali o promesse della cosa compravenduta la generale azione di risoluzione per inadempimento, con le peculiarità da essa espressamente stabilite (per quanto riguarda i termini di decadenza e prescrizione e la necessità di verificare che il difetto di qualità ecceda i normali limiti di tolleranza stabiliti dagli usi). In diverse occasioni la stessa Corte di cassazione, seppur con riferimento alla cessione di beni immateriali quali l'azienda, ha escluso la possibilità di porre la mancanza di qualità promesse o essenziali a fondamento dell'azione di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c. (Cass. civ., sez. II, sent. n. 22075/2023; Cass. civ, sez. I, sent. n. 5845/2013), proprio in ragione della tipicità dei rimedi a tutela del compratore contro l'inattuazione o l'inesatta attuazione dell'attribuzione traslativa (artt. 1490 e ss. c.c.). La sentenza in commento mira, invece, a superare tale rigida tipizzazione in ragione di un obiettivo di tutela concreta dell'acquirente, a cui deve essere consentita la possibilità di chiedere giudizialmente anche un provvedimento non tipizzato legislativamente, se rispondente allo specifico bisogno dedotto nel caso specifico (potendo, in teoria, il compratore avere interesse a mantenere ferma in capo a lui la proprietà del bene conseguita per effetto del contratto, attraverso una domanda di riduzione del prezzo e non di risoluzione). Trattasi di soluzione fatta propria anche dalla dottrina maggioritaria. L'argomento letterale a sostegno della contrapposta tesi appare, tuttavia, molto forte: ai sensi, infatti, dell'art. 1492 c.c., «nei casi di cui all'art. 1490 c.c.» – e, quindi, in presenza di vizi della cosa – il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, con scelta irrevocabile quando fatta con la domanda giudiziale. Poiché, quindi, netta è la distinzione tra vizi redibitori e mancanza di qualità promesse o essenziali – riguardando i primi le imperfezioni e i difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa e inerendo, invece, la seconda alla natura della merce e agli elementi essenziali e sostanziali che influiscono, nell'ambito di un medesimo genere, sull'appartenenza ad una specie piuttosto che a un'altra: Cass. civ., sez. II, sent. n. 6596/2016 – difficilmente spiegabile sarebbe il preciso riferimento ai casi di cui all'art. 1490 c.c. ove il legislatore avesse inteso configurare l'actio quanti minoris come rimedio di carattere generale a tutela dell'acquirente nel contratto di compravendita. La stessa lettura sistematica dell'art. 1492 c.c., inoltre, evidenzia la netta autonomia e distinzione dell'actio quanti minoris da quella di risoluzione (al cui genus può essere ricondotta la garanzia di cui all'art. 1497 c.c. per l'ipotesi di mancanza di qualità nella cosa compravenduta), rendendo irretrattabile la scelta, fatta in sede giudiziale, dell'una o l'altra forma di tutela.

Riferimenti

In conformità alla tesi fatta propria dalla sentenza in commento si vedano, in dottrina, Luminoso, La compravendita, Torino, 2003, 263; Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Antonio Cicu e Francesco Messineo, Milano, 1971, 757 e 888; Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile italiano di Filippo Vassalli, Torino, 1972, 795. In giurisprudenza, in senso difforme a quanto affermato dalla sentenza in commento, si vedano Cass. civ., sez. II,  sent. n. 22075/2023; Cass. civ,  sez. I, sent., n. 5845/2013.

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