Il danno endofamiliare: profili sostanziali e novità processuali alla luce della riforma Cartabia

20 Marzo 2024

La nozione di «danno endofamiliare» annovera forme di danno variegate e complesse. La definizione volutamente ampia così delineata consente oggi, anche alla luce della riforma processuale attuata dal d.lgs. n. 149/2022 — che ha introdotto nel codice di procedura civile il titolo IV-bis dedicato al nuovo rito applicabile al contenzioso familiare e minorile — l’attrazione delle domande risarcitorie per illeciti endo-familiari nel nuovo processo di competenza del giudice specializzato.

Illecito endofamiliare a danno del partner

Nell'ambito della famiglia o dell'unione di fatto tra partner i diritti inviolabili della persona rimangono tali e danno diritto alla protezione prevista dall'ordinamento, con l'effetto che la loro eventuale lesione da parte di un componente della famiglia ovvero dell'altro compagno/a può costituire fonte di responsabilità civile.

Nel caso in cui due soggetti siano uniti in matrimonio o in unione civile, la previsione normativa di specifici doveri di assistenza, morale e materiale attribuisce agli stessi natura giuridica e la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, oltre a fondare l'adozione di sanzioni specifiche del diritto familiare, quali per esempio la pronuncia di addebito della separazione, può configurare un illecito civile e dar luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell' art. 2059 c.c. (cfr. Cass. civ. n. 25966/2022; Cass. civ. n. 26383/2020; Cass. civ. n. 6598/2019; Cass. civ. n. 4470/2018).

L'evoluzione della stessa nozione di famiglia e delle relazioni affettive tra partner ha determinato una elisione di alcuni doveri tradizionali che sorgevano con il matrimonio quali l'assistenza e la fedeltà tant'è che si discute sulla persistente utilità di mantenere ancora nell'ordinamento giuridico l'istituto dell'addebito della separazione previsto, quale sanzione per la violazione dei doveri matrimoniali, dall'art.156 c.c. Tuttavia, ciò che in questa sede rileva è la distinzione tra rimedi esperibili per il caso in cui la condotta violativa di un partner provochi pregiudizi a diritti dotati di copertura costituzionale tali da meritare un ristoro in termini monetari.

È noto che affinché si possa pervenire ad una pronuncia di addebito non sia sufficiente la prova di una condotta contrastante con quanto prevede l'art. 143 c.c. ed occorre piuttosto la riconducibilità causale della crisi coniugale esclusivamente al comportamento del coniuge «colpevole».

Per converso, per la configurabilità dell'illecito endofamiliare, prescindendo da ogni forma di addebito non indispensabile, è necessario accertare in concreto l'effettivo pregiudizio patito dall'altro partner, il quale rimane portatore di diritti individuali la cui lesione genera il diritto ad ottenere il relativo risarcimento del danno.

Pertanto, la mera violazione dei doveri che derivano dal matrimonio o dall'unione civile o di fatto, non costituisce in capo a ciascun coniuge e nei confronti dell'altro coniuge automaticamente altrettanti diritti, costituzionalmente protetti, la cui violazione è di per sé fonte di responsabilità aquiliana per il contravventore, ma la violazione di essi può rilevare, oltre che in ambito familiare, come presupposto di fatto della responsabilità aquiliana qualora ne discenda la violazione di diritti costituzionalmente protetti, che si elevi oltre la soglia della tollerabilità e possa essere in tal modo fonte di danno non patrimoniale.

L'assunto postula che è necessario porsi dal punto di vista della vittima e verificare il grado e l'entità del pregiudizio subito rispetto ad un diritto protetto quale la salute, l'onore e reputazione, la dignità personale, al pari di qualsiasi altro tipo di illecito civile lesivo di un interesse costituzionalmente protetto, tanto più se il fatto è punito dalla legge come reato.

Tra gli illeciti più gravi nella categoria in esame si colloca la violenza domestica, in tutte le forme delineate dalla Convenzione di Istanbul 11 maggio 2011, ratificata in Italia con l. n. 77/2013 ed entrata in vigore nel mese di agosto del 2014, così definita: «la violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner».

È indubbio, che la violenza familiare sia tra le più gravi forme di illecito endofamiliare e che, laddove accertata, faccia sorgere in capo alla vittima il diritto ad ottenere un congruo risarcimento del danno a carico del partner violento che dovrà essere condannato al pagamento della somma determinata in ragione dell'entità del pregiudizio subito.

Nell'ambito delle crisi familiari è necessario distinguere la conflittualità dalla violenza giacché solo nel secondo caso la vittima potrà aspirare ad un congruo risarcimento.

La conflittualità, anche esasperata, presuppone sempre una situazione interpersonale basata sì su posizioni di forza (economica, sociale, relazionale, culturale) ma comunque «simmetriche»; l'assenza di simmetria determina uno squilibrio di relazione e può dar vita a violenza che esclude il conflitto. Non si può confondere il conflitto con l'azione/reazione personale anche giudiziaria della parte che rivendica tutela e che si trovi in una situazione di squilibrio.

L'assunto postula che, laddove venga individuata ed accertata, all'esito dell'approfondita istruttoria, la violenza subita dal partner, in ogni sua forma fisica, psichica o economica, la lesione debba essere adeguatamente ristorata con la condanna al risarcimento del danno, da determinarsi all'esito di un processo, sia penale quando la persona offesa si sia costituita parte civile e l'accertamento del danno non comporti approfondimenti istruttori complessi, sia civile di separazione, divorzio o regolamentazione della responsabilità genitoriale, secondo una logica di economia processuale e di rapidità ed efficienza della risposta giudiziaria di tutela, che eviterebbe alla vittima un ulteriore e separato procedimento riducendo il pregiudizio da «vittimizzazione secondaria».

Illecito endofamiliare nei confronti dei figli

I genitori hanno, per il solo fatto della procreazione e a decorrere da tale momento, i doveri di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, doveri prescritti dall'art. 147 c.c., il cui adempimento è funzionalizzato all'interesse del minore, ripresi e dotati di copertura costituzionale dall'art. 30 Cost.

Il campo elettivo del danno endofamiliare è costituito proprio dall'assenza del genitore nella vita del figlio, o perché ha rifiutato di riconoscerlo ovvero per avere mostrato totale disinteresse omettendo di farsi interprete dei suoi bisogni anche primari e, nei casi più gravi, per avere abusato di lui/lei o usato violenza nei suoi confronti.

Si ritiene comunemente che dal solo concepimento seguito dalla nascita, venendo al mondo un essere umano bisognoso di cure, sorge il generale dovere di accudimento che grava in capo al genitore a prescindere dall'avvenuto riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio ovvero dall'eventuale dichiarazione giudiziale, determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitori.

La casistica giurisprudenziale più frequente è quella dei figli non riconosciuti dal genitore che, pertanto, lamentano un danno di natura «abbandonica» che, tuttavia, può assumere una duplice veste: nel caso di mancato riconoscimento, purché vi sia la consapevolezza della procreazione, e, al contempo, di disinteresse e abbandono, la lesione consiste sia nella privazione del rapporto genitoriale sia nella trascuratezza rispetto ai bisogni di vita e di accudimento della prole, pregiudizi che in genere coincidono ma che potrebbe dar vita a forme diverse ed autonome di danno. Difatti, è ricorrente l'ipotesi in cui il risarcimento venga richiesto da un figlio nato fuori dal matrimonio, già riconosciuto ovvero giudizialmente dichiarato, ma trascurato dal genitore rimasto inadempiente rispetto ai doveri connessi al rapporto di filiazione, che configura una responsabilità civile del genitore per danno da privazione del rapporto genitoriale che potrebbe differire dal caso, assai raro per la verità, del figlio non riconosciuto ma accudito ed amato ove il solo danno risarcibile è quello all'identità personale.

Anche in questo caso, la violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma nell'ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi ripetutamente affermati dalla stessa Corte di Cassazione in tema di danni alla persona (v. Cass. n. 26301/2021, Cass. n. 28989/2019, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 2788/2019, Cass. n. 901/2018).

Ora, la natura unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale comporta l'obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall'evento pregiudizievole, nessuna esclusa, valutando distintamente le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell'ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili, e attribuendo al danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all'accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni (Cass. n. 23469/2018, Cass. n. 901/2018).

La logica processuale che prevale, nella giurisprudenza più recente, è quella dell'unitarietà della tutela processuale sicché: «il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio naturale integra violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli artt. 2 e 30 della Costituzione, oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento, un elevato grado di riconoscimento e tutela. Tale condotta è dunque suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 c.c., di un'autonoma azione, esercitabile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, volta risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole» (Cass. n. 34950/2022).

In alcuni casi, le situazioni abbandoniche assumono i connotati di un illecito plurioffensivo che genera danno non solo al minore, privato della figura genitoriale nel corso della sua vita e crescita, ma anche nei confronti dell'altro genitore che da solo ha dovuto assolvere a tutti i doveri verso il figlio e sopperire, anche con innumerevoli difficoltà economiche, ad ogni onere di mantenimento e di accudimento, assumendosi in via esclusiva la responsabilità delle scelte e dello sviluppo della prole.

Quantificazione del danno

A fini della quantificazione del danno endofamiliare, tutta la casistica giurisprudenziale ricorre all'utilizzo dei criteri tabellari privilegiando quei parametri dettati sia nelle tabelle di Milano che in quelle di Roma, per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale con applicazione di idonei correttivi, per il solo caso di danno endofamiliare patito dal figlio.

Ogni correttivo e l'applicazione del criterio equitativo, tuttavia, impone al giudice di merito di indicare, almeno sommariamente e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l'entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass. civ. n. 2327/2018), dovendosi ritenere censurabili le liquidazioni basate su criteri "manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza" (Cass. civ. n. 4310/2018, Cass. civ. n.  13153/2017).

Inoltre, ai fini della liquidazione occorre avere riguardo alle conseguenze pregiudizievoli subìte dal figlio a causa delle omissioni e del disinteresse del genitore e, per la relativa quantificazione, occorre distinguere il danno derivante dall'omissione dell'obbligo di mantenimento dal correlato danno discendente dalla sofferenza e dai disagi interiori connessi all'assenza della figura genitoriale, aspetti diversi dell'unico danno non patrimoniale che possono assumere riflessi drammatici nella vita e nello sviluppo psicofisico di un bambino privato di mezzi di sostentamento e di legami affettivi solidi.

In alcuni casi, l'utilizzo dei predetti correttivi, che in qualche caso ha comportato una drastica riduzione del risarcimento (in un caso del 75% rispetto a quello previsto per la perdita del rapporto parentale) è stata censurata dal giudice di legittimità che ha ritenuto erroneamente esercitato il potere del giudice di liquidare equitativamente attraverso l'utilizzo di parametri, quali le condizioni economiche del danneggiante, che non costituiscono un fattore di incidenza sull'entità del danno non patrimoniale arrecato ovvero la perdita non definitiva del rapporto parentale, pur avendo riconosciuto in precedenza che il padre era stato "totalmente assente" nella vita della figlia (cfr. Cass. civ. n. 28551/2023).

In altri casi la Corte di cassazione ha, per converso, approvato la scelta di adottare il criterio tabellare congruamente adattato con motivazione ritenuta soddisfacente: «La Corte d'Appello con ampia ed esauriente motivazione ha precisato (pag. 21-22 sentenza impugnata) di aver liquidato il danno non patrimoniale con criterio equitativo puro attesa “la modestia numerica di casi conformi”. I parametri adottati nel distretto per la perdita parentale sono, di conseguenza, assunti, in via meramente analogica e con l'applicazione di correttivi che ne giustificano la liquidazione in via meramente equitativa. Come ben argomentato nella sentenza impugnata il lutto da morte ha caratteristiche diverse da quelle del colpevole abbandono dei figli che caratterizza il caso di specie, in quanto quest'ultima situazione ha ancora margini di emendabilità. Pertanto, il criterio tabellare “può rappresentare un punto di riferimento” nella liquidazione del danno in via analogica ed essere assunto nella soglia minima peraltro non attualizzata al momento della decisione. La Corte d'Appello indicando il parametro da assumere analogicamente e le ragioni per cui era necessario discostarsene parzialmente ha del tutto coerentemente seguito gli orientamenti ribaditi anche di recente, da questa Corte, secondo i quali «Qualora proceda alla liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito affinché la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, deve indicare i criteri seguiti per determinare l'entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell'ammontare dei danni liquidati» (Cass. civ. n. 8213/2013)» (Cass. civ., sez. VI, n. 34986/2022).

Sennonché, deve osservarsi che, in assenza di parametri tabellari specifici, l'impiego di quello previsto per la perdita del rapporto parentale non convince.

Difatti, la morte di un congiunto incide drammaticamente sulla vita della vittima secondaria recidendo un legame affettivo che si è già instaurato ed alimentato con l'affetto, la vicinanza, l'amore, privando il minore della figura genitoriale presente nella sua vita fin dalla nascita. Il tipo di pregiudizio è caducatorio di un legame con tutte le conseguenze che ne conseguono in termini di grande afflizione interiore e di modificazione peggiorativa dell'esistenza.

Per il danno endofamiliare discendente dal mancato riconoscimento, dall'assenza o dal disinteresse del genitore verso il figlio non si è prodotta alcuna recisione ma è una mancanza ab origine che assume riflessi negativi sui bisogni e sullo sviluppo del minore senza necessariamente causare un'afflizione verso un soggetto mai presente nella sua vita rispetto al quale, dunque, alcun affetto è mai sorto.

Ancora più complessa è la liquidazione del danno endofamiliare subito dal partner rispetto al quale alcun parametro tabellare è suscettibile di adeguato utilizzo, salvo il caso del risarcimento del danno alla salute subito dalla vittima di violenza fisica, e la peculiarità dell'afflizione della vittima di violenza impone adattamenti o l'uso di criteri equitativi «puri» che potrebbero rivelarsi arbitrari.

Le differenze ontologicamente evidenti tra le due tipologie di danni rendono auspicabile l'individuazione, a cura degli Osservatori milanesi e romani, di criteri liquidatori specifici per il danno endofamiliare patito sia dal minore che dal partner, con la previsione di parametri tabellari compresi tra minimi e massimi, variabili in relazione alle diverse circostanze che possono trarsi dalla casistica di merito.

Profili processuali: il nuovo art. 471-bis c.p.c.

La riforma processuale introdotta dal d.lgs. n. 149/2022 ha previsto un nuovo rito specializzato applicabile a tutto il contenzioso familiare e minorile, caratterizzato dalla riduzione dei tempi di definizione dei processi e dagli spiccati poteri officiosi attribuiti al giudice.

Peraltro, la riforma processuale ha preceduto quella ordinamentale, pure prevista dal d.lgs. n. 149/2022, che ha istituito un nuovo giudice specializzato, il Tribunale per le persone, i minori e la famiglia, operativo a decorrere dal mese di ottobre 2024.

Sebbene, l'art. 473-bis c.p.c. non includa, nell'ambito di applicazione del nuovo rito, le domande risarcitorie per illeciti endofamiliari la relazione di accompagnamento alla legge delega n. 206/2021 espressamente prevedeva che anche «Le domande di risarcimento del danno endofamiliare verranno disciplinate con il nuovo rito per la stretta attinenza con la materia».

Proprio la specializzazione del giudice e la peculiarità del rito, caratterizzato da una concentrazione di tutele e da ampi poteri ufficiosi, favorisce anche la trattazione delle domande risarcitorie supportate dall'istruttoria assunta nel processo familiare o minorile, nel corso del quale il giudice specializzato acquisisce tutti gli elementi utili all'accertamento dei fatti e delle conseguenze pregiudizievoli patiti delle vittime.

Lo schema del decreto legislativo correttivo al d.lgs. n. 149/2022, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 febbraio 2024, in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha colmato tale lacuna normativa introducendo nell'art. 473-bis c.p.c., il seguente inciso «nonché alle domande di risarcimento del danno conseguente a violazione dei doveri familiari».

L'esistenza di specifici parametri liquidatori agevolerebbe la liquidazione del risarcimento del danno anche ad opera del giudice penale quando i fatti lesivi abbiano dato vita a reato e la vittima si sia costituita parte civile nel processo penale.

Conclusioni

È auspicabile che si individuino parametri chiari volti a consentire la liquidazione di un risarcimento del danno endofamiliare adeguato a ristorare gli innumerevoli pregiudizi patiti dalle vittime, alla scopo di garantire e rafforzare il panorama delle tutele per i danneggiati di illeciti di particolare asprezza e spesso socialmente deprecabili.